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Le spese sostenute per le attività sportive praticate dai figli dei dipendenti possono essere rimborsate dal datore di lavoro all’interno dei piani di welfare aziendale, godendo così di benefici fiscali previsti dalla normativa, solo se tali attività sono svolte nell’ambito scolastico. È quanto affermato dalla Agenzia delle Entrate con una la Risposta 144/2024, che nei fatti esclude quindi tutte le attività svolte in altre ambiti, a partire dalle associazioni sportive, le quali non rientrerebbero nelle logiche fiscali del welfare aziendale previste dall’articolo 51, comma 2 del TUIR.

La Risposta dell’Agenzia delle Entrate

Nello specifico con la Risposta 144/2024 l’Agenzia stabilisce che “le spese per l’attività sportiva praticata dai familiari, solo se svolte nell’ambito di ‘iniziative incluse nei piani di offerta formativa scolastica’ possono rientrare nell’esclusione prevista dell’articolo 51, comma 2, lettera f­bis), del Tuir“. In altri termini, il vantaggio fiscale riconosciuto per le azioni di welfare aziendale può esserci solo quando le attività sportive sono realizzate dalle scuole.

Si tratta di una scelta miope. Con questa Risposta, infatti, l’Agenzia delle Entrate nei fatti esclude dal vantaggio fiscale previsto per il welfare aziendale per il rimborso delle attività che i figli e le figlie dei dipendenti possono svolgere presso circoli sportivi, palestre e associazioni sportive dilettantistiche.

Anche AIWA, l’Associazione Italiana Welfare Aziendale, ha criticato questa posizione. Attraverso un post LinkedIn, Emanuele Massagli, Presidente di AIWA, ha sostenuto che “il quesito è posto in maniera poco chiara, così come è poco logico lo svolgimento della risposta, seppure la scelta dall’Agenzia delle Entrate sia la strada suggerita dalla dottrina prevalente (che limita le attività sportive rimborsabili ai “centri estivi e invernali”, non continuativi durante l’anno). Tuttavia, si è persa l’occasione per collocare le attività sportive non agonistiche nella giusta classificazione: ‘servizi integrativi di educazione’, così ricomprendendole nell’articolo 51, comma 2, lettera f-bis)“.

Perché limitare il welfare aziendale “nobile”?

Da un lato, questa scelta riduce concretamente le possibilità di spesa del welfare aziendale da parte dei dipendenti in un ambito in cui, come dimostrano i dati (si veda ad esempio qui, qui e qui), già oggi non è molto gettonato. Questo perché oggi le scuole che in Italia hanno palestre o piscine all’interno delle strutture, come riporta OpenPolis, sono appena il 35,8%; e peraltro non sempre vengono utilizzate per attività di tempo pieno, ovvero oltre l’orario scolastico, e quindi nell’ambito dell’offerta formativa citata dall’Agenzia.

Dall’altro, come detto, elimina dalle possibilità di welfare aziendale1 tutte le attività sportive realizzate dalle associazioni sportive dilettantistiche e non agonistiche, ovvero realtà – spesso parte del Terzo Settore – che promuovo sui territori attività e progetti molto preziosi.

Da ultimo – come suggerito anche da Massagli – sono attività che potrebbero essere considerate come veri e propri servizi “educativi”, in quanto favoriscono la crescita, la socializzazione e la formazione dei bambini, delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze.

Queste scelte da parte del Legislatore o dall’Agenzia finiscono per limitare il potenziale impatto sociale del welfare aziendale. Come spesso vi raccontiamo (ad esempio qui e qui), infatti, nel corso degli ultimi anni l’attenzione si è concentrata sui fringe benefit2, che di fatto sono un sostegno al reddito di lavoratori e lavoratrici. Questo ha però ridotto molto le spese destinate al welfare “nobile”, cioè quello riguardante la cura, l’assistenza, i servizi socio-sanitari e così via.

Risposte dell’Agenzia delle Entrate come quella qui commentata non fanno altro che ridurre i margini di manovra verso questo genere di prestazioni, limitando ancora di più le possibilità per imprese e dipendenti. Il rischio è quello che il welfare si trasformi sempre di più in uno strumento integrativo della retribuzione, perdendo così il suo potenziale valore sociale ed educativo.

 

 

Note

  1. In particolare quelle previste dal comma 2 dell’articolo 51 del TUIR, che prevede la formula del rimborso per una serie di servizi e prestazioni.
  2. Cioè card o voucher acquisto da spendere presso catene commerciali o negozi (anche della grande distribuzione online) e buoni benzina.
Foto di copertina: Bruno Kelzer, Unsplash