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Il Rapporto Family Network 2024, presentato il 14 novembre nel corso di un evento a cui ha preso parte anche Franca Maino, direttrice scientifica di Secondo Welfare, offre una panoramica approfondita sulle sfide del welfare in Italia, con un focus particolare sul lavoro di cura, sia professionale che informale.

L’analisi si articola in cinque sezioni, ciascuna dedicata a un tema centrale del panorama sociale e lavorativo. La prima, curata da Assindatcolf, esamina le recenti riforme sul lavoro domestico e le implicazioni del Decreto Flussi. La seconda, elaborata dal Censis, affronta le problematiche del welfare tra sanità e previdenza. Nella terza sezione, a cura di Idos, si stima il fabbisogno di manodopera nel settore domestico fino al 2025. La quarta, redatta da Effe, analizza l’integrazione dei migranti e l’attrattività del lavoro domestico per questa fascia di lavoratori, mentre la quinta, curata dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, si concentra sulle difficoltà del welfare familiare. A completamento del Rapporto, un’appendice statistica fornisce dati demografici su famiglie e lavoratori.

Abbiamo approfondito alcune delle tematiche affrontate nel Rapporto con Andrea Zini, Presidente di Assindatcolf. 

Andrea Zini, Presidente di Assindatcolf, intervistato da Secondo Welfare
Andrea Zini, Presidente di Assindatcolf. Fonte: assindatcolf.it

Zini, come è nata l’idea di realizzare questo Rapporto e quali sono i principali obiettivi che si propone di raggiungere?

L’idea del Rapporto si è sviluppata progressivamente. Da oltre dieci anni conduciamo studi e ricerche coinvolgendo stakeholder, docenti e relatori. Nel 2015 abbiamo avviato una collaborazione con il Censis, che ci ha permesso di sistematizzare il lavoro svolto fino a quel momento e di renderlo più accessibile. Questo approccio ha dato maggiore visibilità alla nostra attività di ricerca e rappresentanza.

Gli obiettivi principali sono quelli di mantenere un approccio sempre più avanzato nell’analisi, valutazione e verifica delle dinamiche legate al nostro settore, con un focus particolare sulla famiglia e il lavoro di cura. Non ci poniamo limiti precisi, ma seguiamo una logica sistemica. Essendo nati in seno a Confedilizia, possiamo dire che inizialmente il “contenitore” è nato prima del “contenuto”. Oggi stiamo ampliando il nostro raggio d’azione, affrontando temi come quello dei caregiver e analizzando la famiglia in senso più ampio. 

L’intento complessivo, in ultima analisi, è rappresentare sempre meglio il ruolo della famiglia come nucleo fondante del sistema sociale. Il nostro lavoro nasce da una riflessione continua, che ci permette di migliorare e aggiustare il tiro strada facendo.

Quali sono gli aspetti del lavoro domestico che hanno maggiormente bisogno di attenzione?

Il lavoro domestico si caratterizza per una dinamica “bipolare”, tipica di molti rapporti di lavoro subordinato, dove è necessario bilanciare le esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori. Tra le criticità principali, per i lavoratori e le lavoratrici, ci sono aspettative e problematiche che hanno un impatto diretto anche sulle famiglie. Per esempio, abbiamo provato a insistere perché nella Legge di Bilancio 2025 fosse introdotta la deducibilità dell’esonero contributivo per le lavoratrici madri che rientrano al lavoro, ma purtroppo la misura non è stata introdotta anche se era arrivata quasi alla soglia dell’approvazione. Un altro intervento positivo è stato l’estensione del cosiddetto abbattimento del cuneo fiscale al lavoro domestico, che è ora una misura strutturale.

Tuttavia, il settore affronta sfide importanti: trovare lavoratori/trici qualificati, motivati e disposti a operare in un contesto dove gli stipendi sono bassi, il lavoro è faticoso e socialmente poco valorizzato. La crisi è evidente, con una perdita di 130.000-150.000 posti regolari negli ultimi due anni secondo l’INPS, senza contare quelli sommersi. Inoltre, la crescente domanda di assistenza, legata all’invecchiamento della popolazione, rende necessario indagare i motivi di questa crisi e trovare soluzioni. Ad esempio, mentre si tende a pensare che molti lavoratori si spostino nel mercato nero, il calo registrato anche in quel segmento dimostra che il problema è più complesso. Quando le donne si ritirano dal mercato del lavoro per occuparsi dei familiari, l’impatto si ripercuote su tutta la catena sociale ed economica.

Per questo a nostra avviso serve una strategia per rendere il lavoro domestico più attrattivo, anche attraverso l’integrazione di lavoratori stranieri. In questo contesto, dall’anno scorso, il Decreto Flussi prevede una quota specifica destinata al settore dell’assistenza familiare e del lavoro domestico. Quest’anno, grazie ad una proposta informale recepita dal Governo, è stata aggiunta una quota supplementare: oltre ai 9.500 posti inizialmente previsti, sono stati autorizzati ulteriori 10.000 ingressi. Questo incremento risponde alla nostra valutazione del fabbisogno annuale di nuova forza lavoro proveniente dall’estero.

Nel Rapporto si propone di introdurre un credito di imposta per chi fruisce di collaboratori domestici nell’ambito della cura. Ci spiega meglio come dovrebbe funzionare?

Il credito d’imposta che proponiamo è uno strumento più equo e universale rispetto alla deducibilità fiscale, che finora ha sempre favorito principalmente i redditi più alti. Con il credito d’imposta, invece, il vantaggio è accessibile a tutti, anche ai redditi più bassi.

