“Le modalità di attivazione nel volontariato sono sempre più diverse e più fluide. E questo comporta una complessità che gli enti devono saper supportare”. Maddalena Recla, che lavora nell’Area Promozione e Sviluppo del CSV Trentino, ha riflettuto molto su questa complessità nell’ultimo anno. Si è confrontata con giovani, organizzazioni e istituzioni nel corso delle moltissime attività organizzate nell’ambito di Trento Capitale Europea del Volontariato 2024.
Siamo partiti proprio dal Trentino, la Regione italiana dove ci sono più volontari, per capire come sta cambiando questo ambito: quanti volontari ci sono in Italia? Si fa più volontariato al Sud o al Nord? Come incidono variabili demografiche come l’età e il genere?
Abbiamo cercato le risposte – a volte sorprendenti – innanzitutto nei dati: tra la primavera e l’estate di quest’anno sono stati pubblicati dall’Istat i risultati del Censimento permanente delle istituzioni non profit, che riguardano anche le attività dei volontari. Abbiamo intervistato ricercatrici e professioniste del settore per riflettere sulla situazione in Italia, sulle prospettive future e sulle azioni per valorizzare appieno il volontariato nel nostro Paese. Vi raccontiamo di seguito cosa abbiamo scoperto.
Quante persone fanno volontariato in Italia?
Partiamo dal numero complessivo: il Censimento Istat del 20211 registra poco più di 4,6 milioni di volontari attivi in Italia in circa 360.000 organizzazioni non profit2.
Per quanto questa fotografia sia la più completa e aggiornata possibile, necessita di qualche chiarimento. Bisogna innanzitutto evidenziare che l’indagine, per ragioni metodologiche, tiene fuori alcuni gruppi di volontari. Come ci racconta Sabrina Stoppiello, ricercatrice dell’Istat che si occupa proprio di questa indagine, “questa rilevazione campionaria registra solo i volontari attivi nelle organizzazioni non profit. Fotografiamo quello che viene chiamato “volontariato organizzato”, che rappresenta una fetta molto significativa ma non la totalità dei volontari in Italia”. Il Censimento Istat si rivolge agli enti, perciò non considera le persone che operano al di fuori di organizzazioni strutturate come – per esempio – chi si adopera su base occasionale per rispondere a emergenze ambientali, o molti gruppi informali di giovani attivisti per il clima. Il Censimento, inoltre, per motivi particolari non include anche alcuni specifici gruppi di volontari.
I dati del 2021 registrano un calo rispetto alla rilevazione precedente (risalente al 2015): ci sono circa 900.000 volontari in meno. È un dato allarmante o sorprendente? Sì e no. Sicuramente le possibili motivazioni sono molte, e alcune sono quasi scontate: per esempio in Italia vivono sempre meno persone, pertanto un calo nelle attività di volontariato è fisiologico. Un altro aspetto da considerare secondo Chiara Tommasini, presidente di CSVnet (l’associazione nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato3), è che il dato è stato acquisito “in un periodo particolare come quello di graduale uscita dall’emergenza sanitaria causata dalla pandemia”.
Nonostante queste specificazioni, si tratta di un dato da guardare con attenzione. Ed è una cosa che CSVnet sta facendo, alla luce del suo ruolo: l’associazione presieduta da Tommasini fornisce vari servizi di consulenza, formazione e sostegno ai 49 CSV italiani, puntando a rafforzarne la collaborazione e lo scambio e a renderli sempre più “agenti di sviluppo del volontariato nei territori”.
Si fa più volontariato al Nord o al Sud?
Dove si fa più volontariato in Italia? Il grosso delle organizzazioni non profit – e dunque dei volontari – storicamente è concentrato al Nord. Tuttavia, rapportando il numero di volontari alla popolazione residente, la mappa cambia leggermente: Sardegna e Basilicata, per esempio, registrano valori rispettivamente in linea e superiori alla media nazionale (7,8%).
Il Trentino-Alto Adige è la Regione in cui è più alto il rapporto tra volontari e popolazione residente: qui più di 1 persona su 5 fa volontariato. Questa Regione, che nel 2024 ha anche ospitato la Capitale Europea del Volontariato (Trento), ha una tradizione radicata in questo ambito. E proprio a questo è dedicata la prossima puntata del nostro podcast Intrecci (in uscita il 10 dicembre).
La dimensione regionale, utile per una prima analisi, va approfondita con lenti più specifiche che vadano oltre il divario geografico. Secondo Stoppiello, innanzitutto, i numeri mostrano un volontariato che si sta consolidando: “se è vero che al Sud ci sono meno istituzioni non profit (e meno volontari, ndr), in quest’area ormai da anni si registrano tassi di crescita più alti”. Le rilevazioni nel corso dei decenni - prosegue la ricercatrice dell’Istat - hanno mostrato che “il volontariato italiano ha delle componenti particolari legate a specifici territori: le regioni italiane hanno in qualche modo delle specializzazioni sui diversi settori". In sostanza alcuni settori di attività hanno sono tradizionalmente più radicati in alcuni territori piuttosto che in altri, per i motivi più svariati. Anche Tommasini evidenzia questo aspetto: “non ci sono solo differenze relative al Nord, al Centro e al Sud, ma esse sono pronunciate anche da territorio a territorio”. Dal suo osservatorio, continua la presidente, i 49 CSV - distribuiti in tutta Italia - “registrano una presenza attiva e propositiva di volontari ovunque, pur in contesti socio-demografici distinti e differenti”.
