E’ stato recentemente pubblicato da FIERI (Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche sull’Immigrazione) il rapporto “Multiwelfare. Le trasformazioni dei welfare locali nella società dell’immigrazione”, di Sandro Busso, Enrico Gargiulo e Michele Manocchi con la supervisione di Ferruccio Pastore e Irene Ponzo. Vi proponiamo una sintesi curata dagli stessi autori, nella quale verranno presentati i risultati principali della ricerca.
Le linee di ricerca
L’espressione Multiwelfare si riferisce sia alla pluralità dell’offerta di welfare, gestita da un numero crescente di soggetti (enti pubblici, cooperative sociali, soggetti for-profit, fondazioni, ecc.), sia alla pluralità della domanda, in una società in cui si moltiplicano i modelli familiari e aumenta la diversità culturale. Questa ricerca si è infatti concentrata sul funzionamento del welfare in una società in cui cresce la presenza straniera, modificando la composizione della domanda e la strutturazione dell’offerta.
Lo strumento concettuale che ha guidato questo lavoro è quello di welfare mix o “modello misto di welfare”, essenziale per comprendere come il welfare tratti e venga influenzato dal fenomeno migratorio. Si tratta di un concetto che consente di osservare le varie configurazioni che nascono dalle interazioni tra pubblico e privato, sulle quali insistono non solo le caratteristiche proprie del singolo servizio, ma anche le relazioni che si instaurano tra i vari servizi, le forme di sostegno economico impiegate e le caratteristiche e i comportamenti degli utenti (reali e potenziali). Per questo lavoro, abbiamo scelto di circoscrivere l’ambito della ricerca, focalizzandoci sul settore delle politiche sociali. Altri ambiti (istruzione, lavoro, sanità, ecc.) sono stati considerati con riferimento alle intersezioni con questo settore.
Abbiamo deciso di confrontare due modelli che, dal punto di vista da noi prescelto, ci avrebbero consentito di osservare in modo eloquente i temi qui indicati: il “welfare compatto” di Torino, dove è la Città a gestire le politiche sociali, e il “welfare diffuso” della provincia di Cuneo, dove questa competenza è stata trasferita, almeno fino alle trasformazioni avviate nel 2012, ai Consorzi socio-assistenziali, dieci in tutto (i Consorzi socio-assistenziali afferiscono ai bacini territoriali di Cuneo, Alba-Langhe-Roero, Bra, Fossano, Monregalese, Alta Langa, Valli Grana e Maira, Valli Gesso e Vermenagna, Valli Mongia, Cevetta e Langa Cebana).
In particolare, ci siamo concentrati sul livello di specializzazione dei servizi rispetto al target specifico degli stranieri, individuando: servizi universalistici, rivolti all’intera popolazione; servizi specialistici o migrant-specific, il cui target è rappresentato dall’utenza straniera; servizi ethnic-sensitive, ossia servizi universalistici che contengono al loro interno dispositivi a supporto degli utenti immigrati, per garantire il corretto accesso e utilizzo dei servizi stessi.
Alcune conclusioni. L’evoluzione del welfare mix: un processo in pieno svolgimento
I due territori, il comune di Torino e la provincia di Cuneo, sono interessati da trend analoghi per quanto riguarda la crescita della presenza straniera sul territorio, la contrazione delle risorse economiche e lo spostamento verso un modello di welfare mix in cui acquista rilevanza crescente l’articolata galassia degli attori non-pubblici. D’altra parte, i due ambiti territoriali e amministrativi differiscono per quanto attiene ai livelli di presenza straniera nell’utenza dei servizi sociali pubblici, alla struttura dell’offerta e alle caratteristiche del sistema di welfare mix.
In particolare, i due territori differiscono profondamente sul fronte della presenza straniera nei servizi sociali a titolarità pubblica. Il modello della provincia di Cuneo appare caratterizzato da un elevato peso della componente straniera dell’utenza dei servizi sociali, che segue un trend in continua crescita. Invece, a Torino i livelli di presenza degli stranieri nei servizi sociali appaiono molto più bassi, e il trend è irregolare: a una crescita costante fino al 2004 fa infatti seguito un progressivo calo nel periodo seguente. Tali differenze non paiono spiegate solo dalla dinamica della domanda, ma anche e soprattutto dalla struttura dell’offerta di welfare, ossia dalle caratteristiche degli interventi specifici per gli stranieri, e dalla complementarietà tra l’offerta pubblica e quella del non-profit e privato sociale – si ricorda che il presente lavoro è incentrato sull’analisi dell’offerta di servizi di welfare che vedono la presenza di utenti stranieri, e non già delle caratteristiche della domanda da questi espressa.
Sul primo fronte non sembra essere tanto rilevante il volume complessivo di spesa per servizi specifici rivolti a stranieri, quanto piuttosto il tipo di interventi. Nel caso cuneese, alla numerosa utenza straniera si associa un’offerta caratterizzata da servizi che facilitano l’accesso alle prestazioni rivolte al totale della popolazione (informazione e mediazione culturale su tutti). Tali servizi, che abbiamo definito “leggeri”, si rivolgono a un target ampio (e non a fasce specifiche con livelli alti di disagio) e si distinguono per un basso costo per utente. Invece, nel caso torinese, sotto la categoria dei servizi specifici vengono annoverati interventi che mirano a rispondere direttamente a situazioni di disagio (per esempio, le problematiche legate all’abitazione) e con un costo per utente decisamente più elevato, per cui gli utenti sono in numero significativamente minore che nel Cuneese.
