Rassegna Stampa
Primo Welfare / lavoro

Un anno dopo la riforma del Reddito di Cittadinanza: il bilancio negativo del “Supporto per la formazione e il lavoro”

I dati Inps mostrano che solo 96.000 persone hanno usufruito della misura introdotta dal governo Meloni, a fronte dei 350.000 beneficiari previsti. Un articolo del Corriere della Sera analizza la situazione e le sue possibili cause.
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È trascorso un anno dall’introduzione del Supporto per la formazione e il lavoro (SFL), misura creata dal Governo Meloni come parte della riforma del Reddito di Cittadinanza (RdC) per intercettare i cosiddetti “occupabili” esclusi dal nuovo Assegno di Inclusione (ADI), pensato invece per sostenere le persone povere non in grado di lavorare.

Il SFL, in breve, è nato dall’idea che molti percettori del RdC “attendevano sul divano” il sussidio anche se abili al lavoro. Dunque, invece di fornire loro un sostegno “automatico”, è stata creata una misura per spingerli a formarsi e, verosimilmente, avere più possibilità di trovare un’occupazione. Per questo la normativa del SFL prevede un sostegno di 350 euro al mese, per un massimo di 12 mesi, a condizione che chi lo riceve partecipi a corsi di formazione o ad altre iniziative di politica attiva.

Secondo un recente articolo del Corriere della Sera, però, a un anno dalla sua introduzione, la misura appare fallimentare. I dati forniti dall’Inps lo scorso luglio mostrano infatti risultati ben al di sotto delle aspettative: solo 96.161 persone hanno usufruito dell’assegno da 350 euro, per una spesa complessiva di poco più di 100 milioni di euro, a fronte degli 1,5 miliardi stanziati per il biennio 2023-24. Le stime iniziali del Governo prevedevano 350.000 beneficiari nel 2023 e addirittura 615.000 nel 2024.

Una delle ragioni di questo insuccesso potrebbe essere che molti ex percettori del Reddito di Cittadinanza abbiano preferito lavorare in nero piuttosto che accettare i vincoli della nuova misura, considerata economicamente inadeguata. Inoltre, mancano dati chiari su quali iniziative di politica attiva siano state effettivamente attuate e su quanti beneficiari abbiano trovato lavoro. Questo evidenzia, come sottolinea l’articolo di Enrico Marro, le difficoltà persistenti del sistema pubblico di collocamento nell’inserire i cosiddetti “occupabili”, in gran parte con basse qualifiche e poca esperienza, nonostante la domanda di manodopera resti alta, anche per le mansioni meno qualificate.

La formazione per i poveri senza lavoro? Aiutati solo in 96 mila (e nessuno sa quanti abbiano trovato un’occupazione)
Enrico Marro, Corriere della Sera, 1 settembre 2024