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Le piccole imprese in Italia sono tante e fondamentali per l’economia. Ma, appunto, sono piccole. E, proprio per questo, hanno la necessità di collaborare per continuare a esistere ed essere importanti.

Reti di imprese, alleanze con i territori, piattaforme digitali. Le possibilità sono diverse, ma il bisogno è comune e, a renderlo urgente, è la situazione attuale segnata, da un lato, dalle transizioni ambientale, digitale e demografica e dall’altro da una serie di crisi internazionali e globali, dalla pandemia ai conflitti in Ucraina e Medio Oriente.

Gli effetti combinati delle emergenze che si susseguonoe dei cambiamenti epocali in corso hanno un forte impatto sulle PMI di tutti gli Stati europei, ma soprattutto su quelle italiane in particolare per via di alcune specificità nazionali.

Il contesto di riferimento

Con la sigla PMI si identificano le piccole e medie imprese, che sono solitamente classificate seguendo i parametri suggeriti dalla Commissione europea nel 2003:

  • micro impresa, meno di 10 addetti e fatturato annuo o totale di bilancio annuo inferiore a 2 milioni di euro;
  • piccola impresa, tra i 10 ed i 49 addetti e fatturato annuo o totale di bilancio annuo inferiore a 10 milioni di euro;
  • media impresa, tra i 50 ed i 249 addetti e fatturato annuo inferiore a 50 milioni di euro oppure un totale di bilancio inferiore a 43 milioni di euro.

Quando si parla di PMI, dunque, in teoria non si parla anche di micro imprese, che però sono una componente fondamentale dell’economia italiana, in maniera ancora più marcata che nel resto d’Europa.

“La presenza di microimprese in Italia è infatti più spiccata rispetto alla media europea (93%) e ad alcuni Paesi, quale la Germania (82%)”, spiegano gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano.

Il commercio locale tra rischio desertificazione e rilancio digitale

Su 4,4 milioni di imprese attive in Italia, infatti, le microimprese sono quelle numericamente più importanti, rappresentando il 95,13% del totale, contro un 0,09% di grandi imprese. Le PMI italiane sono invece circa 211.000, vale a dire il restante 4,78% del tessuto imprenditoriale italiano, ma da sole sono responsabili del 41% dell’intero fatturato generato in Italia e del 38% del valore aggiunto del Paese. Per quanto riguarda i lavoratori, invece, le PMI valgono il 33% dell’insieme degli occupati del settore privato mentre le microimprese pesano per un altro 45%, un dato anche in questo caso superiore alla media UE (29,5%) e a quello di altri grandi paesi (30% in Francia e 19% in Germania).

“Il nostro è un capitalismo fatto di piccole imprese familiari, imprenditoriali, soprattutto manifatturiere”, spiega Marina Puricelli, professoressa e direttrice del corso General Management per le PMI all’università Bocconi di Milano.

Per valorizzare le caratteristiche di questo tessuto economico, ma soprattutto per andare oltre i suoi limiti, una delle iniziative prese dalle istituzioni è stata l’introduzione, nel 2009, di una particolare forma contrattuale per favorire la creazione di reti.

Le reti di imprese

L’agenzia di Confindustria Retimpresa spiega che le reti di imprese sono un modello di collaborazione “che consente alle aziende aggregate di realizzare progetti ed obiettivi condivisi nell’ottica di incrementare la propria capacità innovativa e la competitività sul mercato, pur mantenendo ciascuna di esse indipendenza, autonomia e specialità”.

Le imprese che decidono di creare una rete formale devono firmare un contratto di rete. Quest’ultimo strumento giuridico è stato introdotto nell’ordinamento italiano, appunto, nel 2009. Come spiega Retimpresa, “è disciplinato dall’art. 3, commi 4-ter e ss. del D.L. n. 5 del 10 febbraio 2009 (convertito nella Legge n. 33 del 9 aprile 2009 e smi), come successivamente modificato e integrato da diversi interventi legislativi”. 

Secondo Puricelli, “la genesi del provvedimento è stata positiva, perché ha riconosciuto i veri bisogni delle microimprese e delle piccole imprese Italiane”. Ed effettivamente lo strumento è in crescita.

Reti di impresa: ecco come funziona il contratto di rete

Nel 2023, a quattordici anni di distanza dalla loro introduzione, i contratti di rete registrati in Italia sono stati quasi 9.000, per un totale di oltre 47.000 aziende coinvolte su tutto il territorio nazionale. Entrambi i dati, raccolti da un osservatorio sul fenomeno promosso da Retimpresa, sono in crescita rispetto al 2022, rispettivamente del 7,4% e 4,8%.

Nell’ultimo rapporto dell’osservatorio si legge che “il contratto di rete si conferma strumento particolarmente utile alle aziende di piccole dimensioni”, dal momento che il 75% delle imprese che si mette in rete ha meno di 10 dipendenti.

Tutto bene, quindi? Non esattamente.

Lo strumento riguarda ancora una parte molto limitata delle piccole imprese italiane. E i risultati ottenuti da quelle coinvolte non sempre sono soddisfacenti.

Secondo Angelo Di Gregorio, professore di economia e gestione delle imprese dell’Università di Milano-Bicocca e direttore del CRIET – Centro di Ricerca Interuniversitario in Economia del Territorio, esiste “una tendenza ormai sotto gli occhi di tutti: la progressiva riduzione delle unità locali delle PMI e, in particolare, del commercio”. Il contratto di rete, per il professore, è stato “il tentativo del legislatore” di contrastare questa tendenza, “ma, salvo rarissime eccezioni, non ha funzionato”.

