Il traguardo simbolico dei cento giorni di guerra è stato superato. Il conflitto in Ucraina si avvia a entrare nel suo quinto mese e, mentre sul terreno i combattimenti non si fermano, in Italia l’accoglienza delle persone in fuga dall’invasione russa prosegue.
Secondo il Ministero dell’Interno, nel nostro Paese sono giunte oltre 130.000 persone (dati aggiornati al 9 giugno), soprattutto donne e bambini. Moltissime hanno trovato ospitalità da parenti, amici e connazionali e per loro, a fine maggio, è finalmente arrivato il sostegno economico dello Stato, tramite una piattaforma digitale. Altre persone sono state accolte da associazioni, parrocchie e famiglie in maniera spontanea, inizialmente senza fondi pubblici. Altre ancora, e in numero crescente, sono state prese in carico dal sistema pubblico, con modalità e tempistiche diverse.
“Il sistema ha retto”, dice Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio Politiche Migratorie e Protezione Internazionale di Caritas Italiana. “E ha retto soprattutto perché sono intervenute le realtà della società civile che, insieme alla comunità ucraina, hanno messo in moto un meccanismo di accoglienza senza vincoli burocratici e procedurali”.
Il Terzo Settore “fondamentale”
Il Governo, da un lato, ha aumentato i posti nei Centri di accoglienza straordinaria e nel SAI, il sistema di accoglienza e integrazione. Dall’altro, la Protezione civile ha lanciato un bando per il terzo settore che ha portato alla selezione di 29 soggetti per un totale di 17.012 posti lungo tutta la penisola che stanno per diventare operativi.
Del resto, già a fine marzo, il Presidente del Consiglio Mario Draghi aveva parlato di “una straordinaria integrazione con il Terzo Settore, considerato fin dall’inizio fondamentale per affrontare questo problema”. E, in effetti, la novità più rilevante è proprio il coinvolgimento diretto degli enti del Terzo Settore.
Ai bandi per il SAI partecipano gli enti locali che, poi, a seguire, coinvolgono realtà del Terzo Settore nell’implementazione dei progetti vincitori. Questa volta, invece, la manifestazione di interesse era rivolta direttamente ad enti del Terzo Settore nazionale, capaci di ospitare con le loro realtà territoriali, di interloquire con gli enti locali e di garantire un accompagnamento e una regia centralizzate. L’organizzazione che ha messo a disposizione più posti è ARCI, con oltre 2.300, seguita proprio da Caritas Italiana, con altri 2.167. “Questo bando per noi è una sperimentazione interessante”, riprende Forti.
La flessibilità necessaria
“Il sistema gestito da Ministero dell’Interno e Comuni è molto centralizzato e, in situazioni come la crisi ucraina, non è sembrato essere sufficientemente reattivo. Noi invece abbiamo la flessibilità necessaria per non andare in affanno, grazie al contributo della società civile”, ragiona il responsabile di Caritas Italiana. Per Forti, “non si può pensare di rispondere a delle crisi come quella ucraina, ma anche come quella afghana, senza contare su un Terzo Settore così strutturato” come quello italiano. Per questo, a suo avviso, i progetti di accoglienza in partenza dovrebbero essere “un primo passo per sperimentare un nuovo modello di accoglienza”.
Quello di trasformare l’emergenza in opportunità è un auspicio che si sente ripetere spesso nel mondo dell’accoglienza italiano. L’ospitalità dei profughi ucraini dovrebbe diventare il motivo per migliorare quella di tutti i richiedenti asilo, a prescindere dalla loro provenienza. Su come questo si possa fare, però, ci sono idee diverse. E quella di Forti, per esempio, sembra in contrasto con le proposte di Matteo Biffoni.
Biffoni, che è sindaco di Prato e delegato ANCI per l’immigrazione, aveva spiegato proprio a Secondo Welfare che la soluzione è un corposo aumento del SAI, che ad inizio 2022 contava 35mila posti e che ha appena visto i Comuni offrire più posti di quelli finanziati dagli ultimi provvedimenti governativi.
Un cambio di paradigma
“Caritas può contare su 10.000 posti di ospitalità al di fuori di qualsiasi circuito ufficiale. Allora perché le organizzazioni che li mettono a disposizione non entrano nel sistema di accoglienza pubblico?” domanda Forti. La sua risposta è “la rigidità del Pubblico, che non incentiva l’ingresso di nuovi soggetti nel sistema. Per questo, per poter contare su numeri importanti, l’unica soluzione è trovare una formula più flessibile”.
Il responsabile di Caritas Italiana si immagina un “diverso sistema”, in cui i Comuni hanno un ruolo “necessario, ma meno preponderante rispetto a quello che hanno nel SAI”. Comuni e Terzo Settore, a suo parere, devono essere “attori sullo stesso piano”, “che collaborano per un obiettivo comune”, “in una relazione tra adulti”. “È un cambio di paradigma, un passaggio culturale non da poco, ma, alla fine, l’accoglienza la fanno le organizzazioni”, riflette.
Qualcuno potrebbe paventare il rischio che i Comuni finiscano per essere scavalcati, come può avvenire con i CAS, i Centri di accoglienza straordinaria che vengono decisi dalle Prefetture, e che tante polemiche hanno creato in passato. Anche in questo caso, però, l’accoglienza delle persone dall’Ucraina potrebbe diventare paradigmatica. Nel bando della Protezione civile è stata aggiunta, come requisito per gli enti del Terzo Settore, la sottoscrizione di un accordo di partenariato con i Comuni coinvolti nel progetto di ospitalità. “Li abbiamo firmati”, racconta Forti. “I Comuni vanno coinvolti: non sono i promotori, ma sono dei partner senza i quali il progetto non può partire”.