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Questo articolo è uscito sul numero 2/2024 di Rivista Solidea, pubblicazione promossa dall’omonima Società di mutuo soccorso e parte del network del nostro Laboratorio.

Gli studi epidemiologici ci insegnano che le dimensioni sociali come istruzione, classe sociale, reddito e ricchezza hanno un impatto significativo sulla salute lungo l’arco della vita. Ed è al contempo ormai evidente a tutti noi, cittadine e cittadini, quanto la salute sia influenzata dalla distribuzione disuguale di beni e risorse e che questo riguardi anche le città e i luoghi ritenuti ad alto livello di benessere e protezione sociale.

Le persone considerate vulnerabili, spesso residenti in aree svantaggiate, possiedono minori risorse e capacità di evitare impatti negativi sulla propria salute. Tuttavia, se riescono a sviluppare capacità di resilienza, possono migliorare le loro condizioni di vita. Il capitale sociale si rivela essenziale, funzionando sia come una rete di relazioni interpersonali, sia come una risorsa personale utilizzata per conseguire obiettivi specifici e fronteggiare le situazioni critiche. Le persone in zone svantaggiate spesso hanno accesso limitato a questo capitale, esprimono minore fiducia e coesione sociale. I servizi socio-sanitari, quindi, possono giocare un ruolo fondamentale nel promuovere la salute in queste aree, ampliando il raggio del proprio intervento dalle prestazioni tecniche alla costruzione di capitale sociale, per aumentare le capacità individuali e collettive e per ridurre la frammentazione e la burocrazia dei servizi.

Il Programma Habitat Microaree (HM) (su Secondo Welfare ne avevamo già parlato qui, ndr) è una pratica innovativa dei servizi che opera sul territorio della Regione Friuli Venezia Giulia. Nel 2016, sulla pratica HM di Trieste è stato condotto uno studio che ha consentito di valutare empiricamente l’efficacia dei meccanismi sociali attraverso i quali servizi innovativi creano capitale sociale che a sua volta ha un impatto positivo nel ridurre le disuguaglianze di salute.

Una pratica di lavoro dei servizi integrati: le Microaree di Trieste

Trieste e la sua provincia, con circa 235.000 abitanti, rappresentano un’area con forti cambiamenti demografici, quali l’invecchiamento della popolazione e il calo del numero di abitanti. La città ha visto una crescita significativa della percentuale di anziani, che ormai costituisce circa il 30% della popolazione. Questo ha portato a un aumento dei nuclei familiari unipersonali, spesso composti da anziani soli, in particolare donne, e a una trasformazione verso strutture familiari più instabili e reti sociali frammentate.

Le sfide sociali e sanitarie emergono con maggiore intensità nelle aree con alta densità di alloggi di edilizia residenziale pubblica, dove si riscontrano isolamento e vulnerabilità economica, oltre a malattie croniche e perdita di autosufficienza. Queste condizioni hanno reso sempre più urgente la necessità di riformare l’organizzazione dei servizi sociosanitari, ponendo l’accento sulla prevenzione e il rafforzamento della coesione comunitaria. Il Programma HM, avviato alla fine degli anni ‘90, prevede un’attiva collaborazione tra enti pubblici, cittadini, associazioni locali, cooperative sociali e volontariato, per sviluppare interventi integrati nei settori della sanità, educazione, habitat, lavoro e democrazia locale, in linea con le direttive dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e delle istituzioni europee.

Habitat Microaree: un'esperienza di welfare di comunità a Trieste

L’evoluzione dei protocolli d’intesa definiti tra Azienda sanitaria di Trieste, Comuni di Trieste e Muggia e Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale (ATER) ha permesso al programma di superare la fase sperimentale per diventare un servizio ordinario, non un progetto ma una pratica di lavoro dei servizi integrati, con interventi localizzati nelle cosiddette Microaree, ovvero aree (gruppi di caseggiati) che vanno da 500 a 2.000 abitanti ciascuna, con elevata fragilità socio-sanitaria.

In ogni Microarea, un’équipe multidisciplinare composta da professionisti/e sanitari/e, operatori e operatrici sociali comunitari e di portierato sociale lavora quotidianamente per identificare e rispondere ai bisogni della comunità, facilitando l’accesso ai servizi e promuovendo tra le persone attivazione, crescita socio-culturale e mutuo aiuto. La sede locale (interna alla Microarea, spesso essa stessa un appartamento di edilizia pubblica) funge da centro operativo e spazio comunitario, stimolando la partecipazione attiva dei cittadini.

