Le festività natalizie sono – o dovrebbero essere – giorni di festa, vacanza e “grandi abbuffate”. Il cibo, i pranzi e le cene sono infatti le rappresentazioni immediatamente associate a questo periodo dell’anno. Tuttavia, i cambiamenti climatici, la pandemia e i conflitti stanno ripercuotendosi sul prezzo e sulla circolazione dei prodotti alimentari, facendo scivolare un numero maggiore di persone, nel mondo ma anche in Italia, in condizioni di povertà alimentare.

Ma chi sono queste persone? Quali le loro difficoltà e come si può contribuire a contrastare questo fenomeno? Proviamo a raccontarlo in questo articolo, fornendovi alcuni spunti di riflessione su come è possibile contrastare il fenomeno della povertà alimentare con il nostro tempo, con la nostra generosità ma anche con i nostri comportamenti.

La povertà alimentare: di cosa parliamo?

La povertà alimentare si definisce come l’incapacità degli individui di accedere ad alimenti sicuri, nutrienti e in quantità sufficiente per garantire una vita sana e attiva rispetto al proprio contesto sociale. Questa definizione discende dalla definizione di sicurezza alimentare (food security) proposta dalla FAO durante il World Food Summit del 1996, secondo cui la sicurezza alimentare è quella condizione in cui tutte le persone, in qualsiasi momento, hanno accesso fisico, economico e sociale ad alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti così da soddisfare le proprie necessità e preferenze alimentari, oltre che una vita sana e attiva.

Quattro sono le condizioni che determinano la sicurezza alimentare (FAO 2008): la disponibilità di cibo sufficiente a soddisfare le necessità della popolazione di riferimento; l’accessibilità al cibo data da condizioni logistiche (ad esempio la presenza di strutture di distribuzione) che permettano di accedere facilmente al cibo e, al contempo, da un reddito sufficiente per acquistare alimenti in quantità e di qualità adeguata; l’utilizzabilità del cibo, in modo tale da garantire una dieta equilibrata e adeguata agli stili di vita del contesto dove una data popolazione vive; la stabilità, che attiene al fatto che il cibo sia disponibile, accessibile e utilizzabile in modo continuativo generando così una condizione di sicurezza alimentare permanente.

Lavoro, pandemia e guerra: così cambia la povertà alimentare

L’assenza di una o più condizioni determina una situazione di insicurezza alimentare (food insecurity), che può essere transitoria o cronica a seconda della durata, e più o meno grave a seconda dell’intensità dei fenomeni ad essa connessi. Le conseguenze possono quindi essere più o meno pesanti: l’insicurezza può comportare l’emergere della fame, associata ad una sensazione di disagio e dolore causata da un consumo di cibo insufficiente, o di fenomeni di malnutrizione, determinati da carenze, eccessi o squilibri nel consumo alimentare (FAO 2008).

I fattori che determinano la povertà alimentare variano a seconda del contesto di riferimento. Mentre i paesi in via di sviluppo si caratterizzano per problemi riguardanti disponibilità, accessibilità, utilizzabilità e stabilità del cibo, nei paesi sviluppati le problematiche di tipo alimentare sono invece connesse prima di tutto alla condizione economica e alla trasformazione della povertà in un fenomeno multidimensionale e, in secondo luogo, al corretto impiego degli alimenti. Nelle nazioni ricche, infatti, i problemi alimentari non sono riconducibili alla scarsità delle risorse disponibili, ma piuttosto a una loro iniqua distribuzione. Si tratta di quello che Campiglio e Rovati (2009) hanno definito come “paradosso della scarsità nell’abbondanza”: l’impossibilità di alcune fasce della popolazione di accedere a risorse adeguate al proprio sostentamento nonostante la (sovra)abbondanza di alimenti all’interno del contesto in cui vivono.