È vero che gli uomini fanno più volontariato delle donne?
Non è facile dire se il volontariato è un’attività svolta più dalle donne o dagli uomini.
I numeri del Censimento sembrano dare una risposta chiara: i maschi rappresentano il 58,3% dei volontari nelle organizzazioni non profit. Una prevalenza di uomini si è sempre registrata, sebbene la situazione stia cambiando: secondo Stoppiello “la composizione del 2021 è in linea con la rilevazione precedente (2015), ma la componente femminile negli anni è cresciuta sempre più”. Nel corso degli anni il numero di donne che fanno volontariato si è abbassato, ma in modo meno pronunciato rispetto al totale (-15,2% per le donne, -17,4% per gli uomini).
“Per capire meglio la partecipazione volontaria a livello individuale e non di organizzazione” - sottolinea Stoppiello - è importante non limitarsi ai dati relativi al volontariato organizzato. Una possibile fonte è l’indagine Multiscopo sulle famiglie, che è realizzata su base annuale dall’Istat e registra alcuni aspetti della vita quotidiana (tra cui anche il volontariato). Secondo i dati del 2023 il 7,8% del campione ha svolto “attività gratuite in associazioni di volontariato”, ma qui il divario di genere - per quanto molto contenuto - è invertito: 7,9% per le donne e 7,7% per gli uomini. Le donne sarebbero dunque complessivamente un po’ più attive nel volontariato, e probabilmente lo sono in contesti e con modalità che non vengono registrate dal Censimento.
Tornando ai dati relativi alle istituzioni non profit - quelli contenuti nel Censimento, più completi e articolati - una prima spiegazione per il divario di genere è la distribuzione per settori di attività: come mostra il grafico sottostante la differenza è particolarmente marcata nei due settori con il più alto numero di volontari (attività ricreative e sportive), così come nel settore delle relazioni sindacali e dell’attività politica. In tutti gli altri settori le due componenti sono molto vicine, e in molti le donne sono addirittura più presenti degli uomini (sanità, religione, istruzione, filantropia e cooperazione internazionale).
In un Paese come l’Italia, in cui gli stereotipi di genere sono ancora diffusi e la distribuzione del lavoro domestico e di cura è tradizionalmente molto squilibrata, non possiamo guardare a questi dati senza chiederci se la condizione familiare incida sulla disponibilità e possibilità a fare volontariato. Secondo la ricercatrice Istat “il fenomeno è più complesso di quello che riusciamo a delineare in base ai dati raccolti dalla rilevazione campionaria”. Peraltro, come spiegato nel paragrafo precedente, si registra una marcata specializzazione settoriale su base territoriale: visto che partecipazione varia molto in base al settore, la partecipazione femminile è più elevata in quelle Regioni in cui i settori “a prevalenza femminile” sono tradizionalmente più affermati (e viceversa).
Tuttavia anche nel Censimento vi sono alcuni dati significativi che potrebbero suggerire un legame tra volontariato e carichi di cura: per esempio il maggior divario di genere si registra nella fascia di età 30-54 anni, quella con i maggiori carichi di cura. Nella fascia di età 0-18 i due generi sono ugualmente presenti e - anzi - al Nord e al Centro le ragazze fanno più volontariato dei ragazzi. Anche guardando alla condizione occupazionale emerge un dato simile: tra gli studenti ci sono più volontarie che volontari. Dall’osservatorio del CSVnet la struttura patriarcale del nostro Paese incide sulla presenza delle donne nel volontariato: “le donne in genere hanno minore disponibilità di tempo per fare volontariato perché sono maggiormente assorbite dai carichi familiari sia nei confronti dei figli sia dei genitori”, puntualizza Tommasini. D’altra parte “dai CSV emerge una maggiore costanza dell’impegno femminile: le donne assicurano, quando possono fornire il loro impegno senza altri carichi o vincoli familiari e lavorativi, un’attività più continuativa e stabile, con una grande affidabilità del loro apporto sia di pensiero sia di tempo”.
E i giovani?
La variabile dell'età è da guardare con particolare attenzione (anche) in ragione del discorso pubblico intorno alle giovani generazioni: da un lato è molto diffuso lo stereotipo che vede i giovani meno attenti agli altri e più ripiegati su se stessi. Dall’altro negli ultimi anni alcune forme di volontariato che hanno coinvolto proprio i giovanissimi hanno avuto grande visibilità (basti pensare all'attivismo per contrastare il cambiamento climatico o anche, più recentemente, ai giovani studenti spagnoli coinvolti nella risposta all’alluvione nella zona di Valencia).
