Sono passati 20 anni esatti dall’approvazione della Legge 40, che dal 2004 regola la Procreazione medicalmente assistita (Pma) in Italia. Approfondire come la PMA si sia evoluta nel corso di questi due decenni è un esercizio interessante perché permette di comprendere come quella tra servizi, scienza e cultura sia una delle triadi più sfidanti di questa fase storica.
Nel momento in cui si andarono a consolidare i servizi di assistenza alla maternità e si innestarono progressivamente nel Sistema Sanitario Nazionale, il contesto socio-culturale italiano era profondamente diverso da quello attuale. Capire cosa è cambiato e cosa non può essere utile per fare alcune riflessioni.
Un contesto fortemente mutato
Negli anni ‘70, si veniva da anni di baby boom, di scarsa consapevolezza sessuale, di difficile accesso alla contraccezione, di aborti illegali, ma anche di parti insicuri. In questo contesto, gli obiettivi su cui si indirizzarono i servizi per la salute della donna e materno-infantili furono sostanzialmente due.
Da un lato, mettere in sicurezza le gestanti e i nascituri, con la predisposizione di strutture e percorsi dedicati (dai consultori, ai reparti ostetrico-ginecologici, ai servizi post-partum) che nel tempo hanno prestato sempre maggiore attenzione anche agli aspetti psico-sociali. Dall’altro, favorire l’autodeterminazione femminile, che in un periodo di istanze di emancipazione, significava promuovere l’educazione sessuale, l’accesso alla contraccezione e all’aborto legale e sicuro.
Da allora, la società è profondamente cambiata: oggi si fanno meno figli e si fanno sempre più tardi (come raccontiamo nella serie Denatalitalia). Inoltre, i progressi raggiunti nel campo della medicina della riproduzione hanno aperto nuovi scenari, aumentando le possibilità di concepimento in età più avanzata, o con condizioni di fertilità critiche, o nonostante malattie e terapie. Contemporaneamente, avanzano le istanze di single e coppie omosessuali.
Tuttavia i servizi sanitari – e sociali – arrancano nel stare al passo con cambiamenti socio-culturali e con progressi medico-scientifici sempre più rapidi, anche per effetto di un dibattito in cui gli aspetti prettamente sanitari sono profondamente intrecciati a quelli etici e ai modelli sociali e familiari che si intendono perseguire.
Tra questi servizi, come detto, la Procreazione medicalmente assistita è un caso paradigmatico e interessante. Lo è non tanto per il contributo (molto limitato) che questa pratica può dare alla sempre più debole natalità italiana, quanto perché avere dei servizi sanitari e sociali che migliorino il ricorso alla PMA consentirebbe una maggiore facoltà di scelta a chi vorrebbe dei figli ma fatica ad averli.
La legge 40/2004
Il primo riferimento normativo sulla Pma viene approvato nel 2004 con l’approvazione della legge 40/2004 recante “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, che negli anni ha subito diverse modifiche a seguito di alcune sentenze della Corte Costituzionale nonché di ulteriori provvedimenti finalizzati principalmente a normare i requisiti minimi organizzativi, strutturali e tecnologici delle strutture sanitarie autorizzate e il rispetto delle norme di qualità e di sicurezza dei tessuti e delle cellule, al fine di tutelare genitori e nascituri. Molti di questi provvedimenti sono stati favoriti dal miglioramento delle tecniche; ad esempio sono state estese le possibilità di preservazione della fertilità dei pazienti oncologici, a cui peraltro si devono in parte gli investimenti sulla crioconservazione1. Più di recente, a marzo 2024, sono state approvate le Linee guida del Ministero della salute contenenti le indicazioni delle procedure e delle tecniche di Procreazione medicalmente assistita.
