Continuano gli approfondimenti a cura del gruppo di ricerca di WePlat, progetto che sta studiando le piattaforme di welfare italiane. Dopo gli articoli su processo di mappatura, mancata uberizzazione, design, reputazione, scalabilità e sfide e addomesticamento parliamo del ruolo degli utenti delle piattaforme. |
La storia del welfare ci racconta di un rapporto fra utenti e servizi piuttosto controverso e carico di conseguenze non solo a livello di analisi e ricerca ma anche di modellizzazione dei sistemi di offerta e di impostazione delle politiche. Basti pensare alla dicotomia tra utenti come cittadini e utenti come consumatori del welfare che ormai da qualche decennio accompagna un dibattito sempre più acceso dal quale non è difficile far trasparire opzioni di natura ideologica e non solo questioni di natura gestionale.
Cittadini vs consumatori?
La “radicalizzazione” delle posizioni tra chi considera la fruizione dei servizi di welfare come esercizio di diritti di cittadinanza oppure come una modalità di consumo di una particolare tipologia di beni in regime di mercato appare sempre meno in grado di cogliere le peculiarità che caratterizzano un campo ampio e variegato in termini di espressione dei bisogni che riguardano aspetti cruciali della qualità della vita (cura, educazione, lavoro, ecc.) e di organizzazione delle possibili soluzioni comprendendo un’ampia gamma di interventi: da quelli di natura specialistica e prestazionale fino a iniziative basate sulla mobilitazione di risorse e legami informali.
All’interno di un sistema di interazioni così complesso e ambivalente le riforme politiche di tipo top down e i cambiamenti sociali “dal basso” influenzano i ruoli formalmente previsti determinando e al tempo stesso alterando i modelli di comportamento dei beneficiari del welfare. Potrà quindi succedere che l’esercizio di ruolo degli utenti avvenga in contesti fortemente istituzionalizzati dove la gran parte dei beneficiari si adegua alle direttive di erogazione, ma in altri casi gli stessi utenti potranno comportarsi in modo diverso, infrangendo le regole o deviando dai ruoli previsti o addirittura (re)inventando i ruoli stessi.
La letteratura sui cambiamenti istituzionali evidenzia proprio un rapporto d’influenza reciproca fra i cambiamenti sociali derivanti da riforme delle policy e l’evoluzione del comportamento degli utenti che può arrivare a modificare le istituzioni stesse.
L’utenza delle piattaforme di welfare
Vista la rilevanza e il carattere controverso della questione viene quasi naturale chiedersi cosa succeda agli utenti nelle piattaforme. La progressiva diffusione di queste infrastrutture sociotecnologiche come influenza il loro ruolo? E potrà aiutarci a uscire dalle secche di una contapposizione dicotomica che aiuta sempre meno non solo a comprendere ma anche (e forse soprattutto) a riformare il welfare?
La ricerca Weplat su questo fronte sta restituendo una notevole eterogeneità comportamentale e strategica degli utenti contribuendo così a mettere sanamente in crisi la propensione a inquadrarli in profili ideal-tipici che faticano sempre di più a trovare riscontro nella realtà rendendo così sempre più complesse e inefficaci le azioni di natura programmatoria e progettuale del welfare, anche se esercitate da un’ampia gamma di soggetti caratterizzati da intenti collaborativi.
Quello che invece è possibile restituire, almeno in questa fase dell’indagine, sono gli effetti non in termini unidirezionali ma di interazione e mutuo influenzamento riconducibili alle diverse tipologie di piattaforma, in particolare da quelle che in sede di mappatura sono state definite piattaforme digitali e piattaforme territoriali.
Piattaforme digitali
Nelle prime gli utenti sembrano cogliere le peculiarità del setting digitale cercando di sfruttare al massimo tutte le features tecnologiche disponibili, ad esempio per quanto riguarda l’ambientazione di una seduta di terapia psicologica online. In questo senso si notano chiaramente quegli orientamenti all’addomesticamento e all’appropriazione ricordati nel recente intervento di Letizia Zampino e che si riflettono non solo in sede di fruizione del servizio ma anche in termini di capacità di feedback cioè attraverso valutazioni e recensioni come invece approfondiva Francesco Bonifacio un altro post tratto sempre dal nostro progetto di ricerca.
Piattaforme territoriali
Nel caso delle piattaforme territoriali il ruolo dell’utente appare più sfaccettato in particolare per effetto della loro impostazione phygital, caratterizzata cioè da una rappresentazione digitale dell’offerta (solitamente in forma di vetrina di un marketplace), ma da una modalità di fruizione – e non solo, anche di progettazione e valutazione – che avviene in gran parte in modalità “analogica”. Le piattaforme territoriali, almeno in questa fase del loro ciclo di vita, sembrano infatti funzionare soprattutto come gestionali dei sistemi di welfare territoriali tradizionali piuttosto che come veicoli di una vera e propria offerta “nativa digitale”, salvo qualche eccezione riconducibile a servizi, soprattutto di natura educativa, che sono figli dei lockdown pandemici. In questo senso gli utenti “attraversano” le piattaforme condotti dai loro gestori che li invitano, ad esempio, a profilarsi per accedere ai servizi, oppure a segnalare le loro istanze di bisogno all’interno di “cartelle” digitalizzate, utilizzando a volte tecnologie non “embeddate” nella piattaforma come i gruppi whatsapp che consentono un dialogo diretto con il welfare manager di riferimento.
Oltre il matching, serve la relazione
In sintesi lo studio dei comportamenti degli utenti nelle piattaforme può quindi contribuire ad affrontare alcuni problemi strutturali del welfare italiano tra i quali, fra i più evidenti, si segnala la frammentazione delle risorse e la parcellizzazione delle prestazioni. Da questo punto di vista il processo ormai avviato di platformizzazione del welfare quali effetti sta generando? Può rappresentare un ulteriore fattore di frammentazione o, al contrario, un nuovo elemento di ricomposizione di cui potranno beneficiare, in primis, gli utenti?
In attesa di consolidare i risultati di ricerca l’impressione è che l’esito dipenda dall’affermarsi di capacità diffuse tra gli utenti non solo in sede di scelta ma anche di interazione in diverse fasi del processo erogativo: progettazione, valutazione, condivisione della fruizione, ecc. Va detto, però, che si tratta di capacità piuttosto “sofisticate” sia in termini di competenze hard (legate alla padronanza d’uso dei diversi tool digitali) che soft (legate invece alla possibilità di costruire legami in ambienti ibridi).
Tutto ciò contribuire a richiamare in causa, ancora una volta, i gestori delle piattaforme, in particolare se si tratta di soggetti pubblici o privati con finalità sociale (enti di terzo settore, imprese sociali) mettendoli alla prova non solo guardando al matching tra domanda e offerta ma alla predisposizione e manutenzione di un vero e proprio campo di relazione nel quale gli utenti possano sviluppare e non solo eseguire il loro ruolo.