Il Novecento è stato il secolo delle guerre mondiali, dei genocidi in Europa e in Africa, ma anche della crescita di consapevolezza delle sempre maggiori responsabilità degli Stati nazionali. L’allargamento del raggio di azione dei soggetti pubblici ha portato alla nascita dei Welfare State: tutti i cittadini all’interno dei confini nazionali hanno così acquisito il diritto a essere tutelati negli ambiti fondamentali della vita quotidiana. Al contempo, il processo di secolarizzazione in atto nei Paesi “occidentali” sembrava inarrestabile.
Oggi, invece, a mano a mano che ci si addentra nel nuovo secolo, lo scenario appare decisamente mutato: i sistemi pubblici di welfare sono ovunque in affanno, i processi di esclusione e di discriminazione all’interno dei Welfare State appaiono sempre più rilevanti, il fattore religioso riprende vigore, sia pure con nuove caratteristiche.
Il “welfare religioso”, peraltro tra i fattori dell’origine dei Welfare State che conosciamo, è stato a lungo trascurato nelle analisi e negli studi accademici, ma oggi l’influenza dell’appartenenza religiosa nell’azione dei principali attori del welfare contemporaneo assumono un rilievo non trascurabile. Nel focus “Le religioni nel welfare in transizione. Prospettive per la ricerca sociale” che abbiamo curato per il fascicolo 2/2024 della rivista «Politiche Sociali/Social Policies», il nostro intento è stato quello di richiamare l’attenzione su tali nuovi scenari. Di seguito si propone una sintesi del tema e dei contenuti di tale analisi.
Le diverse facce del welfare religioso
La ricognizione realizzata grazie ai nove contributi raccolti per la rivista ha consentito di far emergere il ruolo da protagonista del fattore religioso, a partire dal nostro Paese, sia nel forgiare alcune caratteristiche del Welfare State come sono state definite nella Costituzione (come argomenta Marsico nel suo saggio su Dossetti), che nell’accompagnare il divenire delle politiche sociali. Alcuni settori del welfare, dai comparti assistenziali a quelli sociosanitari, sono stati costantemente presidiati in modo non irrilevante da organizzazioni di diretta emanazione della Chiesa o comunque di ispirazione religiosa, anche non cattolica, come emerge dall’articolo di Marinaro che dà conto dell’evoluzione della Caritas e del suo ruolo in uno scenario in costante evoluzione.
I patti e le intese sottoscritte fra lo Stato e le principali Confessioni religiose presenti nel nostro Paese (ad esclusione, ancora oggi, di quelle islamiche), così come la legislazione sulle donazioni a tali Confessioni, hanno indubbiamente contribuito a rafforzarne il loro ruolo welfarista. È quanto emerge dai saggi di Giorgio Marcello e Pierluigi Consorti che si concentrano, rispettivamente, sui sistemi di finanziamento delle confessioni religiose e su patti e intese sottoscritti con esse dallo Stato italiano.
D’altro canto – come ben illustra la ricerca di Molli e Ambrosini contenuta nel fascicolo – la nuova antropologia nazionale, che vede la presenza di circa 6 milioni di immigrati, e i difficili processi di integrazione hanno evidenziato un ruolo centrale delle “Chiese” e delle comunità etniche in missioni complesse, volte a sostenere i propri aderenti in azioni di mutuo aiuto, di accesso alle prestazioni del welfare pubblico, di inserimento nel mercato del lavoro. In questo senso l’esplorazione realizzata da Regalia descrive come anche nel capoluogo della regione più importante e più ricca del Paese, la Lombardia, risulti all’opera una molteplicità di organizzazioni di ispirazione cattolica con il chiaro intento di affrontare la complessa fenomenologia dell’esclusione sociale e di riempire i crescenti vuoti lasciati dal pubblico.
I nessi tra Confessioni religiose, Terzo Settore e Welfare State
In generale il welfare mix si rivela ormai lo scenario consueto in pressoché tutti i principali ambiti delle politiche sociali e il Terzo Settore, veste giuridica a cui sempre più spesso le organizzazioni del welfare religioso aderiscono, appare destinato ad ampliare il proprio raggio d’azione. Allo stesso tempo, le esigenze di professionalizzazione e di managerializzazione delle attività sociali, così come il costante confronto con le imprese profit sempre più attratte dal mercato dei servizi, ha messo in moto processi isomorfici e di ibridizzazione organizzativa: ciò lascia aperti importanti interrogativi sulle specificità del welfare religioso e sul mantenimento di tali caratteristiche nel tempo all’intero dei sistemi di welfare europei. In questo quadro, interessanti spunti di riflessione sono offerti dalla comparazione realizzata da Neri e Abramowski tra le dinamiche contrattuali in corso nel mercato dei provider di assistenza sanitaria a ispirazione cristiana in Italia e in Germania.