Uno dei cambiamenti più rilevanti ha riguardato in particolare l’articolo 4 della legge n. 40, che prevedeva il divieto assoluto di ricorso alla donazione di gameti sia femminili sia maschili esterni alla coppia che accede alle tecniche di procreazione assistita (Pma di tipo eterologo). La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 162 del 2014, ha ritenuto tale divieto incostituzionale, in quanto lesivo del diritto all’autodeterminazione delle coppie sterili e infertili, a seguito della quale con la legge 23 dicembre 2014, n. 190, è stata introdotta la possibilità di ricorrere all’eterologa, pur nel rispetto di alcune condizioni, come che sia effettuata da coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi e che la donazione sia anonima, altruistica e volontaria. Tuttavia, poiché in Italia il numero di donazioni è minimo, oltre il 98% dei cicli di donazione viene eseguito con gameti acquistati da banche estere, principalmente dalla Spagna (Ministero della Salute 2023).
La legge è tuttora discussa perché continua a precludere l’accesso all’eterologa ad alcune categorie: aspetti che evidenziano appunto come questa materia si muova in un difficile equilibrio tra medicina, etica e cultura e costituisca uno dei temi attuali più sensibili – come dimostra anche il recentissimo dibattito sulla maternità surrogata.
La rapida ascesa della Pma
Il ricorso alla Pma è cresciuto significativamente negli ultimi anni (Figura 1). Secondo i dati raccolti dal Registro Nazionale della Procreazione Medicalmente Assistita, istituito presso l’Istituto Superiore di Sanità, in vent’anni l’attività di Pma è quasi raddoppiata, dai 63.585 trattamenti del 2005 ai 108.067 del 2021, raggiungendo volumi comparabili a quelli europei). La percentuale di bambini nati vivi grazie alla Pma rispetto a tutti i nati nel nostro Paese è passata dall’1,21% del 2005 al 5,15% del 2021.
Si tratta di risultati raggiunti anche grazie ai progressi nella ricerca medico-scientifica e ai cambiamenti normativi che hanno favorito lo sviluppo delle tecniche. Ad esempio, le procedure di Pma che prevedono l’utilizzo di embrioni crioconservati sono aumentate da 1.338 nel 2005, pari al 3,6% delle procedure, a 29.890 nel 2022, pari al 31,1%, simile al valore medio europeo 2; mentre le tecniche di Pma che utilizzano gameti donati sono aumentate da 246 cicli nel 2014, pari allo 0,3%, a 15.131 cicli nel 2022, pari al 13,8%.
Inoltre, tali tecniche hanno migliorato la propria efficacia: per esempio, si assiste alla diminuzione del numero medio di embrioni trasferiti in utero, passato da 2,3 nel 2005 a 1,3 nel 2022, aspetto positivo perché riduce la percentuale di parti multipli indesiderati, uno dei rischi maggiori collegati all’utilizzo delle tecniche di Pma3.
Certamente l’aumento delle donne che cercano una gravidanza in età più avanzata comporta un maggiore ricorso alla Pma. Secondo i dati riportati dal Ministero della Salute, l’età media delle donne che si sottopongono a cicli di Pma è passata da 34 anni nel 2005 a 37 anni nel 2022 (in Europa nel 2019 era 35 anni) e la quota di donne sopra i 40 anni che era del 20,7% nel 2005 ha raggiunto il 33,9% nel 2022 (in Europa nel 2019 era del 21,9%). Ma la Pma resta una soluzione ai problemi di fertilità che caratterizzano anche i più giovani. Ad esempio, l’ospedale San Filippo Neri di Roma riporta che l'86% degli accessi registrati negli ultimi anni per la Procreazione Medicalmente Assistita (Pma) ha riguardato coppie con un'età tra i 22 e i 37 anni e un aumento di donne con bassissima riserva ovarica nella fascia d'età tra i 22 e i 37 anni.
