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Si è svolta la scorsa settimana a Bruxelles la conferenza “Exploiting the employment potential of personal and household services” organizzata dalla DG Occupazione, affari sociali e inclusione per presentare e discutere i risultati della consultazione pubblica seguita alla pubblicazione da parte della Commissione Europea dello Staff Working Document “On exploiting the employment potential of the personal and household services” nell’aprile dello scorso anno.

Lo scopo dell’iniziativa è stato quello di affrontare due questioni di fondamentale importanza e individuare, per quanto possibile, soluzioni comuni. Da un lato, la necessità di creare nuovi posti di lavoro specialmente per le fasce di popolazione meno qualificate e più a rischio di disoccupazione di lungo periodo ed esclusione sociale, mentre dall’altra la volontà di costruire un sistema di servizi “family friendly” che consentano ai lavoratori una migliore conciliazione tra vita privata e lavorativa.

Perché puntare sul settore dei servizi?
Per creare nuove opportunità di occupazione in momenti di austerity e raggiungere il 75% di occupati nella fascia di età 20-64 entro il 2020 – come dispone il target europeo all’interno della strategia Europa 2020 raccomanda agli Stati Membri di implementare iniziative che favoriscano lo sviluppo dei settori con il più alto potenziale di occupazione, come i “white jobs”, le professioni sanitarie e nel campo dei servizi alla persona, e tutti quei servizi per lo svolgimento delle attività quotidiane. Nell’ambito della strategia Europa 2020 – come ricorda lo staff working document della Commissione – la flagship initiative "An Agenda for New Skills & Jobs” raccomanda l’elaborazione da parte dei Governi nazionali di riforme che vadano nella direzione di un sistema di “flexicurity” nel mondo del lavoro e un maggiore focus sulla qualità del lavoro attraverso istruzione adeguata e miglioramento delle condizioni di lavoro.

Durante l’apertura dei lavori László Andor, Commissioner for Employment, Social Affairs and Inclusion, ha sottolineato come i servizi per l’infanzia e la non autosufficienza siano e debbano rimanere servizi sociali di interesse generale, e le autorità debbano impegnarsi per garantirne l’accesso ai cittadini. Allo stesso tempo però, questi possono anche contribuire, nell’ambito di una strategia lungimirante, a creare impiego nuovo e qualificato. E’ però necessario che le autorità sostengano i costi delle famiglie, destinati a crescere con il passaggio dal lavoro nero a quello regolare, e si impegnino a migliorare gli standard professionali, specialmente nel campo dell’assistenza agli anziani non autosufficienti. Una strategia di investimento, sociale e al tempo stesso occupazionale, che si concilia secondo il commissario con un modello di crescita inclusiva, intelligente e sostenibile. I temi trattati durante la conferenza saranno infatti inclusi nel Social Investment Package che la Commissione presenterà in febbraio.

I servizi domiciliari: prospettive reali?
Jean-François Lebrun e Patricia Pedelabat-Lartigau, presentando una sintesi dei risultati della consultazione pubblica, hanno mostrato l’esistenza di un enorme potenziale occupazionale sommerso, oggi “coperto” dai famigliari, dai lavoratori irregolari e dall’impegno dei volontari.
Seppur partendo dall’analisi delle diverse politiche pubbliche attuabili contro il “sommerso” – una maggiore presa in carico del settore pubblico, la creazione di un quasi-mercato “protetto”, e la valorizzazione del lavoro volontario all’interno delle comunità – è necessario ricercare nuove strade per aumentare la produttività del settore e favorire l’adozione e l’utilizzo di nuove tecnologie.

Rimane cruciale la questione finanziaria per le famiglie: per arginare il ricorso al lavoro irregolare le autorità pubbliche possono implementare politiche di sostegno al reddito e co-finanziamento, agevolazioni di carattere fiscale – per cittadini e imprese che si fanno carico del benessere dei propri dipendenti – e per favorire l’acquisto di coperture assicurative. Ma si tratta di un costo sostenibile per lo Stato? Il leitmotiv della conferenza è stata proprio l’idea di “investimento”: politiche pubbliche che generano occupazione qualificata e creano un nuovo “mercato” per i servizi alla persona produrranno, nel lungo periodo, importanti ritorni in termini di entrate fiscali da lavoro e minori pagamenti per sussidi di disoccupazione.
C’è poi un altro punto da considerare, emerso grazie all’esperienza dei Titres Services belga: molti degli utilizzatori dei servizi sono riusciti in questo modo a conciliare meglio i propri impegni lavorativi con la vita personale e, dunque, a lavorare di più e meglio.

L’indagine pubblica evidenzia come il supporto finanziario pubblico sia cruciale nella scelta degli utilizzatori di poter rinunciare al lavoro irregolare, e al tempo stesso evidenzia una richiesta condivisa di norme che attestino la qualità dei servizi forniti ma anche che regolino le condizioni di lavoro del personale. Basti ricordare che l’Italia è ancora l’unico paese europeo ad avere ratificato la Convenzione dell’ILO – International Labour Organization n. 189 “on Decent Work for Domestic Workers” per tutelare le condizioni di lavoro degli impiegati nel lavoro domestico (per approfondimenti si rimanda al nostro articolo L’Italia ratifica la Convenzione ILO sul lavoro domestico. Ma sono ancora milioni nel mondo i lavoratori senza tutele).

