Ogni mese Secondo Welfare cura un’inchiesta per Buone Notizie del Corriere della Sera in cui approfondisce i grandi cambiamenti in atto nel nostro Paese sul fronte del welfare. Il 2 novembre 2021 abbiamo approfondito il contributo fornito dagli stranieri che vivono e lavorano in Italia al nostro sistema sociale. Di seguito Orlando De Gregorio riflette sull’importanza di buone politiche di accoglienza per sostenere il trend positivo degli ultimi anni, mentre qui Paolo Riva descrive nel dettaglio alcune dimensioni di questo fenomeno.
In Italia è diffusa una percezione distorta degli immigrati, dunque è bene ripartire dai dati di realtà. Gli stranieri, spesso accusati di essere un peso per la spesa pubblica, contribuiscono alle casse dello Stato più di quanto ricevano in welfare e servizi. Insomma, numeri alla mano, la presenza di stranieri conviene al nostro Paese.
Non va però dimenticato un aspetto: sono diversi i fattori di vulnerabilità che riguardano la popolazione straniera in Italia. Gli immigrati sono spesso impiegati con contratti precari e in settori che hanno duramente risentito degli effetti della pandemia. Sono di frequente – ancora di più dei giovani italiani – sovraqualificati rispetto al lavoro che svolgono. Le famiglie straniere sono più a rischio di esclusione sociale e povertà rispetto a quelle dei nativi. I giovani stranieri sono più inclini ad abbandonare la scuola e hanno peggiori risultati, rispetto agli autoctoni.
Tra la popolazione straniera, i richiedenti asilo e i titolari di protezione internazionale sono i più svantaggiati e incontrano maggiori ostacoli nel loro percorso d’integrazione (in termini di accesso al lavoro, alla casa, all’istruzione). È quindi importante ridare centralità alle misure di integrazione anche nell’ambito del sistema di accoglienza che, pur avendo punte di eccellenza nel Paese, andrebbe riformato ascoltando le proposte di tante organizzazioni e associazioni che lavorano quotidianamente in quest’ambito (ad esempio quelle del Tavolo Asilo Nazionale e della Rete nazionale per il diritto d’asilo).
Si tratta, in poche parole, di superare gli interventi emergenziali e costruire un sistema omogeneo di accoglienza diffusa e integrata nel welfare locale, valorizzando dinamiche di co-programmazione e co-progettazione tra enti locali e Terzo Settore. Come spiegato da un interessante studio di Ispi e Cesvi, le misure di inclusione sociale e lavorativa dei migranti, e tra questi anche dei più vulnerabili – come richiedenti asilo e rifugiati – vanno considerate infatti come un “investimento” in grado di produrre nel corso del tempo minori costi futuri e ulteriori benefici per l’intera società.
Più in generale, dunque, servono buone politiche d’integrazione rivolte a tutta la popolazione straniera, di cui è bene ricordarlo i migranti ospitati nei centri di accoglienza sono una piccola parte. Queste politiche promuovono un futuro di convivenza civile, tra italiani e stranieri, e quindi vanno considerate come un beneficio per l’intera collettività. Senza dimenticare che sostenere e finanziare politiche d’integrazione significa investire in servizi e professionalità dei territori.
Ad oggi, molte di queste iniziative vengono portate avanti nell’ambito del Fondo asilo migrazione integrazione (Fami), mentre la spesa sociale dei Comuni, su questo versante, appare marginale. Per questo le politiche d’integrazione andrebbero maggiormente sostenute a livello europeo e nazionale. Si tratterebbe, ad esempio, di rafforzare ulteriormente i percorsi di apprendimento dell’italiano, di investire nella mediazione culturale e in campagne di sensibilizzazione contro razzismo e discriminazione nelle scuole. E a livello locale significherebbe consolidare pratiche collaborative interistituzionali e multiattore, lavorare in rete tra attori pubblici, Terzo Settore e mondo del lavoro, facendo sinergia e superando la frammentarietà degli interventi.
Questo articolo è stato pubblicato su Buone Notizie del Corriere della Sera il 2 novembre 2021 ed è qui riprodotto previo consenso dall’autore.