Accessibilità: le differenze territoriali
I numeri della Pma sono dunque in crescita ma potrebbero essere significativamente superiori se si intervenisse su alcune differenze territoriali. Lo Stato sostiene la Pma attraverso il Fondo per le tecniche di Pma, che ha vissuto fasi alterne (a partire dal 2018 era stato annullato per poi essere reintrodotto con la Legge di bilancio n. 178/2020), ma le risorse vengono gestite dalle Regioni Questo dà luogo a differenze territoriali in merito all’età di accesso alle prestazioni, modalità di erogazione delle prestazioni, costi e tempi di attesa. La Pma infatti rientrerà nei LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza, solo dal 1° gennaio 2025 (avrebbe dovuto farlo il 1° aprile 2024, ma un cospicuo numero di Regioni hanno chiesto e ottenuto il rinvio).
I centri di Pma attivi sul territorio nazionale nel 2021 erano 340, di cui 100 pubblici, 19 privati convenzionati con il Servizio sanitario nazionale e 221 privati. La presenza di centri pubblici è maggiore in alcune regioni del Nord (Lombardia, Liguria, Friuli-Venezia Giulia) e del Centro (Marche); centri privati sono la maggioranza in quasi tutte le regioni del Sud e in alcune del Centro-Nord (Lazio, Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna); i 17 centri privati convenzionati sono quasi esclusivamente presenti in Lombardia ed in Toscana (Figura 2).
Tuttavia, non va considerato solo se sono attivi, ma quanto attivi: un consistente numero di centri Pma di II e III livello4 svolge infatti un numero ridotto di procedure nell’arco dell’anno. Solo il 32,6% di questi centri ha eseguito più di 500 cicli, contro una media europea del 47,3% (European IVF Monitoring, EIM anno 2018). La maggior parte dei centri italiani attivi sono concentrati in cinque Regioni: Lombardia (16,2% del totale), Campania (13,2%), Veneto (10,6%), Lazio (10,3%) e Sicilia (9,7% del totale) (Figura 2). Nel 2021, su 92.407 cicli iniziati di Pma di II-III livello nel 2021, la Lombardia si conferma inoltre la Regione con la maggiore mole di attività in Italia, con 22.258 cicli di II e III livello avviati, quasi il doppio della seconda, il Lazio (Figura 3). Inoltre, i centri più attivi sono quelli privati: l’89% dei centri che effettuano più di 1.000 trattamenti l’anno e il 53% di quelli che ne effettuano tra 500 e 1.000 sono privati, convenzionati e non.
Ma le differenze di accesso non emergono solo nella disponibilità di centri e nel numero delle prestazioni erogate, quanto anche nella tipologia delle prestazioni. Ad esempio secondo il monitoraggio del Ministero del 2023, nella Regione Basilicata, l’unico centro di PMA (Presidio Ospedaliero di Matera), ha erogato nel 2022 esclusivamente prestazioni diagnostiche e non prestazioni terapeutiche, per grave carenza di personale sanitario.
Non c’è da stupirsi se la diversità tra i sistemi regionali alimenti, anche in questo campo, la mobilità sanitaria: il 25,5% dei cicli iniziati con tecniche a fresco5 ed il 41,5% dei cicli che utilizzano gameti donati è stato effettuato su pazienti che non risiedono nella Regione di appartenenza del centro; la mobilità avviene principalmente verso i centri pubblici o privati convenzionati della Toscana e della Lombardia e per la donazione verso i centri privati del Lazio (Ministero della Salute, 2023). A questi si aggiungono coloro che si recano all’estero, i cui dati sono difficili da reperire ma dovrebbero attestarsi sui 13.000 casi all’anno (Siru 2019), triplicati in 10 anni.
Un problema di sistema
L’accesso alla Pma è compromesso anche dai problemi nella governance dei servizi, caratterizzati dalla frammentazione dei percorsi e dal mancato coordinamento tra i vari professionisti (ginecologi, andrologi, biologi, ecc.).