Qualche dato sul fenomeno nel mondo e in Italia

Secondo i dati da poco diffusi sull’Indice Globale della Fame (o GHI, Global Hunger Index) – strumento statistico per la raccolta di dati sulla fame nel mondo e sulla malnutrizione nei diversi Paesi – nel 2021 il numero di persone malnutrite è salito a 828 milioni, 46 milioni in più rispetto all’anno precedente e 150 milioni in più rispetto a prima della pandemia da Covid-19, con effetti evidenti in Africa subsahariana, Asia meridionale, America centrale e Sudamerica. Una situazione che è conseguenza dei cambiamenti climatici, della pandemia e dei conflitti armati. Su 193 milioni di persone esposte a conflitti, 139 milioni hanno vissuto condizioni di insicurezza alimentare (FSIN e GNAFC 2022).

Guardando al livello europeo, negli ultimi anni, la crisi del 2008 e poi la pandemia hanno contribuito all’aumento della povertà assoluta e relativa. Contestualmente si è registrata una crescita significativa delle persone che vivono in condizioni di indigenza e faticano ad accedere a cibo quantitativamente e qualitativamente sufficiente alle proprie necessità alimentari e al mantenimento dello stile di vita medio dei paesi sviluppati (ActionAid 2021).

In base agli ultimi dati disponibili, nel 2020 gli italiani che dichiaravano di trovarsi in condizione di povertà alimentare erano pari al 9,1% della popolazione residente (Database Eurostat). Rispetto al 2008, quando erano il 7,6%, si è registrato un aumento significativo che ha visto il suo picco nel 2012 quando le persone incapaci di procurarsi un pasto adeguato almeno ogni due giorni erano pari al 17% della popolazione. Se l’Italia si è mantenuta comunque al di sotto della media UE fino al 2010, da allora si è assistito a un aumento impressionante di questo indicatore che, seppur in diminuzione dal 2013, è oggi al di sopra della media degli altri paesi membri. In una situazione peggiore si trovano la Grecia (12,4%) e i paesi entrati nell’Unione Europea con gli ultimi allargamenti (Bulgaria, 25,9%; Romania, 14,7%; Ungheria, 12,8%; Slovacchia, 11,8%; Lituania, 16,6%; Lettonia, 9,4%), mentre paesi come Danimarca (2,3%), Spagna (5,4%) e Francia (7,2%) presentano livelli molto inferiori a quelli italiani.

Gli adolescenti e i minori: oltre la povertà alimentare, stigma ed esclusione sociale

Il Natale è, tra le altre cose, la festa dei bambini, si dice. Ma sono proprio i bambini – e gli adolescenti – i più colpiti dalla povertà e dall’esclusione sociale. Per quanto riguarda i primi, circa 1 milione e 400 mila bambini sono in povertà assoluta e 600 mila soffrono di povertà alimentare in Italia. Le disuguaglianze incidono anche sulle aspettative di vita, che presentano un divario di 12 anni tra la Provincia di Bolzano e la Calabria. E’ inoltre peggiorata anche la salute mentale a seguito della pandemia: tra il 2019 e il 2021 in neuropsichiatrica infantile i ricoveri sono aumentati del 39,5% (Save the Children 2022).

Nel caso specifico della povertà alimentare, secondo un’indagine Coldiretti del 2022, questa è cresciuta con l’aumento dell’inflazione che ha colpito duramente la spesa e messo in difficoltà un numero crescente di famiglie con un balzo del 12% degli under 15 anni che nell’ultimo anno sono ricorsi agli aiuti per mangiare. In Italia, sono salite complessivamente a 3 milioni le persone indigenti che sono costrette a far ricorso alle mense dei poveri e molto più frequentemente ai pacchi alimentari. Tra le categorie più deboli maggiormente sostenute da questa forma di aiuto troviamo proprio i bambini sotto i 15 anni, che costituiscono un quinto del totale.