Il giudizio di Puricelli è meno drastico. “Dal punto di vista quantitativo, valuto positivamente l’esperienza del contratto di rete: non si sono mai visti accordi così numerosi come quelli attuali”, dice. “Dal punto di vista qualitativo, invece, il successo dei contratti di rete non corrisponde al numero di reti sottoscritti, puntualizza.

La reciprocità

In pratica, sottoscrivere un contratto di rete è tutto sommato facile. Far funzionare davvero una rete di imprese, invece, è molto più complicato.

“Servono una vicinanza di valori e linguaggio tra le aziende che ne fanno parte, serve una visione di medio-lungo periodo, ma soprattutto servono gratuità e reciprocità, continua Puricelli. Per gratuità, intende la voglia degli imprenditori di “investire tempo e denaro” nella collaborazione. Con reciprocità, invece, si riferisce al fatto che “lo scambio tra le imprese deve essere il più possibile alla pari in termini di contributi e impegno”.

Il concetto di reciprocità è centrale anche per un’altra esperienza che punta a invertire il trend negativo di cui parla Di Gregorio, favorendo il commercio locale, dando alle PMI maggiori possibilità di vendita e stimolando nuove forme di collaborazione tra imprese. Si tratta di MarketPass, un’iniziativa della società TreCuori.

L’idea è la stessa dei contratti di rete – aumentare la competitività delle imprese, lasciando intatta la loro autonomia – ma lo strumento scelto è radicalmente diverso. Non un accordo giuridico, ma una piattaforma di commercio on-line riservata a micro, piccole e medie imprese.

Un patto di reciprocità per le PMI

“La piattaforma promuove la collaborazione tra le aziende e persegue la stessa logica mutualistica che si ritrova nelle reti di impresa, ossia la logica secondo cui le organizzazioni si uniscono e cooperano per essere più competitive sul mercato e rispondere alle sfide della globalizzazione”, hanno scritto i ricercatori di Secondo Welfare Valentino Santoni e Alice Fanelli in uno studio di prossima uscita dedicato ad approfondire proprio il modello MarketPass.

Sulla piattaforma il concetto di reciprocità si concretizza in un meccanismo che spinge le imprese che vendono su Marketpass a fare anche acquisti su Marketpass, innescando un circolo virtuoso in cui ogni PMI può trovare nuovi mercati e, al tempo stesso, contribuire ad allargare quelli di altre PMI. È un nuovo modo di collaborare tra aziende: digitale, fluido e reso possibile dagli strumenti tecnologici messi a disposizione da TreCuori, che è una società benefit e per questo chiede alle PMI tariffe contenute per il suo servizio.

Territori e valori

MarketPass è stato lanciato da pochi mesi, quindi bisognerà aspettare per capire se e quanto riuscirà a diffondersi, sia tra le PMI sia tra i potenziali utenti consumatori. Di Gregorio, che ha seguito l’iniziativa, è ottimista: «Può arrivare a rubare, in prospettiva, quote di mercato ad Amazon. Sarebbe però sbagliato confrontare Amazon con la società di gestione di MarketPass, in realtà il meccanismo è funzionale ad aggregare PMI Pmi italiane, che sono una quantità incredibile. La chiave starà nella capacità di diffusione», ha dichiarato lo scorso gennaio al Corriere della Sera.

La missione è difficile, ma alcuni elementi fanno ben sperare la dirigenza di TreCuori. Uno di questi è quello che Santoni e Fanelli hanno definito un “concreto legame tra MarketPass e l’economia solidale”.

I due ricercatori di Secondo Welfare hanno scritto che “la piattaforma si propone come promotrice di un rapporto diverso tra consumatori e produttori che mette al centro le micro, piccole e medie imprese e promuove in prospettiva una maggiore sensibilità da parte di chi acquista”. In questa direzione, continua lo studio “la volontà di MarketPass è, da un lato, quella di dare valore all’attività e ai prodotti realizzati dalle micro, piccole e medie attività commerciali senza penalizzarle in alcun modo. Dall’altro lato, c’è l’idea di richiamare la sensibilità da parte dell’utente che utilizza la piattaforma per i propri acquisti. In questa direzione, come accade nel campo dell’economia solidale, anche il consumatore è chiamato a compiere una scelta che può avere un valore etico: quella di preferire un portale in grado di garantire i giusti prezzi per chi vende e, al tempo stesso, una convenienza economica anche per chi acquista”.

Quando il welfare aziendale sostiene il commercio locale

Uno degli obiettivi principali di TreCuori, infatti, è mantenere almeno una parte degli scambi commerciali nei territori, generando benessere per l’intera comunità locale. Le imprese che entrano in MarketPass, quindi, lo fanno per migliorare loro stesse, ma anche per sostenere il territorio in cui operano.

Per una piccola azienda, oggi, potrebbe non essere una cosa da poco, anche nei rapporti con i lavoratori. In un mercato del lavoro che è cambiato molto, è infatti diventato difficile trovare personale e trattenerlo.

Come ci ha spiegato Arianna Visentini, fondatrice e presidente della società di consulenza aziendale Variazioni “il tema non è più soltanto l’aumento della retribuzione, ma anche dare un senso che sappia conciliare le aspettative dei lavoratori dal punto di vista orgranizzativo (flessibilità, quotidianità, conciliazione) e valoriale”. Ecco perché “promuovere la prossimità, praticare la sostenibilità ambientale, valorizzare il territorio sono tutte risposte a bisogni che oggi consideriamo sempre più vitali, anche per le PMI”.

 

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al sostegno di TreCuori nell’ambito di un progetto di ricerca e comunicazione curato da Percorsi di secondo welfare

 

Foto di copertina: Clark Young, via Unsplash