Per questo nel programma della Siru - Società italiana della riproduzione umana - si esorta allo sviluppo di un sistema che coinvolga in primo luogo il territorio e metta in rete consultori, medici di medicina generale, strutture specialistiche, che sia in grado di attivare percorsi di diagnosi e terapia, e di definire i diversi ruoli delle figure sanitarie che vi operano, partendo dalla consapevolezza che non si può prescindere da una presa in carico globale delle persone e delle coppie.
Sono obiettivi non semplici da perseguire per un settore che si è molto sviluppato nell’alveo della sanità privata e in cui persiste una direzione politica debole e confusa, come suggerisce l’andamento irregolare dei finanziamenti per la Pma, la sua marginalità nella programmazione sanitaria, il posticipo del suo ingresso tra i LEA. Senza contare che la materia - intrecciata a ragioni morali e ideologiche - è avanzata negli anni perlopiù grazie agli interventi della Corte Costituzionali, alle di azioni di coppie, giuristi e società civile e spesso in ritardo rispetto ad altri Paesi europei e non.
Promuovere la consapevolezza sulla fertilità
Come spiegato sopra, diversi fattori influenzano il ricorso alla Pma, tra cui la maggiore accessibilità dei servizi, le minori restrizioni sui requisiti richiesti, l’avanzamento dell’età delle coppie con i conseguenti problemi di fertilità. Ma c’è anche un altro importante fattore che condiziona il ricorso alla Pma: l’alfabetizzazione sanitaria.
Ad esempio, si osserva una maggiore frequenza di parti con procreazione medicalmente assistita tra le donne con scolarità medio alta rispetto a quelle con scolarità medio bassa (Ministero della salute 2023 e Uggerhøj et al 2024). A questo proposito, sempre più frequenti sono gli appelli di studiosi e medici a promuovere una maggiore consapevolezza, sin dalla giovane età, dei fattori biologici e dei comportamenti che condizionano le capacità riproduttive di donne e uomini. Per effetto di quel contesto socio-culturale di cui si diceva all’inizio, infatti, i servizi e i programmi di educazione affettiva e sessuale - peraltro oggi molto lacunosi - sono ancora concentrati sulla contraccezione, mentre è scarsa la formazione sull’infertilità e sui comportamenti che possono essere adottati per prevenirla. Da tempo in realtà le associazioni di coppie infertili sono impegnate in questo ambito nelle scuole, nelle strutture sanitarie o attraverso sportelli e luoghi di ascolto, ma sono ancora pochi.
In una società in cui l’età in cui si fanno figli è sempre più posticipata e si diffondono nuovi modelli affettivi e familiari, informare le persone e agevolarne l’accesso ai servizi, significa infatti metterle nelle condizioni di determinare consapevolmente le proprie scelte, in uno spazio in cui l’intreccio tra competenze mediche, esperienze e riferimenti valoriali personali rende difficile orientarsi.
Note
- Tecnica che consiste nel congelamento di materiale biologico per la procreazione in azoto liquido per conservarlo nel tempo mantenendone inalterate le condizioni.
- L’ultimo dato disponibile riguarda il 2019 ed era del 31,2%
- Il dato è sceso dal 23,2% del 2005 al 5,9% del 2022
- I centri di I livello sono quelli in cui si applicano solamente tecniche di I livello; i centri di II e III livello effettuano tecniche di I, II e III livello e si differenziano per il tipo di anestesia: in particolare nei centri di II livello si applicano procedure eseguibili in anestesia locale e/o sedazione profonda, mentre nei centri di III livello si applicano anche procedure che necessitano di anestesia generale con intubazione (Ministero della Salute 2023).
- Si parla di tecniche di scongelamento per il II e III livello quando si utilizzano gameti precedentemente crioconservati per formare embrioni, o direttamente embrioni precedentemente crioconservati, mentre si parla di tecniche a fresco quando nella procedura si utilizzano sia ovociti che embrioni non crioconservati (Ministero della Salute 2023).