Da qualche settimana stiamo seguendo l’iter parlamentare del cosiddetto Ddl Concorrenza, un disegno di legge previsto dalle riforme del PNRR che dovrebbe migliorare, appunto, la concorrenza nel nostro Paese adeguando il funzionamento di diversi settori alle normative europee per promuovere l’efficienza e migliorare i servizi a vantaggio dei consumatori. Lo stiamo facendo in particolare per capire l’impatto che questo provvedimento avrà sul mercato dei buoni pasto, uno degli strumenti più usati e apprezzati nel perimetro del welfare aziendale.
Come spiegavamo qui, i buoni pasto sono oggi utilizzati da circa 3,5 milioni di lavoratrici e lavoratori per fare acquisti in bar, ristoranti e supermercati e nel 2023 hanno alimentato un mercato stimato in 4,5 miliardi di euro. I buoni sono oggi molto usati e apprezzati poiché offrono benefici fiscali alle organizzazioni che li adottano1 e in quanto rappresentano una forma di integrazione del reddito di chi li usa.
Questo mercato rischia ora di essere scosso da una norma contenuta proprio nel Ddl Concorrenza, che fisserà un nuovo tetto alle commissioni che le società emettitrici richiedono agli esercenti che ricevono i buoni pasto. Ma andiamo con ordine.
In breve, come raccontavamo dettagliatamente in questo articolo, i buoni pasto oggi funzionano così: sono emessi da società specializzate2 e vengono acquistati da imprese che li offrono come benefit di welfare ai propri dipendenti. Questi ultimi li possono poi spendere presso esercizi commerciali che li accettano e che, una volta acquisiti, li “restituiscono” alle società emettitrici, che corrispondono agli esercenti il valore economico dei buoni al netto delle commissioni per il funzionamento del sistema.
Attualmente per incentivare l’acquisto dei propri buoni le società emettitrici offrono alle imprese che li adottano sconti sul prezzo finale del prodotto. Per esempio, il buono da 8 euro viene offerto a 7,50: così, oltre al vantaggio fiscale previsto dalla normativa, l’azienda risparmia sul valore del ticket che poi dà ai suoi dipendenti. Le società emettitrici, per recuperare questo sconto e garantirsi un utile ritenuto adeguato, chiedono commissioni a bar, ristoranti e supermercati che accettano i buoni. Mediamente queste commissioni si aggirano sul 12%, ma possono variare molto a seconda della capacità negoziale dell’esercente.
Una catena della grande distribuzione può infatti chiedere e ottenere una commissione più bassa, mentre il singolo bar o ristorante deve adeguarsi alle richieste delle emettitrici. Per molti esercenti queste commissioni sono diventate così elevate da essere spesso insostenibili. Ma visto che non accettare più buoni pasto comporta il rischio di attirare meno clienti, queste realtà si adeguano alle richieste delle società anche se economicamente svantaggiose.
Il Ddl Concorrenza approvato pochi giorni fa alla Camera, che presumibilmente sarà approvato senza modifiche dal Senato entro fine anno per rispettare la scadenza fissata dal PNRR, introduce un tetto al 5% sulle commissioni che cambierà l’attuale sistema. Quali conseguenze avrà? Per capirlo Secondo Welfare in questi giorni ha realizzato delle interviste con alcuni degli attori del mercato e al deputato Silvio Giovine, che ha proposto l’emendamento, che vi invitiamo a leggere per farvi un’opinione.
Noi pensiamo che gli esercenti che accettano i buoni nel breve periodo avranno certamente costi minori, ma mentre per i “piccoli” significherà non essere sempre in apnea, per i “grandi” – in particolare la Grande Distribuzione Organizzata – vorrà dire aumentare i margini economici senza sforzi. Bisogna però considerare che non avendo più libertà di manovra sulle commissioni, le società emettitrici dovranno limitare gli sconti alle imprese e questo potrebbe comportare un ridimensionamento dei budget che le aziende mettono sui buoni e, quindi, una diminuzione dei ticket effettivamente messi a disposizione dei dipendenti. Il che, nella peggiore delle ipotesi, potrebbe comportare una significativa contrazione del mercato che poi andrà a incidere anche su chi nell’immediato godrà delle minori commissioni.
Per evitarlo, a nostro avviso, il DdL Concorrenza avrebbe potuto anzitutto prevedere differenti tetti alle commissioni, distinguendo piccole attività e grandi realtà della GDO, che come detto hanno problemi diversi con riferimento ai buoni pasto.
Inoltre, per evitare il rischio di tagli agli investimenti in welfare delle imprese e garantire stabilità al mercato, si sarebbe potuto “accompagnare” la nuova regolazione delle commissioni con un aumento della soglia di defiscalizzazione dei buoni pasto da 8 a 10 o addirittura 12 euro. Questo avrebbe garantito alle aziende margini di manovra maggiori per garantire questi strumenti ai propri dipendenti che, allo stato attuale, rischiano di essere quelli che rimarranno maggiormente scottati dalla decisione.
La partita del Ddl Concorrenza come detto è sostanzialmente chiusa, ma ci può essere margine per interventi che disinneschino molti di questi rischi, visto che tra l’altro la norma entrerà in vigore progressivamente. Questo appare auspicabile poiché all’orizzonte si prospettano conseguenze di cui ora è difficile valutare la consistenza e che il Legislatore dovrebbe provare da subito ad anticipare aprendo tavoli di confronto che possano andare nelle direzioni sopra auspicate.
Il nostro speciale sui buoni pasto: voce ai protagonisti“Correggere una stortura che dura da troppo tempo” Un emendamento “rischioso” che “può far crollare l’intero sistema” Riportare il buono pasto “alla sua funzione originaria” L’occasione per aprire “un mercato notoriamente chiuso e concentrato” Come disinnescare i rischi delle commissioni al 5% |
Note
- Previsti dall’articolo 51 comma 2 lettera “c” del TUIR, che stabilisce che non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente fino a un limite massimo giornaliero di 8 euro per i buoni elettronici e 4 euro per quelli cartacei
- Da qui in avanti, per semplicità, le chiameremo appunto “società emettitrici