Nel suo discorso televisivo di domenica sera, il presidente del Consiglio ha dedicato un passaggio all’Ue e ha parlato di una svolta «storica», sollecitata dall’Italia: l’impegno a istituire un Recovery Fund per il rilancio dell’economia europea, basato su risorse comuni. Per la verità il documento ufficiale non si è sbilanciato sul versante del finanziamento. Dopo tutto, ci sono molti modi per condividere i rischi anche senza «mutualizzazione».
La strada sarà in salita, come sempre il diavolo si nasconderà nei dettagli. Ma un progresso c’è sicuramente stato. Angela Merkel ha avuto il coraggio di dire al proprio Parlamento che la Germania dovrà essere pronta a contribuire molte più risorse al bilancio europeo, in spirito di solidarietà. E ha giustificato questa affermazione confermando che «l’impegno nei confronti di una Europa Unita coincide con la ragion di stato tedesca», un’affermazione degna di Helmut Kohl. Nel Parlamento europeo, i colleghi di partito della Cancelliera non hanno avuto lo stesso coraggio. Verdi e socialdemocratici tedeschi hanno però votato compatti, entro il gruppo dei Socialisti e Democratici, a favore dei Recovery bonds. Lo hanno fatto anche i membri olandesi di questo gruppo: una vera sorpresa. Le dinamiche interne al Parlamento europeo fanno sperare che in questa istituzione possano gradualmente ricomporsi le contrapposizioni fra paesi che dominano invece il confronto in seno al Consiglio. Il compromesso del 23 aprile ha, almeno temporaneamente, spento una fase di aspri conflitti che rischiava di far nuovamente precipitare la Ue nella stessa «crisi esistenziale» di mezzo decennio orsono. E c’è da sperare che si attenui all’interno dei vari Paesi anche la giustapposizione fra europeisti e euroscettici.
Come vanno le cose nel nostro Paese su questo fronte? In Italia il giudizio degli elettori sulla risposta Ue alla crisi Covid-19 è in media piuttosto negativo, anche fra i simpatizzanti dei partiti di governo. Ma ciò non ha alimentato sentimenti anti-Ue. In base a un sondaggio Yougov (www.euvisions.eu), intorno a metà aprile il 71% degli elettori si diceva a favore di un maggior coordinamento europeo, piuttosto che per soluzioni decise in autonomia dal governo nazionale. Fra gli elettori del Pd la percentuale era pari all’88%. Anche fra quelli dei 5 Stelle il dato superava di un punto quello medio.
L’indicazione più sorprendente riguarda l’elettorato della Lega e di Fratelli d’Italia. Anche all’interno di questi bacini, infatti, nella seconda settimana di aprile la maggioranza si schierava a favore del coordinamento Ue: 51% nella Lega, 65% in Fratelli d’Italia. Come si ricorderà, Salvini e Meloni hanno cercato di gridare al lupo agitando lo spauracchio del Mes. Evidentemente questa polemica, largamente pretestuosa, non è stata molto efficace.
Sulla stampa internazionale si è parlato molto delle esitazioni di Bruxelles nell’aiutare l’Italia all’inizio della crisi. Qualcuno ha tuttavia anche ironizzato sul fatto che gli italiani siano sempre con il cappello in mano, pronti a rivendicare solidarietà da parte degli altri ma restii a dare. È sicuramente vero che nei rapporti con la Ue ci siamo trovati più spesso nelle condizioni di chi chiede piuttosto che il contrario. Ma non bisogna esagerare: siamo infatti un contribuente netto al bilancio Ue (versiamo più di quanto otteniamo) e partecipiamo alle istituzioni finanziarie Ue (ad esempio l’odiato Mes) non come debitori, ma come garanti. Il sondaggio Yougov mette in luce un aspetto inatteso. Nel caso in cui un altro paese si trovasse in gravi condizioni di necessità, la maggioranza degli italiani sarebbe favorevole ad offrire aiuti, come del resto avvenne nel caso nella crisi greca. Gli elettori della Lega e di Fratelli d’Italia sarebbero contrari per il 60% circa. Ma certo non compattamente contrari. L’euroscetticismo, o meglio il sovranismo, hanno negli ultimi anni dominato la scena politica italiana. Molti commentatori e studiosi hanno suggerito che l’Italia fosse il caso di punta di una nuova tendenza: la riconfigurazione dello spazio politico intorno alla dimensione apertura-chiusura invece che alla dimensione più tradizionale destra-sinistra. Da un po’ i dati segnalano che il sovranismo ha allentato la sua presa, almeno per quanto riguarda l’appartenenza all’euro a alla Ue. Nei Paesi del Nord, le ricerche politologiche rilevano da qualche anno una crescente disponibilità degli elettori a sostenere politiche europee più solidaristiche. Certo, continuano ad essere presenti minoranze intense sfavorevoli ad ogni trasferimento finanziario fra paesi. Il potere di ricatto di queste minoranze è superiore alla loro consistenza numerica, i partiti filo-Ue non possono perciò ignorarle. Ma è anche possibile che il pendolo inizi ad oscillare in direzione contraria. I Verdi tedeschi stanno diventando una minoranza intensa (e consistente, sia in Germania che nel Parlamento europeo) a favore di più integrazione politica e sociale.
Per chi crede nell’Europa, è certo troppo presto per cantare vittoria. Ma forse possiamo tirare un primo respiro di sollievo. In passato, i progressi dell’integrazione sono sempre stati promossi dalle élite piuttosto che dagli elettori. Non è però da escludere che la dinamica possa ribaltarsi. E che proprio la pandemia offra l’occasione per un inatteso sorpasso dell’Unione degli Stati da parte dell’Unione dei cittadini.
Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera dello scorso 27 aprile 2020, ed è stato qui riprodotto previo consenso dell’autore