Il welfare aziendale non è un costo ma un investimento. È una frase che in ambito corporate ricorre spesso, eppure tante organizzazioni continuano a vedere l’insieme di benefit e servizi per i propri dipendenti esclusivamente come una spesa per le proprie casse. Questo nonostante molte ricerche e studi mettano invece in luce come il welfare sia una vera e propria leva per migliorare il benessere in azienda, aumentare l’ingaggio di chi lavora e, quindi, in grado di attrarre e trattenere le persone riducendo il turnover. Si tratta dunque di un investimento che, potenzialmente, può anche ridurre i costi “imprevisti” per le imprese che si trovano a perdere lavoratori e lavoratrici senza preavviso. Vediamo come.
L’insoddisfazione crescente di chi lavora
In primo luogo è necessario approfondire il punto di vista di lavoratori e lavoratrici rispetto alla loro posizione in azienda. A questo riguardo, ci sembra utile citare l’indagine curata da BVA Doxa per l’Osservatorio Welfare di Edenred Italia del 2024. Secondo questa ricerca, che si basa su un campione di 1.508 lavoratori e lavoratrici oggetto di intervista su tutto il territorio nazionale, appena 1 persona su 2 si dichiara appagata dalla propria condizione lavorativa.
Per lavoratori e lavoratrici l’engagement, ovvero il coinvolgimento nella vita dell’azienda, si rafforza a condizione di sentirsi responsabilizzati per il 62% degli intervistati, di sentirsi apprezzati per il 52% e di essere coinvolti per il 51%. Sono indicati come un po’ meno rilevanti il fatto di essere motivati (43%) e valorizzati (37%).
È poi interessante notare che la presenza di forme di incentivazione – come welfare aziendale, buoni pasto o formule di premialità economica – è considerata una leva che influisce positivamente sulla motivazione e sulla produttività dei lavoratori (74%) e trasmette in modo concreto l’apprezzamento dell’azienda per il lavoro svolto dalle persone (72%). Quest’ultimo è un tema fondamentale perché la possibilità di poter cambiare azienda per un’altra che offra un piano di premi e benefit più vantaggioso è considerata molto allettante dal 68% del campione; percentuale che sale al 74% tra coloro che si dicono insoddisfatti della propria condizione lavorativa. Avere il welfare, dunque, attrae. Mentre non averlo, al contrario, spinge i lavoratori a cercare altre ipotesi occupazionali.
Il costo delle del turnover per le aziende
Ma cosa vuol dire per un’azienda perdere un dipendente? A chiarirlo è lo studio “Benessere e Produttività: i benefici economici del Corporate Wellbeing e i costi del “non fare” per le aziende. Evidenze teoriche ed empiriche” curato da The European House – Ambrosetti per Jointly.
Secondo questa ricerca il turnover aziendale, cioè la perdita di un dipendente (per licenziamento o dimissioni) e la conseguente necessità di individuare, assumere e formare una nuova persona, ha un costo molto elevato per le imprese, che riguardano più “voci”:
- i costi necessari per concludere un’assunzione, quindi pubblicazione di annunci, colloqui, screening, assunzione; oppure ricorso a una società di recruiting;
- la perdita della produttività, dovute all’inserimento del nuovo assunto, non in grado di performare da subito come chi ha lasciato l’azienda;
- il costo della formazione, stimato tra il 10% e il 20% dello stipendio di un neo-dipendente e legato a tutto il percorso di inserimento in azienda;
- altri costi “nascosti” come per esempio perdita di engagement nell’organizzazione (gli altri dipendenti che vedono un alto turnover in azienda tendono a disimpegnarsi, riducendo la propria produttività) e la ridefinizione delle relazioni con i clienti (i nuovi dipendenti impiegano più tempo nel risolvere i problemi legati alla gestione del cliente e/o si perdono relazioni dirette con clienti).
A livello economico, secondo le stime di The European House – Ambrosetti il costo di ogni singola dimissione è pari a circa il 50% della retribuzione annua lorda (RAL) del lavoratore o della lavoratrice che decide di andarsene. Considerando il valore della RAL media a livello nazionale, questo significa che il costo di ogni dimissione si aggira tra gli 11.000 e 13.000 euro.
Tenendo in considerazione le differenze dettate dal settore merceologico e dalle diverse dimensioni di impresa – e considerando i diversi livelli di turnover e di RAL – tali costi possono rappresentare un importo significativo sui conti economici delle imprese: fino al 26,8% del costo del personale nel settore dei servizi, e fino al 22,4% nelle PMI (figura 1).
Il welfare aziendale contro il turnover
Quali possono essere allora le strategie per ridurre le dimissioni e, quindi, il turnover? Come già accennato, servizi e benefit non monetari possono essere una leva per fidelizzare i dipendenti e contenere il rischio che questi lascino l’azienda.
A supporto di questa tesi ci sono i risultati dello studio internazionale “Great Employee Benefit Study 2024“, promosso dal Gruppo Epassi e condotto dal team di esperti dell’Università di Aalto (Finlandia). La ricerca ha coinvolto 2.400 dipendenti e 726 datori di lavoro di vari Paesi (Italia, Svezia, Regno Unito e Finlandia) a cui è stata posta la stessa domanda: “quanto sono importanti i benefit quando si considera una nuova opportunità di lavoro?”.
Dall’analisi è emersa la centralità di questi strumenti che vanno ad integrare la retribuzione monetaria. L’indagine rivela infatti che l’83,2% dei dipendenti italiani considererebbe l’idea di cambiare posto di lavoro per un’azienda che offra un miglior pacchetto welfare. Se per i dipendenti svedesi i benefit risultano meno rilevanti, probabilmente a causa di una limitata offerta, in Italia e nel Regno Unito ben il 75% degli intervistati li considera essenziali quando si valuta una nuova opportunità di lavoro.
Tra i benefit e le prestazioni di welfare più apprezzate da lavoratori e lavoratrici (italiani e non) ci sono l’assistenza sanitaria integrativa, la formazione professionale e le formule assicurative di vario tipo. Da evidenziare poi l’apprezzamento verso la flessibilità oraria e organizzativa e l’assistenza verso familiari dei dipendenti.
Come spesso riportiamo nei nostri approfondimenti, dunque, il welfare aziendale rappresenta oggi un investimento cruciale per le imprese. Questa centralità non è più dipesa solamente dal fatto che le aziende vogliono migliorare la loro immagine pubblica, raccontare all’esterno “quanto sono brave” o migliorare il clima e il benessere in azienda in maniera generalizzata. Oggi il welfare è essenziale in termini di retention della forza lavoro e, in quanto tale, necessario per ridurre i rischi derivanti dalle dimissioni dei collaboratori.