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Le esperienze di cura dei beni comuni, attraverso, in particolare, i Patti di collaborazione continuano, a crescere in numero e qualità tanto da legittimare l’Amministrazione condivisa non tanto e non solo come un processo amministrativo ma come un modello sociale, culturale e politico. Le diverse comunità di pratica diffuse in tutto il Paese diventano consuetudine, l’attenzione alla cura del territorio, del proprio quartiere, paese e città un modo per superare l’individualismo e la cultura della delega.

Cura dell’ambiente come bene comune

La stagione più recente dei Patti di collaborazione vede sempre più individui singoli, gruppi informali, organizzazioni collettive guardare alla cura dell’ambiente come interesse generale da tutelare e, quindi, declinabile nelle forme di Amministrazione condivisa. Si fa sempre più ricorso all’approccio collaborativo anche nella gestione di eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo: in tutte le relative fasi, dalla prevenzione ai processi di ricostruzione post evento. Ed esperienze ancora sperimentali di Patti di collaborazione aprono a possibili azioni di cura, progettate insieme tra istituzioni, volontariato spontaneo e organizzazioni di volontariato di protezione civile.

Comunità di pratica. Una guida per partecipare, innovare, trasformare

La cornice normativa entro cui questi processi collaborativi in forma di Patti vengono realizzati è il nuovo Codice di Protezione civile adottato nel 2018 che, grazie a un riferimento diretto al principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale, apre all’apporto che i cittadini possono dare in collaborazione con le istituzioni. Il Servizio nazionale di Protezione civile può essere considerato, dunque, come un sistema organizzato, strutturato in una rete, composta da soggetti pubblici e privati, che può essere considerato un bene comune.

L’importanza della comunità: l’esperienza di Marche e Calabria

Nell’area sismica delle Marche, in un piccolo centro colpito duramente dai terremoti del 2016-2017, è stato utilizzato il Patto di collaborazione per rendere fruibile uno spazio verde aperto attraverso l’autocostruzione di arredi e il recupero e la cura dello spazio: un intervento più di carattere sociale che materiale. La riflessione intorno agli strumenti collaborativi ha provato a rispondere ad alcuni interrogativi: come abitare i luoghi colpiti dal terremoto? Quale significato dare al termine “comunità”?

Uno dei principi fondamentali dell’Amministrazione condivisa, la fiducia reciproca, sembrava poter essere la chiave del processo. L’incertezza e le difficoltà legate alla ricostruzione, infatti, avevano minato anche le relazioni e la convinzione di poter incidere sullo stato delle cose. Nell’assemblea degli abitanti emergeva chiara una criticità “la comunità manca, non è tornata”.

L’applicazione del modello di Amministrazione condivisa ha permesso, attraverso una serie di incontri aperti alla presenza di abitanti e amministratori, di individuare quei beni comuni che potevano essere affidati alla cura dei cittadini, mappare le risorse e i bisogni della comunità, definire alcune prime ipotesi di rigenerazione, riqualificazione e cura dei beni materiali e/o immateriali, definire le tappe per giungere all’approvazione del Regolamento da parte del commissario prefettizio. Dall’iniziale diffidenza si è passati all’idea, emersa sempre dalle voci dell’assemblea, che quando si parla di ricostruzione “non puoi ragionare con le logiche private, perché l’interesse privato contrasta con il bene comune”.

Resilienza e comunità di pratiche: la cura degli anziani nelle aree interne della Calabria

A Bagnara Calabra, invece, nasce l’esperienza pilota con l’obiettivo di sperimentare un percorso di pianificazione partecipata per fare del piano di protezione civile locale uno strumento creato anche attraverso il contributo dei cittadini attivi valorizzandone capacità, competenze, lettura dei bisogni della comunità e risposta agli stessi attraverso la co-progettazione di un Patto di collaborazione.

Il territorio del Comune di Bagnara è fortemente esposto a numerosi rischi ambientali. Terremoti, alluvioni, frane, maremoti, incendi hanno segnato la storia del piccolo centro della Città metropolitana di Reggio Calabria. Proprio la memoria di quegli eventi ha rappresentato il punto di partenza per la definizione di un percorso comune tra pubblica amministrazione, associazioni, protezione civile regionale, che ha portato alla firma del patto di collaborazione.