Cresciuti troppo in fretta: evidenze e raccomandazioni di ActionAid sulla povertà alimentare

La questione si complica ulteriormente per gli adolescenti, come ben racconta l’ultimo Rapporto “Cresciuti troppo in fretta”, di ActionAid Italia. Oltre all’incapacità di accedere a cibo adeguato e di qualità necessario al proprio sostentamento, per loro soffrire di povertà alimentare significa anche non poter vivere le occasioni sociali legate al cibo, vivere lo stigma che genera il trovarsi in una condizione di precarietà e le situazioni di stress che ne conseguono. Un insieme di bisogni e vissuti che producono conseguenze soprattutto sul piano del benessere psico-fisico e che possono avere effetti sul futuro oltre che sul presente. La povertà alimentare è infatti un fenomeno multidimensionale caratterizzato da aspetti materiali, che si riferiscono alla quantità e qualità del cibo consumato, e immateriali, che hanno a che vedere con la socialità, la cultura e gli aspetti psicologici ed emozionali.

Il secondo welfare nel contrasto alla povertà alimentare: il ruolo delle reti multiattore

Le misure di contrasto alla povertà alimentare sono spesso veicolate da reti multi-attore articolate e differenziate, in virtù della multidimensionalità e complessità del fenomeno e, inoltre, della pluralità degli attori aventi competenza in materia. Si tratta dunque di un quadro estremamente variegato e complesso che vede, da un lato, l’assenza di un framework regolativo nazionale in materia di diritto a un’alimentazione adeguata e in grado di inquadrare i diversi aspetti del fenomeno e, dall’altro, il ruolo marginale del settore pubblico nell’attuare politiche sistematiche di aiuto agli indigenti.

Il problema della povertà alimentare è prevalentemente affrontato dagli enti di matrice religiosa e coinvolge attori formali e informali a vari livelli di governo: nazionali, regionali e municipali, compresa la società civile. L’Unione Europea– attraverso l’erogazione del Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD) – ha fornito un sostegno concreto su questo piano, incentivando il rafforzamento della filiera di enti caritativi che si è nel tempo specializzata nel garantire aiuti alimentari agli indigenti. Peraltro è da sottolineare come negli ultimi anni si sia registrato un cambiamento nell’approccio alla povertà alimentare. Sempre più spesso, infatti, ci si riferisce alle food policy locali come reti e spazi di connessione all’interno delle quali idee, istanze, approcci, iniziative, attori (consumatori, produttori, catene di distribuzione, enti del Terzo Settore, attori pubblici, esperti e studiosi) contribuiscono a sviluppare le politiche del cibo.

Il ruolo della governance collaborativa nel contrasto alla povertà alimentare minorile

I partenariati pubblico-privato svolgono un ruolo sempre più importante nella progettazione e nell’attuazione delle iniziative di policy, soprattutto a livello locale e con riferimento alle aree di bisogno più scoperte. Su tali meccanismi incidono la complessità strutturale delle partnership e la diversità (di obiettivi, target, interventi) degli attori che le compongono. In assenza di una cornice legislativa nazionale che riconosca il diritto al cibo, in seguito alla pandemia il sistema di welfare locale – e gli attori che ne fanno parte – hanno dovuto e saputo riorganizzarsi per fronteggiare l’acuirsi delle vulnerabilità sociali e il rischio per molte famiglie – e i minori in particolare – di scivolare in situazioni di povertà severa. Si evidenzia dunque la (crescente) centralità delle reti di contrasto alla povertà alimentare che sembrano sempre più porsi l’obiettivo di supplire alle carenze del primo welfare promuovendo iniziative locali basate su governance collaborative attente ai bisogni dei minori tra insicurezza alimentare e qualità del cibo e in cui emerge un nuovo protagonismo delle istituzioni pubbliche locali dentro modelli sempre più collaborativi.

Povertà e consumo alimentare: cosa si può fare?

Questo articolo è il terzo della nostra campagna natalizia: una serie di approfondimenti in cui raccontiamo un tema di welfare e proviamo ad approfondire chi se ne occupa in pratica e come lo fa (finora abbiamo parlato di corridoi umanitari e di assistenza alle persone senza dimora). L’idea è di creare una sorta di “lista di regali solidali” da cui prendere spunto per donare il proprio tempo o il proprio denaro a chi potrebbe averne bisogno.