Lavorare in Microarea, l’esperienza di Monica

La Microarea si configura, dunque, come un contesto territoriale ben definito, dove operatori e operatrici sanitari e sociali lavorano strettamente con la comunità locale, affrontando problemi di varia natura in maniera integrata e personalizzata. Lavorare nella Microarea significa essere immersi quotidianamente nella vita del quartiere, conoscere personalmente i/le residenti e le loro storie, e interagire continuamente con una rete di servizi sanitari e sociali.

Gli addetti e le addette operano non solo come professionisti nel loro specifico ruolo (infermiere/a, medico/a, educatore o educatrice), ma come punti di riferimento polivalenti e accessibili, capaci di rispondere in modo tempestivo e flessibile alle esigenze diverse degli abitanti, anche attivando altri servizi quando necessari. Questo approccio permette di costruire relazioni di fiducia e reti di supporto attorno alle persone, accompagnandole attivamente nella risoluzione delle loro difficoltà e nella promozione del benessere generale.

Lavorare in Microarea significa incontrare tante storie, come la signora la cui vicina di casa ci avverte che non esce da due anni. È preoccupata. Proviamo varie volte a chiamare e a passare per incontrarla, ma la signora dice di stare bene e di non aver bisogno di nulla. Non demordiamo e dopo un po’ finalmente ci fa entrare. Troviamo una signora anziana, che vive sola, sempre seduta su una seggiola. Lì mangia e fa i suoi bisogni. È avvolta per metà nel cellophane della doccia e ha una gamba che sta andando in cancrena. Oppure il signore che conosciamo in carcere e che per poter usufruire degli arresti domiciliari ha bisogno di un programma serrato con i servizi. Dopo esserci interrogati sulle sue capacità, scopriamo che è bravo a cucinare. È diventato il cuoco della Microarea, una grande risorsa per il rione…Oppure, la ragazza tossicodipendente con la quale si porta avanti un programma insieme ai servizi competenti. E quando si conosce una signora anziana che le abita vicino e che tanto avrebbe bisogno di qualcuno che la aiuti, ci si impegna per mettere insieme i bisogni delle due e trasformare la ragazza in badante del quartiere. Ma anche il signore, arrivato in Microarea con una borsa lavoro del Comune per problemi economici, che è diventato poi una delle colonne portanti della Microarea e che continua, come volontario, ad occuparsi di tutti, nonostante i suoi mille problemi di salute…“.

Monica, responsabile di Microarea

Trieste un esperimento naturale?

L’individuazione di aree molto circoscritte su cui l’intervento del programma HM si concentra, costituisce le condizioni ideali per un esperimento naturale per valutare l’impatto del servizio: è possibile, infatti, comparare gruppi di popolazione specifici, destinatari del servizio, ad altri che rimangono in una situazione tradizionale. La richiesta di avviare un’attività di valutazione è stata avanzata direttamente dai/dalle responsabili e dalle operatrici e dagli operatori professionali HM (circa 80 persone). Dopo più di un decennio di operatività del programma HM, hanno espresso la necessità di approfondire e riflettere sull’impatto delle relazioni sociali e del capitale sociale sulla salute, dimensioni difficili da definire e misurare.

Per rispondere a questa richiesta sono stati utilizzati un approccio costruttivista, basato sull’idea che la conoscenza sia costruita attivamente dall’individuo attraverso le sue esperienze, e tecniche qualitative di ricerca sociale (focus group, interviste non strutturate e workshop con operatrici e operatori professionali, osservazioni presso le sedi e attività di servizio). Tutto questo ha consentito di descrivere e analizzare le pratiche di lavoro al fine di condurre un esame empirico della logica delle azioni messe in atto dalle operatrici e dagli operatori professionali HM, dai loro pazienti, parenti, amici e vicini. Le storie più significative del rapporto costruito con persone vulnerabili, emerse nel corso dello studio, sono anche state oggetto di pubblicazione nel volume intitolato La città che cura. Micro-aree e periferie della salute. Alcune sono state anche raccontate in un film dallo stesso titolo, diretto da Erika Rossi, uscito nel 2019 in alcuni cinema italiani.

Proposte di policy per una società più coesa e socialmente sostenibile

L’analisi cronologica e logica di tali storie ha permesso di individuare gli eventi avversi più comuni che potenzialmente possono minare la salute e che le persone vulnerabili si trovano a dover affrontare nel loro quotidiano, nonché i meccanismi sociali promossi dalle operatrici e dagli operatori professionali HM per permettere a queste persone di affrontare meglio tali rischi. Nella seconda fase è stato condotto uno studio trasversale controllato, intervistando con un questionario semi-strutturato un campione di 600 persone per permettere di confrontare individui trattati dall’intervento, presi in carico dal programma HM, con individui non trattati, in analoghe condizioni socio-economiche e di salute. I risultati della ricerca nel contesto del Programma HM possono essere suddivisi in due parti principali: la fase qualitativa e la fase quantitativa, entrambe rivelatrici di dinamiche complesse e interventi efficaci.