Lo scenario odierno, a ottant’anni dalla Costituzione e quindi dalla nascita del Welfare State nazionale basato sui diritti di cittadinanza, appare caratterizzato da un ruolo decisamente importante delle organizzazioni di ispirazione religiosa, pur a fronte di una minore capacità della Chiesa cattolica e delle altre Confessioni di influenzare i comportamenti dei propri aderenti e di una diminuita partecipazione ai tradizionali riti della religiosità. Molti sono gli ambiti sociali che vedrebbero un deciso deterioramento qualora venissero meno i presidi del Terzo Settore, e in particolare dei soggetti di ispirazione religiosa o di diretta emanazione delle Chiese.
L’influenza della religione, in Italia soprattutto cattolica, si riverbera tuttavia anche nell’attività legislativa volta a normare importanti aspetti della vita e nei comportamenti di importanti attori, a partire dai professionisti della salute. La regolazione di problematiche eticamente sensibili, dal fine vita all’interruzione volontaria della gravidanza, è risultata particolarmente significativa. Laddove la legislazione è entrata in rotta di collisione con la Dottrina della Chiesa cattolica, come nel caso della possibilità di interrompere in sicurezza la propria gravidanza nelle strutture del Servizio Sanitario Nazionale, il diritto del personale sanitario di avanzare una obiezione di coscienza in nome della propria religiosità rende più difficile l’esercizio dell’altro diritto delle donne garantito dalla legge. Un tema particolarmente delicato, affrontato nel focus dal contributo di Maes e Spina.
Prendendo in considerazione gli spunti e gli stimoli forniti dalla letteratura internazionale, il saggio di Pavolini e Quaglia mostra come i comportamenti dei professionisti della cura e della salute siano influenzati in modo non irrilevante dalle proprie convinzioni religiose, sia pure con modalità difformi nei diversi contesti di riferimento. Medici, infermieri e più in generale il personale sanitario, si trovano costantemente ad affrontare tematiche che interrogano la propria coscienza, oltreché le proprie competenze professionali. Il processo di secolarizzazione ha condotto nel tempo a una netta distinzione fra medicina e religione, fra aspetti clinici da riservare a professionisti della salute ed aspetti spirituali, terreno delle figure religiose. Difficile appare, in ogni caso, stabilire una netta separazione fra le attività di cura e di assistenza, compito del personale sanitario, e le tematiche della salvezza (della cura spirituale) della persona, affrontate con difficoltà o delegate a religiosi.
Le piste più promettenti per la ricerca
Alla luce dei contributi contenuti nella rivista e sopra brevemente accennati, molte appaiono le piste di ricerca aperte dalla nostra ricognizione.
Innanzitutto, tramite ricerche ad hoc, occorrerebbe “misurare” la capacità della appartenenza religiosa, più in generale della religiosità, di influenzare l’azione di importanti attori del welfare, da quelli della cura e della salute a quelli dell’istruzione. Ciò andrebbe declinato in contesti organizzativi diversi, pubblici e privati, così come in aree territorialmente assai diversificate, da quelle metropolitane a quelle interne. Allo stesso tempo, occorrerebbe approfondire la comparazione fra organizzazioni di ispirazione cattolica e soggetti laici, impegnati negli stessi ambiti del welfare, onde far emergere similarità e differenze. Molto spazio dovrebbero avere analisi sulle trasformazioni organizzative di tali soggetti. Di grande rilievo appare, inoltre, una ricognizione delle aree di welfare abbandonate o non sufficientemente presidiate dai soggetti pubblici e una contemporanea verifica della presenza in quelle stesse aree di soggetti religiosi, misurata in quantità e qualità.
Più in generale, i contributi raccolti nel Focus suggeriscono l’importanza di aprire una riflessione sulle effettive dimensioni del processo di secolarizzazione che ha accompagnato il Novecento e questo primo quarto di secolo: tale fenomeno appare certamente visibile nel comportamento quotidiano dei singoli individui, nel contrasto fra etica laica ed etica religiosa, ma al contempo occorrerebbe riflettere su come le confessioni religiose continuino a influenzare il sapere sociale da più punti di vista, tramite la loro visione culturale e le trasformazioni delle proprie prassi. Nel welfare in primis.
I Policy Highlights di Politiche Sociali/Social PoliciesIl presente articolo sintetizza alcuni degli esiti del lavoro pubblicato sul numero 2/2024 di Politiche Sociali/Social Policies, rivista edita dal Mulino e promossa dalla rete ESPAnet-Italia. Per maggiori dettagli e citazioni: U. Ascoli e M. Campedelli, I sistemi di welfare fra processi di secolarizzazione e resilienza dei fattori religiosi: una premessa, in «Politiche Sociali/Social Policies», 2/2024, pp. 197-220. |
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