Cosa si può fare? Nella “società che vorrei…”, tre parole chiave: solidarietà, buon senso e altruismo. Innanzitutto aiutare chi aiuta. Ci sono molti modi per sostenere chi si occupa del contrasto alla povertà alimentare. Ad esempio, molti empori hanno avviato la raccolta di beni con iniziative specifiche rivolte al Natale (es. raccolta di prodotti alimentari e per l’igiene personale). Le iniziative si allargano spesso oltre i beni alimentari – ad esempio, presso l’emporio di Parma è attiva la raccolta di giocattoli, bambole e libri per bambini – ma anche oltre confine. Come all’emporio Portobello di Modena, dove è in corso una raccolta di capi di abbigliamento invernali e coperte per la missione locale che nel periodo delle vacanze di Natale partirà per Černovcy, città ucraina che sta accogliendo decine di migliaia di sfollati. Vi consigliamo quindi di consultare il sito dell’emporio della vostra città e verificare in che modo potete essere di aiuto.

Resta poi sempre la possibilità di effettuare donazioni in denaro. Ad esempio, il Banco Alimentare Emilia Romagna ha lanciato la campagna “Un pranzo per Natale”, grazie a cui è possibile donare una spesa dell’importo che si desidera. Moltissimi empori consentono poi di donare una spesa online di importo fisso o variabile per le famiglie locali, un ottimo spunto per un regalo solidale. Qui, ad esempio, la pagina degli empori di Caritas Ambrosiana, dove c’è anche la possibilità di donare una spesa speciale alle famiglie con bambini, dal momento che i prodotti per l’infanzia, come i pannolini, sono spesso costosi e difficili da reperire.

Gli empori della solidarietà nel contrasto alla povertà alimentare

Un’altra idea? Non sprecare il cibo di Natale. Il paradosso del nostro Paese – come tutti i paesi occidentali – è infatti che cresce il numero di persone in povertà alimentare ma continuiamo a sprecare chili di cibo. Secondo l’Osservatorio Waste Watcher infatti ogni italiano spreca 674,2 grammi di cibo alla settimana. In totale, lo spreco alimentare costerebbe al nostro paese 15,6 miliardi all’anno, di cui 9,2 di spreco alimentare e 6,4 attribuiti agli sprechi dell’energia per produrre il cibo, così come dell’acqua e delle altre risorse. Cosa possiamo fare quindi? Da un lato salvarlo dalla spazzatura guardando alle numerose ricette e soluzioni “salva-spreco” che popolano il web; dall’altro facendo riferimento alle varie piattaforme che permettono di recuperare il cibo invenduto/non consumato.

Un aspetto, quello dello spreco, che ci ricorda i tanti risvolti e le tante implicazioni, che il cibo ha per la società, e soprattutto per una società sostenibile. E che ci porta all’ultimo consiglio per il Natale. Le festività sono, tra le altre, occasioni per le persone di riposarsi, di aggregarsi, di stare in famiglia o con gli amici, di costruire quei legami comunitari a cui spesso facciamo riferimento come ricetta per sostenere il welfare di prossimità e promuovere l’inclusione sociale. Tuttavia, sono migliaia i lavoratori e le lavoratrici chiamati al lavoro per le festività natalizie in attività commerciali alimentari, soprattutto nella grande distribuzione. Infatti, a partire dalla liberalizzazione degli orari dei negozi introdotta nel 2011 dal Decreto “Salva Italia” sono stati eliminati vincoli e regole in materia di orari commerciali, senza tenere conto delle conseguenze prodotte su lavoratori e lavoratrici, peraltro in un settore a prevalente occupazione femminile.

Lavoratori/rici che non potranno beneficiare del senso che questi giorni dovrebbero avere in un mercato del lavoro e in una società progredita e che dovranno affrontare, tra le altre cose, complicati problemi di conciliazione famiglia-lavoro. L’ultima cosa che possiamo fare per “dare un senso” ai nostri consumi alimentari natalizi è quindi questa: non fare spesa nei giorni di festa. Cominciamo da noi: il cibo può essere un veicolo di aggregazione e socializzazione, non deve generare nuove disuguaglianze. Non sarà la mancanza di cibo fresco a Capodanno a portarci in povertà alimentare.

 

Bibliografia

Foto di copertina: Libby Penner