Più nello specifico, la deduzione fiscale permette di ridurre il reddito imponibile, ossia la base su cui vengono calcolate le imposte. Tuttavia, il beneficio che si ottiene da questa riduzione dipende dalla fascia di aliquota fiscale del contribuente: chi ha un reddito alto, con un’aliquota elevata, ottiene un risparmio maggiore rispetto a chi ha un reddito basso. È un meccanismo che, di fatto, privilegia i redditi più alti.

Il credito d’imposta funziona in modo diverso. Si tratta di una somma fissa, non legata al reddito, che viene sottratta direttamente dall’ammontare delle tasse da pagare. Se il credito supera l’importo delle tasse dovute, la differenza viene restituita direttamente al contribuente. Questo aspetto lo rende uno strumento universale, capace di garantire un beneficio reale anche ai redditi più bassi o incapienti.

In pratica, immaginiamo una famiglia che spende 20.000 euro all’anno per un servizio di assistenza domiciliare. Con un credito d’imposta, ad esempio al 50%, questa famiglia riceverebbe 10.000 euro di restituzione. La proposta prevede che il credito venga restituito in dodicesimi, mese per mese, offrendo così un sostegno immediato e costante. Questo aiuta le famiglie a gestire le spese senza dover attendere il rimborso a fine anno.

Un altro punto cruciale è il legame tra questa misura e l’aumento della qualità del lavoro domestico. Se il credito d’imposta fosse introdotto, potrebbe essere accompagnato da un “impegno” datoriale, e quindi sindacale, di adeguamento del livello salariale contrattuale. I benefici sarebbero molteplici: stipendi più alti per i lavoratori, minore pressione economica per le famiglie, e maggiore regolarità dei contratti, favorendo l’emersione del lavoro sommerso. Questo avrebbe anche un effetto positivo per lo Stato, grazie all’aumento delle entrate fiscali derivanti dai nuovi contratti regolari.

Quali riscontri avete avuto, in particolare dal decisore pubblico, dopo la presentazione del Rapporto?

Il lavoro presentato ufficialmente a novembre nel Rapporto Family Net Work, è stato anticipato a fine settembre al Ministero delle Finanze, quando la Legge di Bilancio era sostanzialmente già definita. In ambito ministeriale ha trovato una certa “freddezza”, tuttavia il tema ha suscitato interesse in altri contesti. Ad esempio, qualche settimana fa a Bruxelles durante il Comitato direttivo di EFFE (European Federation for Family Employment & Home Care) è stato presentato un simulatore che mostra come il credito d’imposta possa trasformarsi in un vantaggio economico per lo Stato: per ogni euro investito in questo sistema si potrebbe generare un ritorno di 1,10 euro per le casse pubbliche. Questo conferma che un sistema più performante e adeguato alle necessità attuali è non solo possibile, ma anche conveniente. Il focus ora è far comprendere che investire nel settore del lavoro domestico non è solo una spesa, ma un’opportunità per migliorare l’efficienza del sistema.

A livello nazionale, si stanno facendo passi avanti significativi. L’assistente familiare è stato finalmente incluso nella normativa sulla non autosufficienza e nei LEPS, con interventi specifici a sostegno dei caregiver e per le malattie più gravi. Inoltre, è stato avviato un intergruppo parlamentare sul lavoro domestico, e anche il CNEL sta lavorando per promuovere una normativa che valorizzi il settore. È evidente che occorre un approccio integrato: convincere l’INPS a estendere le politiche attive anche al lavoro domestico e ottenere strumenti come uno sgravio contributivo biennale per le lavoratrici del settore.

Come immagina possa evolvere il settore del lavoro domestico nei prossimi 5-10 anni?

Il settore del lavoro domestico è destinato a trasformarsi profondamente nei prossimi anni. La domanda di assistenza agli anziani crescerà in modo significativo, spostando il focus sempre più dalla cura della casa e dal babysitting verso servizi legati alla non autosufficienza. Questo cambiamento risponde al progressivo invecchiamento della popolazione, ma non dobbiamo trascurare altre esigenze, come il supporto alla prima infanzia e l’aiuto alle donne che lavorano, fondamentali per sostenere la natalità e l’occupazione femminile.

Un aspetto cruciale per il futuro sarà rendere il settore più attrattivo e sostenibile. La mancanza di tutele, come l’indennità di malattia o una pensione adeguata, rende il lavoro domestico poco competitivo rispetto ad altri settori, anche con salari interessanti. Qui entra in gioco la necessità di sviluppare sistemi collettivi di protezione, la “Cassa Colf”, già esistente, potrebbe essere un punto di partenza per creare una rete di sicurezza più ampia e inclusiva.

Un altro tassello essenziale sarà far comprendere all’Agenzia delle Entrate e al Ministero delle Finanze il potenziale positivo del credito d’imposta o di soluzioni analoghe. Ridurre il lavoro nero è cruciale, anche per evitare che i lavoratori sommino indennità di disoccupazione e redditi non dichiarati, una pratica che distorce il sistema.

Infine, per garantire un futuro più solido al settore, bisogna immaginare una riforma organica che ridisegni le regole, includendo politiche attive per l’occupazione, incentivi fiscali e meccanismi di lotta al lavoro nero. Un intervento collettivo e mirato, che coinvolga famiglie, lavoratori, istituzioni e partner contrattuali, è l’unica strada per valorizzare davvero il lavoro domestico, rendendolo un pilastro del welfare italiano e una leva per lo sviluppo sociale ed economico.

Foto di copertina: Vilkasss, Pixabay.com