Gli investimenti e le riforme orientate al futuro si scontrano inevitabilmente con il problema dei costi: servono infatti risorse oggi, a carico delle generazioni presenti, per ottenere benefici domani, a favore delle prossime generazioni.
La disponibilità di fondi europei consente di attenuare questo ostacolo, ma solo in parte. L’emergenza economica ha infatti imposto molti sacrifici alle famiglie, le quali comprensibilmente si aspettano protezioni e ristori. Le varie categorie organizzate e gli stessi partiti si sono già mobilitati per sfruttare in qualche modo il Recovery a fini compensativi. Le versioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) preparate dal precedente governo avevano attirato molte critiche (dalla stessa Ue) proprio per l’eccessivo spazio lasciato a bonus, incentivi e misure di tipo micro settoriale.
Il conflitto d’interesse fra l’oggi e il domani resta dunque difficile da gestire. Ma non è del tutto intrattabile. Si può infatti mettere a punto una strategia virtuosa che, mantenendo ferma la rotta verso il futuro, sia anche in grado di rispondere ai bisogni del presente. Gli investimenti in infrastrutture, ad esempio, possono generare da subito occupazione e reddito nei diversi territori. Lo stesso si può dire di alcune riforme del welfare (assistenza all’infanzia, scuola, formazione, conciliazione, servizi per l’impiego e socio-sanitari).
È vero che le regole di Bruxelles privilegiano le spese in conto capitale, ma non escludono a priori altri tipi di spesa, purché si dimostri il loro nesso con la crescita e l’inclusione. Per cogliere e sfruttare le sinergie fra presente e futuro c’è però bisogno di una operazione straordinaria di intelligenza politica, anzi di vera e propria «intelligence». Pensiamo alla sfida enorme che si aprirà con la fine del blocco dei licenziamenti. Quali e quante imprese sono destinate a fallire, quante a diminuire il numero di dipendenti? Quali aree subiranno maggiormente l’impatto dei licenziamenti? E, sul lato opposto: dove stanno quei famosi «giacimenti occupazionali», composti da imprese che non trovano lavoratori con le competenze di cui hanno bisogno?
Se disponessimo di queste informazioni e agissimo di conseguenza, molti esuberi potrebbero essere assorbiti tramite mobilità da posto a posto, magari con un intermezzo formativo. Un altro tassello della strategia potrebbe essere questo: una corsia preferenziale per quegli investimenti e iniziative che creino rapidamente nuova occupazione proprio laddove il Covid-19 ha causato più «buchi» nel tessuto economico e sociale.
La Commissione Europea si aspetta che ciascun progetto inserito nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) abbia una accurata valutazione di impatto. Bene, la si faccia anche su base territoriale, al netto delle perdite che ciascuna area sta subendo per la pandemia. Grazie a questo tipo di intelligence, il cantiere messo in moto dal PNRR potrebbe prendere due piccioni con una fava: investire per il futuro, e al tempo stesso ammortizzare i costi sociali del presente. La strategia potrebbe estendersi ad altri difficili snodi di riforma. All’eliminazione di quota cento potrebbe ad esempio accompagnarsi l’introduzione di uno schema di copertura contro la non autosufficienza per gli ultra-sessantenni. Molti potrebbero scegliere di restare al lavoro se, oltre a una pensione più alta, avessero anche accesso a servizi di cura per sé e i familiari.
Altro esempio: nelle aree con bassi livelli di occupazione femminile si potrebbe avviare subito la costruzione di nuovi asili e scuole (con relative assunzioni) e si potrebbe sperimentare un sistema di buoni-servizio che faccia decollare l’economia sociale della cura. La Naspi, le detrazioni fiscali, il reddito di cittadinanza, l’assegno di ricollocazione potrebbero essere a loro volta ridisegnati in fretta avendo in mente l’obiettivo di ottimizzare il famoso matching (l’incontro) fra domanda e offerta di lavoro.
Il successo di una strategia di questo genere – anche sul piano del consenso – dipende ovviamente dalla credibilità delle proposte e dalla pronta realizzazione di alcuni esempi concreti ed emblematici. Sennò i diretti interessati (i lavoratori che dovranno essere licenziati, quelli che dovranno ritardare il pensionamento, giovani e donne) non si fideranno.
In altri Paesi, la conoscenza «locale» su cosa e come fare è arrivata dalle stesse categorie produttive e dai sindacati. Mario Draghi ha inaugurato una nuova stagione di dialogo sociale: lo si usi anche per fare proposte su come alcuni progetti del PNRR – senza essere snaturati – possano anche svolgere la funzione di ammortizzatore sociale. Pie illusioni? In realtà si tratta di strategie piuttosto comuni in altri Paesi, nonché al centro di una articolata riflessione su «come si governa per il lungo periodo». Certo, in Italia, non siamo abituati, per questo ho parlato di operazione straordinaria.
Difficile però immaginare un contesto nazionale ed europeo più propizio di questo per sperimentarla. E soprattutto un governo più capace e motivato a usare tutta l’intelligenza politica che serve per promuovere la ripresa e la resilienza del Paese.
Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera dello scorso 25 febbraio 2021, ed è stato qui riprodotto previo consenso dell’autore