I buoni pasto sono uno strumento strategico per il welfare aziendale. Come vi abbiamo raccontato recentemente, nel solo 2023 le imprese pubbliche e private hanno investito più di 4 miliardi di euro in questi strumenti. Una cifra importante che sostiene un ecosistema composto da numerosi attori – aziende, commercianti, provider di servizio, lavoratori e lavoratrici – con diversi interessi che non sempre sono facili da tenere in equilibrio. Ora una nuova previsione normativa promette di cambiare radicalmente il mercato dei buoni pasto.
Un emendamento del DDL Concorrenza, firmato dal deputato di Fratelli d’Italia Silvio Giovine e approvato lo scorso 20 novembre nelle Commissioni Attività Produttive e Ambiente, prevede di introdurre un tetto massimo del 5% sulle commissioni che le società emettitrici possono richiedere agli esercenti (come ristoratori e supermercati)1. Si tratta di una novità importante che investirà migliaia di aziende private2 che utilizzano questi strumenti. Cerchiamo di comprenderne meglio le implicazioni.
Come funziona il sistema dei buoni pasto
Il sistema dei buoni pasto è composto da alcuni attori principali, come spiega Altroconsumo:
- le imprese e i datori di lavoro che acquistano i buoni pasto come servizio sostitutivo della mensa, godendo di agevolazioni fiscali previste dalla normativa3, e li mettono a disposizione dei propri dipendenti;
- le società emettitrici, che generano il buono (digitale o cartaceo) e, tramite le imprese, lo mettono a disposizione di lavoratori e lavoratrici e garantiscono una rete di esercenti convenzionati in cui è possibile spendere il buono.
- i dipendenti, che ricevono i buoni dalle imprese e che li possono utilizzare presso la rete di esercenti convenzionati;
- gli esercenti, che accettano i buoni pasto per il “pagamento” di beni o servizi (ma che hanno delle commissioni da pagare alle società emettitrici per far parte della loro rete);
In sintesi, le aziende comprano dalle società emettitrici il buono pasto per i propri dipendenti che possono spenderlo in una ampia rete di esercizi commerciali che li accettano. Al tempo stesso, gli emettitori applicano uno sconto per le aziende sul prezzo d’acquisto (fino al 15-20% sul totale dell’investimento fatto dall’impresa) che è possibile perché le società emettitrici applicano una commissione agli esercenti, ovvero una trattenuta dal valore nominale del buono, in una percentuale che varia dal 5-7% fino al 18-20% (secondo i dati Fipe Confcommercio). Su quest’ultimo tassello del sistema, dunque, ricade quasi interamente il costo del sistema stesso.
È una situazione che per molti esercenti è diventata insostenibile. L’accettazione dei buoni può infatti essere un incentivo per lavoratori e lavoratrici a spendere in un dato esercizio piuttosto che in un altro, ma la commissione richiesta in molti casi è considerata eccessiva. Gli esercenti hanno cercato di cambiare la situazione facendo pressione sugli emettitori – ad esempio anche con lo “sciopero” del 2022 – chiedendo in particolare l’applicazione di commissioni più basse e di renderle fisse come accaduto nel settore pubblico4.
Ma visto che poco è cambiato molti ristoranti, bar e supermercati stanno decidendo di non accettare più buoni pasto. O almeno di selezionare quelli che impattano più negativamente sui loro fatturati. Adesso le cose sembrano in procinto di cambiare nettamente.
Il punto di vista delle società emettitrici
Considerando quanto appena descritto, la misura inserita nel DDL Concorrenza rischia di stravolgere il mercato dei buoni pasto. A paventare il rischio sono soprattutto le società emettitrici di buoni pasto.
Secondo Matteo Orlandini Presidente dell’Associazione Italiana Società Esercenti Buoni Pasto (ANSEB), “l’introduzione anche nel settore privato di un tetto del 5% alle commissioni pagate dai commercianti agli emittenti di buoni pasto potrebbe avere conseguenze drammatiche sulla concorrenza, sul settore e anche per i lavoratori. La misura che indebolirebbe uno strumento prezioso di welfare per i lavoratori e minerebbe un mercato da 4 miliardi di euro”. Per Orlandini, inoltre, l’emendamento andrebbe a introdurre “misure protezionistiche” che metterebbero a rischio il libero mercato.
Per affrontare i problemi del sistema, ANSEB propone una strada alternativa: “apriamo una nuova stagione di contrattazione tra privati anche, e soprattutto, a difesa degli interessi dei piccoli esercizi. E se questa non fosse l’intenzione (del Legislatore, ndr), almeno si rivedano i tempi di introduzione della misura senza far saltare gli accordi con 150 mila aziende e 170 mila esercenti, obbligando a mettere mano a oltre 300 mila contratti con immediate conseguenze sulla fruibilità dei buoni pasto“.
Stando a una nota dell’Associazione, “la stessa misura introdotta nel 2022 per i contratti nel settore pubblico ha portato a un aumento dei costi dei buoni pasto per la pubblica amministrazione pari a circa 100 milioni di euro”. Il timore di ANSEB, dunque, è che la stessa cosa possa succedere nel settore privato, dove le aziende potrebbero riscontrare – sempre secondo le stime di ANSEB – maggiori costi per almeno un 6%, per un importo stimabile in 180 milioni annui, con un peso pari a 153 euro l’anno per lavoratore.