Nicolas Farvaque del centro di ricerca ORSEU ha mostrato che i dati raccolti per i diversi case study nazionali all’interno della ricerca svolta per DG Employment “Developing personal and household services in the EU. A focus on housework activities", sembrano confermare il potenziale occupazionale degli schemi pubblici presi in considerazione. Non vi sono però rassicurazioni circa lo status occupazionale di questi nuovi lavoratori e il rispetto di condizioni di lavoro accettabili. Gli effetti di ritorno sulla spesa pubblica rimangono comunque, in tutti i casi, estremamente difficili da quantificare.

Una giustizia uguale per tutti?
La presentazione di Farvaque apre un interessante dibattito circa la “giustizia sociale” del tema nel suo complesso. Chi beneficia maggiormente – e dunque ne utilizza le agevolazioni – dei servizi di cura domestica? In molti ritengono si tratti delle famiglie più abbienti, in cui entrambi i coniugi lavorano e che si possono permettere il costo di un aiuto domestico. Sarebbe forse opportuno fare una distinzione più netta tra servizi di cura per le persone e altri tipi di prestazioni per agevolare la vita quotidiana, come ad esempio le pulizie domestiche? Infine, è molto importante che i decisori pubblici si soffermino sulla qualità dell’occupazione creata, in termini di condizioni lavorative, sicurezza del posto di lavoro e contributi sociali.

Michel Mercadié, membro della Management Committee della Social Platform , ha sottolineato come l’azione della Commissione, appoggiata dalla Social Platform, vada nella direzione di combattere l’esclusione sociale e di migliorare i diritti fondamentali dei cittadini europei. Tuttavia, ha ribadito come l’ambizione di creare numerosi nuovi posti di lavoro sia eccessiva, tenendo presente che molti di essi già esistono e verranno solamente fatti “emergere” nel lavoro regolare. Mercadié ha anche richiamato i partecipanti a una seria riflessione circa i servizi oggetto della discussione: se sono tutti uguali nell’ottica di creare occupazione, non possono esserlo per la valenza sociale che ricoprono. Prestazioni mirate al miglioramento del benessere delle persone non possono essere equiparate a quelle di natura socio-assistenziale, necessarie alla vita delle persone. C’è poi il problema dei lavoratori che – come ricorda Mercadié – sono in maggioranza donne e immigrati e devono essere tutelati in termini di orari e modalità di lavoro, ma anche di contributi previdenziali, malattia e infortuni. Citando la Social Business Initiative, Mercadié ha infine concluso richiamando il contributo e il ruolo futuro dell’economia sociale nel campo dei servizi alla persona.

In linea con l’intervento di Mercadié, Freek Spinnewijn di Social Services Europe ha ribadito la necessità di disegnare confini tra i tipi di servizi e il target dei beneficiari, e di individuare quali di questi siano i più “vulnerabili” e dunque bisognosi di supporto pubblico. Benché la creazione di nuova occupazione sia un bisogno ormai imprescindibile, Spinnewijn ha posto l’accento sul rischio di una privatizzazione dei servizi alla persona, che condurrebbe alla creazione di un vero e proprio mercato delle prestazioni sociali.

Marie Béatrice Levaux, French Federation of Household Employers (FEPEM), ha invece concentrato il proprio intervento sulla condizione dei lavoratori coinvolti, auspicando la nascita di una “visione europea del settore del family employment”. Lo sforzo condiviso tra le istituzioni europee e gli Stati membri per sviluppare una “professionalizzazione” del settore a livello europeo caratterizzata da più qualità dei servizi, più sicurezza per i lavoratori, più competenze tramite formazione adeguata e un nuovo senso civico, una cittadinanza più responsabile rispetto ai temi del sociale. L’impegno della FEPEM per una “visione europea” del settore – ha dichiarato la Levaux – includerà anche la prossima la creazione della European Federation For Family Employment in cooperazione con le istituzioni europee.

Le best practice in Europa
La due giorni ha ospitato diverse best practice europee nel settore dei servizi alla persona. Tutti i documenti relativi alle sessioni sono disponibili sul sito della Conferenza.

Le esperienze presentate durante i lavori sono accomunate dalla presenza di alcuni fattori comuni: l’importanza del ruolo dell’attore pubblico – a livello nazionale così come europeo – nella ricerca delle migliori soluzioni per promuovere lo sviluppo dei servizi alla persona, l’universalismo dei servizi inteso come fruibilità per tutti i cittadini, e al tempo stesso l’opportunità di creare mercato del lavoro che consenta l’inclusione delle categorie più vulnerabili. I relatori e i numerosi stakeholder invitati hanno inoltre condiviso la necessità di una regolamentazione adeguata, che tuteli i beneficiari così come la forza lavoro. Il dibattito sul tema, che sembra essere ancora solo agli inizi, richiederà la partecipazione attiva dei diversi attori – sociali, politici ed economici – che possono contribuire all’evoluzione della “strategia globale” auspicata dalle autorità europee.

E’ infine necessario sviluppare analisi delle politiche sempre più attente, a dimostrazione dei benefici economici di lungo periodo derivanti dall’intervento pubblico, per continuare a promuovere e diffondere – anche a livello europeo – progetti innovativi e sperimentazioni locali.

 

Riferimenti

La conferenza e lo Staff Working Document pubblicato dalla Commissione Europea lo scorso aprile 2012

La consultazione pubblica

Il sito della conferenza, dove trovare materiale utilizzato durante l’evento

Il sito della DG Occupazione, affari sociali e inclusione

EU Employment and Social Situation Quarterly Review – December 2012

La notizia sul sito dell’ILO

Andor: “The employment potential of care services is not confined to the present”, New Europe Online, 31 gennaio 2013
 

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