Le norme inserite nel Codice di Protezione civile fanno del sistema della Protezione civile uno degli ambiti di particolare interesse per l’applicazione del modello di Amministrazione condivisa nell’attività di pianificazione locale e definizione delle politiche pubbliche. In tale contesto, il Patto di collaborazione assurge a strumento ideale per la composizione, oltre che delle azioni di cura, di un modello di governance orizzontale in cui viene valorizzato il contributo di saperi, competenze, capacità della comunità intera.

Le attività di interesse generale previste dal Patto di collaborazione sottoscritto a Bagnara Calabra, alla luce di questa impostazione, prevedono azioni legate alla revisione/aggiornamento del piano locale di protezione civile e la produzione di un opuscolo informativo e di ogni altro strumento di comunicazione necessario per informare la popolazione sui diversi rischi, sulle istruzioni da seguire in caso di allerta ed emergenza e sulle misure di autoprotezione da adottare. Ma anche, in un’ottica più generale, la realizzazione di attività di cura del territorio che favoriscano la mitigazione dei rischi conseguenti a calamità naturali e l’avvio di un percorso condiviso finalizzato alla costituzione di un gruppo comunale di protezione civile.

L’Amministrazione condivisa come un efficace ecosistema

Nel corso degli ultimi dieci anni, il Regolamento per l’Amministrazione condivisa e i Patti di collaborazione hanno cambiato le regole e favorito l’adozione di strumenti collaborativi che dal livello comunale si sono allargati a unioni di Comuni, ambiti territoriali, Città metropolitane. Ci sono state, quindi, le prime leggi regionali e il Codice del Terzo Settore, per giungere, poi, alla Sentenza della Corte costituzionale 131 del 26 giugno 2020 che legittima l’Amministrazione condivisa come attività “ordinaria” della pubblica amministrazione, non legata all’eccezionalità o sperimentalità degli interventi ma al reciproco riconoscimento fra istituzioni e comunità.

Amministrazione condivisa: gli ingredienti che servono per l’impatto

L’Amministrazione condivisa può essere considerata un ecosistema basato su una molteplicità di strumenti collaborativi e una pluralità di soggetti diversi, attivi sul territorio, che va dai singoli cittadini sino alle associazioni, ai gruppi informali, agli enti di Terzo Settore, al mondo dell’impresa sociale e dell’impresa profit.

Oggi ha bisogno di essere inquadrata sempre più in una vera e propria funzione amministrativa che possa garantire, insieme al coordinamento con gli organi di indirizzo politico amministrativo, l’attivazione dei soggetti civici attivi su un territorio attraverso processi e strumenti applicabili a tutti gli ambiti di intervento delle politiche pubbliche, che prevedano anche efficaci strategie di misurazione dell’impatto delle azioni di cura avviate dai cittadini.

Patti di collaborazione e Agenda 2030

Il perseguimento di questi risultati può essere facilitato se pensiamo a come queste esperienze possano inserirsi nel quadro generale più ampio declinato dall’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile e dai BES.

I 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile, inquadrati all’interno di un programma d’azione più vasto costituito dai 169 target ad essi associati, e i 12 domini fondamentali insieme ai 152 indicatori del Rapporto sul Benessere equo e sostenibile hanno inaugurato una nuova stagione di maggiore consapevolezza della società civile sui temi dello sviluppo sostenibile. BES e SDGs hanno moltissimi punti di contatto e forniscono informazioni per la misurazione del benessere e dello sviluppo sostenibile.

I diciassette Goals prendono in considerazione le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile – economica, sociale ed ecologica – per contrastare povertà, diseguaglianza, affrontare i cambiamenti climatici, garantire il rispetto dei diritti umani. I dodici indicatori del BES vanno dal reddito medio pro capite alla speranza di vita, dall’abbandono scolastico alla tutela della salute, dalla cura dell’ambiente all’indice di abusivismo.

Ma se oggi è possibile misurare le diverse dimensioni del benessere, il problema principale resta quello di orientare le politiche pubbliche. In questo senso l’Amministrazione condivisa e i Patti di collaborazione possono essere uno strumento potente per il raggiungimento di quegli obiettivi, a condizione che siano salvaguardate quelle caratteristiche essenziali che ne hanno garantito la diffusione.

Questo articolo è uscito sul numero 3/2024 di Rivista Solidea, pubblicazione promossa dall’omonima Società di mutuo soccorso e parte del network del nostro Laboratorio.