La posizione delle imprese acquirenti
A confermare questo timore anche da parte delle imprese è stata recentemente Matilde Marandola, Presidente AIDP – Associazione italiana per la Direzione del Personale, che attraverso un articolo su Il Sole 24 Ore ha spiegato i due possibili scenari che potrebbero venirsi a creare se la norma dovesse essere confermata.
Da un lato, le aziende più grandi e con maggiori disponibilità economiche probabilmente saranno in grado di “coprire” questo incremento dei costi nell’immediato, ma dati alla mano potrebbero limitare i loro investimenti futuri in questo campo e – più in generale – nel welfare. Dall’altro, in particolare nelle organizzazioni più piccole in cui i buoni pasto non sono oggetto di contrattazione aziendale, ci potrebbe essere una immediata riduzione drastica della spesa per far fronte a questo aumento.
Questo sarebbe controproducente perché, spiega Marandola, ormai per le aziende è cruciale investire sui benefit per i propri dipendenti: “in un mercato del lavoro in cui, per ottenere l’engagement delle persone, è cruciale offrire un novero sempre più performante e ampio di benefit, che porti benessere e potere d’acquisto, il buono pasto costituisce una delle più diffuse leve sia di engagement, sia di retention. Sappiamo che oggi, soprattutto nelle nuove generazioni, è crescente l’attenzione verso tutto ciò che esula dal semplice aspetto salariale e arricchisce l’offerta complessiva: più quest’ultima è ampia, più il posto di lavoro diventa attrattivo per le giovani generazioni”.
Cosa pensano gli esercenti che accettano i buoni pasto
Ad essere soddisfatte dell’emendamento al DDL Concorrenza sono invece le realtà che rappresentano gli esercenti. Dal loro punto di vista nel corso degli anni si è creato un sistema che danneggia supermercati, ristoranti, bar e in generale chi accetta di essere pagato coi buoni. Le società emettitrici, a loro dire, avrebbero infatti progressivamente ridotto i costi a carico delle imprese per aumentare i volumi di vendita; ma a farne le spese sarebbero stati, appunto, gli esercizi commerciali.
Per questo, come riporta Askanews Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi, si è schierata a favore dell’introduzione del tetto al 5%. Secondo il vicepresidente vicario Aldo Mario Cursano “la revisione del sistema delle commissioni sui buoni pasto è una necessità ormai inderogabile. Attualmente, gli esercenti arrivano a pagare commissioni che sfiorano il 20%, una soglia inaccettabile che mina la sostenibilità economica di moltissime attività. Solo una moralizzazione del mercato può salvare lo strumento del buono pasto, che deve restare un beneficio per i lavoratori senza diventare un peso insostenibile per la rete degli esercenti”.
Anche Federdistribuzione5, una delle principali promotrici dell’emendamento, è soddisfatta. Il suo presidente Carlo Alberto Buttarelli ha sottolineato all’Huffington Post che gli esercenti si trovano in una condizione negoziale svantaggiata. “Siamo nella situazione di dover prestare un servizio e allo stesso tempo pagare una commissione per farlo, le cui condizioni sono negoziate da altri”, dice Buttarelli. Questo perché il mercato dei buoni pasto “è dominato da pochi operatori” che impongono commissioni che “variano dal 15% al 20%”. La previsione di prevedere un tetto del 5% alle commissioni permetterebbe di “remunerare più che adeguatamente il servizio, tenendo conto che il mercato dei ticket è in crescita costante, soprattutto nella forma digitale che oggi copre circa il 90% del totale”, senza pesare totalmente su chi accetta i buoni.
Lavoratori e lavoratrici senza voce
Queste dunque sono le posizioni che, in vario modo, sono state espresse in questi giorni sull’emendamento che promette di introdurre un tetto del 5% alle commissioni dei buoni pasto.
Senza soffermarci in questa sede in giudizi sulla validità dell’uno o dell’altro punto di vista, quello che ci preme sottolineare in questa sede è che all’appello manchi la voce di lavoratori e lavoratrici. Sulla stampa non si trovano infatti opinioni dei sindacati o associazioni di tutela dei consumatori su questa scelta normativa. Quelli che, in fin dei conti, sono i veri fruitori dei buoni si trovano nell’impossibilità di spiegare che i buoni pasto sono una delle formule più apprezzate di integrazione del reddito e che, presumibilmente, questo mutamento del sistema – se non adeguatamente discusso prima dell’approvazione – rischia anzitutto di penalizzare lavoratori e lavoratrici.
A questo punto, data la centralità dei buoni pasto, sarà interessante tenere monitorato il dibattito intorno all’emendamento e provare a capire cosa succederà se la norma sarà così confermata. Per questo continueremo ad approfondire i diversi punti di vista degli attori in gioco.
Note
- L’emendamento prevede un periodo transitorio di 12 mesi dall’entrata in vigore della misura per dare tempo agli operatori di adeguare i contratti ancora in essere alla disposizione.
- Mentre un tetto alle commissioni, pari proprio al 5%, è già previsto dal 2022 per i buoni delle aziende del settore pubblico.
- La normativa di riferimento è la stessa del welfare aziendale, cioè l’articolo 51 del TUIR, il Testo Unico delle Imposte sui Redditi.
- Nel 2022 attraverso una modifica al Codice degli Appalti è stato stabilito che in sede di gara per l’aggiudicazione di buoni pasto per la Pubblica Amministrazione le società emettitrici devono garantire delle commissioni non superiori al 5% delle singole transazioni
- Federazione che riunisce e rappresenta le aziende della Distribuzione Moderna, alimentare e non, che operano con reti di negozi fisici e attraverso i nuovi canali digitali.