I dati mostrano che la fascia di età più rappresentata nel campo del volontariato è quella adulta, mentre i giovani under 18 rappresentano “solo” il 3% della forza volontaria. Si tratta di un dato scontato, che rispecchia la composizione demografica del nostro Paese. “Da una rapida osservazione di questi dati - sottolinea Tommasini - si capisce come la quota di popolazione giovanile sia inferiore rispetto a quella adulta: è una tendenza che aumenta col passare degli anni”.
Guardando alle attività per settore i giovanissimi (sotto i 18 anni) appaiono particolarmente presenti nell'ambito delle organizzazioni religiose: mentre in generale gli under18 rappresentano il 3% dei volontari, in questo ambito sono il 6,3%. Una possibile spiegazione è che a quest'area siano ricondotte le attività dell’Agesci (la principale associazione di scout in Italia, che è di ispirazione cattolica e accoglie bambini e bambine a partire dagli 8 anni). A differenza di quanto ci potremmo immaginare, invece, non sono molto attivi nelle organizzazioni che si occupano di ambiente (qui i volontari coinvolti hanno meno di 18 anni nell'1,6% dei casi).
Cosa ci dicono questi dati? E come si sono evoluti nel tempo? Purtroppo una risposta quantitativa non è possibile, alla luce dei dati disponibili. Possiamo però sentire l’esperienza diretta dei CSV, come racconta Tommasini. “Registriamo una vitalità pronunciata nella partecipazione giovanile, anche se è meno assidua e costante che in passato. (...) Le forme di partecipazione sono più fluide, ma i giovani non si allontanano dall’impegno”. Come mai? “Perché i giovani hanno traiettorie di vita e lavorative meno stabili e una maggiore difficoltà a dare un contributo costante e formalizzato”, afferma Tommasini. I dati statistici e l’esperienza diretta dei CSV in effetti mostrano, in generale, che avere un’occupazione stabile facilita lo svolgimento del volontariato. Pertanto è possibile che il dato che emerge dal Censimento sottostimi il volontariato giovanile, proprio perché questo si esprime in modalità più fluide e - possiamo ipotizzare - più spesso al di fuori delle organizzazioni strutturate.
Abbiamo parlato di questo anche con Maddalena Recla, che nell’ambito di Trento Capitale Europea del Volontariato ha coordinato un tavolo di riflessione volto proprio a favorire il protagonismo giovanile. Anche lei ha sottolineato che per i giovani, che vivono condizioni di vita e di lavoro più precarie rispetto alle generazioni precedenti, è sempre più difficile “avere tempo da mettere a disposizione per fare volontariato”. Tanto che, in alcuni contesti, addirittura si è iniziato a parlare di privilegio: “potersi attivare per la propria comunità - avere il tempo per poterlo fare - è quasi diventato una dimensione di privilegio”. Eppure, accanto a questa minor costanza, la voglia di essere attivi non manca. Le organizzazioni sono dunque chiamate a interrogarsi - anche con l’aiuto dei CSV - per capire come coinvolgere e mantenere al proprio interno giovani volontari, secondo le modalità che sono per loro più accessibili e consone. “Anche questa - conclude Tommasini - è una sfida per maturare competenze orientate alla sostenibilità del volontariato”.
Più in generale al centro c’è la questione dell’intergenerazionalità, evidenzia Recla: “spesso, per semplificare, si mettono in contrapposizione le diverse generazioni. Invece ognuno ha qualcosa da dare”. Competenze pratiche, sensibilità e capacità ci sono da entrambe le parti - pensiamo per esempio alla sfida della digitalizzazione nel Terzo Settore: perciò è importante che ci siano degli spazi di scambio effettivo. La sfida dei prossimi anni? “Capire come rendere le organizzazioni più accessibili, e fare in modo che anche i giovani e le giovani possano avere degli spazi decisionali e organizzativi“. Per far sì che, in un Paese che invecchia e si spopola, il volontariato possa continuare a essere una forza viva e portatrice di istanze di inclusione e giustizia.
Note
- I dati che compaiono nell’articolo sono tutti tratti dalla rilevazione campionaria del Censimento permanente delle istituzioni non profit del 2021 dell’Istat, i cui risultati sono stati pubblicati in due diverse tornate ad aprile e a luglio 2024. Fonti dati diverse da questa sono espressamente indicate. Per ragioni di brevità nell’articolo si usa l’espressione sintetica “Censimento”, sebbene la dicitura più completa e precisa sia “rilevazione campionaria del Censimento permanente delle istituzioni non profit”.
- Gli enti registrati dal Censimento Istat sono: associazioni, cooperative sociali, fondazioni e organizzazioni non profit con altra forma giuridica.
- I Centri di Servizio per il Volontariato (CSV) sono enti territoriali che si occupano di organizzare, gestire ed erogare servizi di supporto tecnico, formativo ed informativo per promuovere e rafforzare la presenza ed il ruolo dei volontari in tutti gli enti del Terzo Settore. La loro operatività è sostenuta dal Fondo unico nazionale destinato alle attività dei CSV, alimentato da risorse provenienti dalle Fondazioni di origine bancaria.