Valutare l’impatto sociale del Programma HM

La fase qualitativa ha evidenziato che le operatrici e gli operatori del Programma HM hanno adottato una strategia coerente basata su otto meccanismi sociali: attivazione, fiducia, riconoscimento, inclusione, coordinamento, cooperazione, integrazione e apprendimento. Questi meccanismi hanno favorito lo sviluppo di interdipendenze strategiche, processuali e spazio-relazionali tra i/le professionisti/e e i/le residenti delle Microaree, generando nuove opportunità e rafforzando la comunità attraverso pratiche collettive che includono l’altruismo e la condivisione di informazioni e risorse. Importanti cambiamenti sono stati osservati nei comportamenti dei residenti, con un aumento significativo della cooperazione e dell’impegno sociale. Le persone si sono dimostrate più attive e disponibili ad aiutarsi reciprocamente, utilizzando spazi comuni per iniziative condivise. Il lavoro di squadra tra le operatrici e gli operatori professionali ha portato a miglioramenti nei servizi offerti, con un’enfasi sulla personalizzazione dell’assistenza in base alle esigenze individuate.

La fase quantitativa ha confermato e ampliato i risultati qualitativi, evidenziando che gli interventi del Programma HM hanno avuto un impatto misurabile sulle persone residenti nelle Microaree. Gli abitanti trattati hanno mostrato un miglioramento significativo in termini di gestione gli eventi avversi. Le capabilities non dipendono solo dalle risorse che una persona possiede, ma includono le possibilità effettive di utilizzarle per fronteggiare i problemi e condurre il tipo di vita che si desidera, esercitando la libertà positiva di scelta e di espressione di se stessi (come ha avuto modo di sostenere il Premio Nobel per l’economia Amartya Sen). Ciò ha significato un incremento della qualità e della varietà dell’aiuto ricevuto, nonché un maggiore grado di soddisfazione rispetto al rapporto con i servizi sociosanitari.

Le analisi hanno anche rivelato una notevole mobilitazione comunitaria con le persone trattate, che si sono attivate significativamente più degli altri per assistere i propri vicini, creando un ambiente di supporto reciproco e fiducia. I luoghi di incontro preferiti evidenziano che gli spazi comunitari all’interno delle Microaree sono diventati centrali per le interazioni sociali, superando altri ambienti come bar e giardini pubblici per la popolazione trattata.

Quali indicazioni per il futuro del welfare territoriale?

I risultati indicano che l’approccio culturale e organizzativo adottato dal Programma HM ha efficacemente trasformato le Microaree in comunità più coese e resilienti, capaci di autogestione e di risposta collettiva ai bisogni sociali e sanitari. L’incremento della fiducia e dell’engagement nei contesti locali suggerisce che i meccanismi sociali attivati non solo hanno migliorato la qualità della vita quotidiana dei residenti, ma hanno anche stimolato una partecipazione più attiva nella gestione delle proprie condizioni di vita e di salute.

Questa ricerca dimostra che interventi ben strutturati e basati sulla comprensione e sull’attivazione delle dinamiche sociali locali possono portare a miglioramenti sostanziali nella gestione della salute pubblica e nel benessere comunitario, particolarmente in contesti urbani svantaggiati. La dimensione culturale e organizzativa è risultata centrale per l’efficacia dei servizi.

Essa è quindi una leva sempre a disposizione per creare sistemi innovativi di welfare territoriale e oggi per strutturare correttamente le Case della Comunità, ma richiede scelte e impegni coerenti da parte dei responsabili politici e dei dirigenti dei servizi sociosanitari.

Per approfondire

  • G. Gallio e M.G. Cogliati Dezza, a cura di, La città che cura. Micro-aree e periferie della salute, Alphabeta.
  • Di Monaco R., Pilutti S., d’Errico A., Costa G. (2020), Promoting health equity through social capital in deprived communities: a natural policy experiment in Trieste, Italy, in Social
  • Science and Medicine – Population Health, https://doi.org/10.1016/j.ssmph.2020.100677
  • Sulle Microaree di Trieste: Microaree – SC Distretto Trieste 1; Microaree – SC Distretto Trieste 2
Foto di copertina: Luca Chiaradia, Unsplash