Per i suoi 120 anni, UniAbita si è fatta un regalo: la settimana corta.
Questa storica cooperativa di abitanti1 dell’hinterland milanese ha festeggiato quest’anno un compleanno importante e, il primo giugno, ha iniziato a sperimentare temporaneamente la settimana lavorativa di quattro giorni, per offrire migliori servizi ai suoi soci e un maggiore equilibrio tra vita e lavoro ai suoi dipendenti.
Per quanto piccolo e ancora limitato, il caso di UniAbita è interessante perché porta nel mondo della cooperazione un dibattito sulla riduzione dell’orario di lavoro che, fino ad ora, si era sviluppato soprattutto all’interno di grandi aziende, come per esempio Intesa Sanpaolo.
“Probabilmente siamo una delle realtà più avanti nel mettere in pratica questa idea, ma abbiamo visto che non siamo i soli a fare dei ragionamenti in questa direzione”, spiega Pierpaolo Forello, presidente della cooperativa, che fa parte di Legacoop.
UniAbita, quindi, è un’avanguardia, un possibile esempio che vale la pena approfondire perché potrebbe presto essere replicato.
Un rilancio importante
La storia di UniAbita inizia nel 1903 con l’allora cooperativa edificatrice La Previdente. Nel corso dei decenni, alla prima realtà se ne uniscono altre che operano in provincia di Milano e nel 2010 la cooperativa assume la denominazione attuale. Oggi UniAbita si definisce “una delle più importanti cooperative di abitanti italiane”, con oltre 18.000 soci, quasi tremila alloggi in assegnazione e un patrimonio immobiliare che supera i 400 milioni di euro.
A gestire tutto questo, nella sede di Cinisello Balsamo, alle porte di Milano, sono 42 dipendenti, tra cui 28 donne. È a loro che i vertici della cooperativa hanno fatto una proposta nuova, quando si è trattato alcuni mesi fa di rinnovare il contratto integrativo aziendale: lavorare un giorno in meno.
“Questo progetto è iniziato nel 2015 da una riorganizzazione aziendale, individuando ruoli e competenze chiari, dalla rivisitazione dei metodi per aumentare la produttività ed efficienza lavorativa e rendere più efficaci per procedure di controllo”, spiega la direttrice Mirca Carletti. “A partire dal 2015, quando abbiamo sentito forte la crisi iniziata nel 2008, la cooperativa ha dovuto cambiare un po’ pelle e – riprende Forello -, superato anche il Covid, abbiamo deciso di fare un rilancio importante”. Che è stato ben recepito sia dai lavoratori sia dai sindacati, nello specifico la FILCAMS-CGIL.
Due ore in meno a settimana
“La proposta è stata accolta favorevolmente. Ne abbiamo discusso in assemblea, è emersa qualche possibile criticità, ma poi è stata votata”, ricorda Roberta Valente, una delle due rappresentanti sindacali della cooperativa. “Tendenzialmente, il nostro lavoro si svolge in presenza, facciamo poco ricorso allo smart working e quindi avere un giorno libero in più acquista ulteriore valore”, aggiunge Viviana Fontana, l’altra rappresentante sindacale.
Date queste premesse positive, è arrivata la firma di un accordo tra la cooperativa, le rappresentanti sindacali interne e la FILCAMS-CGIL e, il primo giugno, la sperimentazione è partita.
“La settimana corta di UniAbita consiste nella riduzione di un giorno della settimana lavorativa a parità di stipendio ma recuperando ore lavoro prorogando l’orario giornaliero fino alle 19 e nella pausa pranzo. L’obiettivo è duplice: potenziare i servizi ai soci, (aperture durante la pausa pranzo e fino alle 19) e migliorare il benessere lavorativo dei dipendenti e la conciliazione famiglia/lavoro”, ha spiega la cooperativa in un comunicato.
Concretamente, nel corso della sperimentazione, il monte ore settimanale complessivo passa da 38 ore a 36, che vengono spalmate su quattro giorni, da lunedì a giovedì. “Il giorno libero è lo stesso per tutti, il venerdì, quando la cooperativa è chiusa”, spiega la vice presidente Letizia Villa. “I lavoratori entrano prima, escono dopo e fanno tutti pausa pranzo dalle 13 alle 14. C’è una minore elasticità di orario rispetto al passato. É impegnativo, ma il vantaggio è un intero giorno libero”, continua.
“Ai dipendenti chiediamo anche di lavorare in maniera più trasversale, tra un settore e l’altro della cooperativa. Avevamo la necessità di fare un salto in avanti in questo e standardizzare gli orari di ingresso, uscita e le pause ci consente di farlo meglio”, ragiona il presidente Forello.
Profitti e produttività
Il punto sollevato da Forello è centrale. Per ridurre l’orario di lavoro (in questo caso di due ore) e cambiare l’organizzazione della settimana, la produttività deve rimanere invariata o, auspicabilmente, crescere. Insomma, l’azienda deve stare in piedi.
Il ragionamento sulla produttività è, ovviamente, valido anche per le cooperative, con una difficoltà ulteriore: molte operano in settori scarsamente valorizzati dal punto di vista economico. In pratica, è molto meno difficile introdurre la settimana corta quando si è un gigante del settore bancario come Intesa Sanpaolo e si è chiuso l’ultimo bilancio con grandi profitti.