Per quanto riguarda la struttura del welfare mix e la complementarietà tra pubblico e nonprofit, a Torino emerge il ruolo centrale delle organizzazioni del terzo settore, e di altri settori del pubblico non immediatamente riconducibili al settore delle politiche sociali (come evidenzia l’assegnazione delle deleghe in materia di integrazione dei “nuovi cittadini” ad un altro assessorato). Prendono così forma percorsi che non intersecano necessariamente i servizi sociali territoriali e si sviluppano in forma parallela e autonoma rispetto al pubblico, contribuendo a limitare la domanda che grava su quest’ultimo. Nel cuneese, pur rivestendo comunque un ruolo rilevante nel panorama dell’offerta, il terzo settore non gode dello stesso livello di autonomia e stabilità nel finanziamento. La centralità del pubblico nei percorsi assistenziali sembra dunque essere maggiore.
Tra i fattori che danno forma a questo scenario non vanno annoverate soltanto le caratteristiche degli attori in gioco e le risorse di cui dispongono, ma anche i modelli di interazione tra gli stessi. Nel caso di Torino, infatti, si assiste a un maggior livello di coordinamento del sistema di offerta, che matura per una precisa volontà degli attori in sedi di programmazione comune, e che viene considerato una risorsa fondamentale. Ciò consente, ad esempio, una divisione dei compiti in cui l’offerta del pubblico (o dei diversi settori del pubblico) e del non-profit (e talvolta anche del for-profit) divengono complementari. A Cuneo invece, un simile coordinamento non è ancora stato raggiunto (in parte per la mancanza di fondi, che di fatto ha interrotto il processo in atto, in parte per un terzo settore ancora non autonomo) e si osservano dinamiche di sovrapposizione – in certi casi addirittura di competizione – tra i servizi.
I percorsi di strutturazione del welfare mix assumono, dunque, un ruolo centrale nel dar forma al panorama dell’offerta di servizi rivolti agli stranieri e meritano in conclusione un ulteriore approfondimento. Essi prendono forma, infatti, sulla scorta del mandato normativo della legge 328/2000, ma rappresentano anche una risposta in qualche modo necessaria alla costante contrazione delle risorse che si è verificata a partire dagli anni immediatamente successivi alla riforma. Tale contrazione ha interessato in maniera particolarmente significativa i finanziamenti rivolti all’immigrazione.
L’unica soluzione per ottenere i fondi necessari a proseguire i progetti avviati e, più in generale, ad assicurare la sopravvivenza delle organizzazioni, è divenuta quella di progettare sui bandi che vari enti pubblici e privati (ad esempio Unione Europea e fondazioni bancarie) pubblicano periodicamente.
Sono diverse le ricadute che questo ricorso ai bandi provoca sul sistema di welfare mix. La più visibile è certamente l’aumento del grado di interazione, collaborazione e coprogettazione tra gli attori di un certo territorio. Infatti, la struttura dei bandi – in massima misura quelli sui fondi europei, ma anche quelli più locali – richiede spesso la costituzione di ampie partnership che hanno il positivo effetto di portare allo stesso tavolo soggetti che prima non lavoravano insieme o attori che adottavano strategie concorrenziali ed escludenti e che invece ora sono spinti a dialogare. Tuttavia, queste nuove modalità di finanziamento comportano l’aumento della complessità gestionale e dei relativi costi, maggior incertezza sul medio-lungo periodo, la paradossale sottrazione di tempo all’erogazione di servizi e al lavoro diretto con i destinatari dei progetti, la distorsione d’uso di tali fondi, utilizzati per sostenere l’attività istituzionale e non per innovare.
In particolare, paiono emergere quattro aree di criticità, che assumono gradi differenti di articolazione e complessità nei due territori, ma che in ogni caso vengono indicate da enti e organizzazioni come cruciali e bisognose di costante attenzione.
La prima è la “questione culturale”, e riguarda lo sviluppo di una visione comune tra i diversi attori, fondata su un’interpretazione condivisa del fenomeno dell’immigrazione, la definizione di obiettivi comuni in termini di integrazione e l’individuazione congiunta di approcci e linee di intervento ritenute adeguate rispetto agli obiettivi.
La seconda è la “questione gestionale”, relativa alla chiara definizione, per competenze formali ma anche per capacità e conoscenze, delle funzioni di ciascuno, rispetto alle quali ogni attore possa lavorare con piena autonomia, in quanto delegato dal resto della rete.
La terza è la “questione organizzativa”. La domanda di fondo che informa questa questione, e che deve trovare spazio nel confronto tra gli attori pubblici e privati, rimanda alla scelta tra individuare servizi specificamente rivolti ai migranti che si stagliano, con maggiore o minore conflittualità, sullo sfondo dei servizi universalistici.
L’ultima è la “questione finanziaria”, che concerne le modalità di erogazione dei finanziamenti. Ci riferiamo alle leggi europee e soprattutto, per quanto riguarda questo lavoro, alle modalità di erogazione dei fondi. Infatti, i bandi ai quali gli attori pubblici e privati possono concorrere, condizionano a volte in modo pesante la forma che reti, progetti e assegnazione di responsabilità assumono.
Riferimenti
Multiwelfare. Le trasformazioni dei welfare locali nella società dell’immigrazione
Il sito di FIERI