Nel caso di UniAbita, quindi, sembrano emergere alcuni fattori che hanno reso possibile la sperimentazione. Il primo è che la cooperativa è in salute. Il bilancio 2022 si è chiuso con un utile di oltre 1,5 milioni di euro e, si legge nel documento pubblicato sul sito della coop, “con questo risultato UniAbita torna a chiudere il proprio bilancio in utile a distanza di 9 anni”.
Il secondo fattore sono i risparmi su cui la cooperativa potrà contare. “Avremo dei benefici economici dettati da minori spese per la gestione della struttura, che resta chiusa un giorno in più a settimana”, spiega Villa.
Come visto, poi, la settimana corta si inserisce in una riorganizzazione del lavoro più ampia e già in corso. Non si tratta di un fulmine a ciel sereno, ma di un ulteriore passo per raggiungere degli obiettivi già fissati, come avere dei servizi per i soci che hanno orari più lunghi e più adatti alle esigenze di chi vive nelle case gestite dalla cooperativa. Gli uffici resteranno chiusi il venerdì (con alcuni dipendenti comunque reperibili), ma la nuova organizzazione, per la dirigenza della cooperativa, dovrebbe garantire un beneficio non solo ai lavoratori, ma anche ai lavoratori.
Valutare la sperimentazione
Certo, tutte queste ipotesi andranno confermate, perché il cambiamento non è certo piccolo e bisognerà valutarlo alla prova dei fatti, una volta conclusa questa prima sperimentazione a fine settembre.
A tal proposito, la vice presidente Villa ci tiene a precisare un punto. Nonostante la presenza femminile ad UniAbita sia nutrita, la settimana corta non è pensata “solo per le donne, che così il venerdì si portano avanti coi mestieri per poi fare la spesa il sabato”. “Niente affatto”, dice con trasporto. “Anche i dipendenti uomini hanno gradito questo cambiamento”, prosegue. A suo parere, “la famiglia non è l’unico tema. L’equilibrio è tra vita e lavoro, poi nella vita ognuno ci mette quel che vuole. Se liberiamo un giorno, siamo contenti tutti e tutte”.
La questione dei carichi del lavoro domestico e di cura, però, rimane. Per quanto la precisazione di Villa sia legittima, è noto che in Italia questi compiti siano ancora in larga parte sulle spalle delle donne. Per questo, un aspetto cruciale della sperimentazione sarà capire l’effettiva sostenibilità della settimana corta per i dipendenti. Un sovraccarico di lavoro fino al potenziale burnout è, infatti, uno dei principali rischi connessi alla modalità di riduzione dell’orario scelta da UniAbita.
“L’azienda ha mostrato grande disponibilità nel proporre degli aggiustamenti di orario a chi ha particolari problemi, soprattutto famigliari”, sostiene la rappresentante sindacale Fontana, spiegando come ci siano diversi part time in cooperativa che consentono di mantenere un minimo di flessibilità anche con la settimana corta. Inoltre, prosegue l’altra rappresentante sindacale Valente, “la sperimentazione si sta svolgendo nei mesi estivi, che sono i meno intensi per il nostro lavoro”. A suo parere, “sarà importante verificare eventuali criticità e intervenire per risolverle, qualora si decida di rendere questa soluzione definitiva”.
Il futuro
Per capire se davvero la settimana corta di UniAbita diventerà strutturale è ancora presto.
I tempi, comprensibilmente, non sono brevi.
“Questo è un primo passo”, annuncia il presidente Forello. “Essendo una sperimentazione, si può fermare, annullare, sistemare o renderla definitiva. Valuteremo insieme”, prosegue.
Quello intrapreso dalla cooperativa è un percorso di almeno due anni: a ottobre, i lavoratori torneranno all’organizzazione classica dell’orario, verrà fatta una valutazione della sperimentazione e, sulla base dei risultati, verrà deciso se riproporre un’ulteriore sperimentazione nel 2024, probabilmente in un periodo diverso dell’anno. Quindi, verrà valutato con i soci e i lavoratori se rendere la settimana corta stabile e strutturale.
Intanto, l’esperimento sta generando attenzione e, come detto, in apertura, ci sono anche altre cooperative che stanno pensando di seguire l’esempio di UniAbita.
“Non è una gara. Siamo all’interno di Legacoop e il nostro modello, quello che stiamo imparando è a disposizione di tutti i soci”, dice Forello, convinto. A suo parere, questo tema della settimana corta e della riduzione dell’orario di lavoro può essere importante anche “per rilanciare il modello cooperativo”.
Note
- Le cooperative di abitanti organizzano il bisogno abitativo in maniera mutualistica per dare ai propri soci la possibilità di accedere a un alloggio a condizioni migliori di quelle del mercato. Promuovono la formazione di programmi edilizi, direttamente o con altri partner, per consentire ai loro soci sia l’accesso alla casa in proprietà (cooperative a proprietà individuale o divisa), sia alla casa in godimento o locazione (cooperative a proprietà indivisa).