Dalle ricerche e dalla letteratura in materia di Happiness Management e Positive Organization, si evince che le aziende che considerano la felicità dei loro dipendenti come una priorità strategica sono in grado di realizzare una maggiore produttività e hanno un miglior rendimento economico.Nel corso della mia esperienza professionale che mi porta a collaborare con team ed organizzazioni ad alto potenziale e successo, ho potuto osservare una serie di caratteristiche che contraddistinguono le organizzazioni positive da quelle più convenzionali.
Le organizzazioni positive si prendono cura della sfera psico-emotiva dei propri dipendenti, lasciano che siano loro ad identificare gli obiettivi da raggiungere e questo senso di autonomia genera non solo una maggiore responsabilità, ma anche felicità e produttività.
Nelle aziende “felici” l’equilibrio tra lavoro e vita non è solo uno slogan. Tale condizione è resa possibile dalla flessibilità degli orari e dalla possibilità di lavorare dove si vuole, anche in considerazione della necessità (in particolare) delle donne di conciliare le esigenze domestiche con quelle professionali.
È recente la notizia che Microsoft ha sperimentato nella sede di Tokyo la settimana lavorativa di 4 giorni su 2.300 dipendenti e il risultato è stato un aumento di produttività del 39,9% ma è anche il caso di Tower Paddle Boards, l’azienda che ha accorciato l’orario di lavoro ad appena 5 ore giornaliere, con una crescita degli introiti del 40% e inserita per questo tra le 5mila aziende americane cresciute più velocemente.
Le organizzazioni positive hanno capito che i soldi e la carriera non bastano più per assicurare coinvolgimento e motivazione: ecco perché accanto a tutta una serie di benefits che lavorano sulla soddisfazione dei bisogni, si prendono cura delle persone esprimendo apprezzamenti e riconoscimenti; offrendo opportunità di formazione, sviluppo personale e culturale, non solo tecnico; sono attente al clima che si respira in azienda, favorendo e coltivando rapporti interpersonali basati su comprensione, rispetto, gentilezza, supporto e sinergia.
Come si fa a realizzare tutto questo?
Non esistono aziende “felici” che non abbiano “leader positivi” capaci di gestire i team creando le condizioni ideali per la loro fioritura personale e collettiva. Tali leader rompono il modello mentale del capo che comanda e controlla e si preoccupano invece di:
- amalgamare il proprio team condividendo obiettivi e informazioni, facendo sentire ogni persona parte di un “tutto” dotato di un senso;
- motivare le persone individuando i talenti di ognuno e offrendo occasioni di crescita personalizzata;
- potenziare la comunicazione interpersonale positiva e non violenta, favorendo una cultura dell’errore e del feedback, orientata allo sviluppo della cooperazione.
- leggere la realtà e mettersi in gioco, soprattutto con le nuove generazioni.
Le ricerche ci dicono infatti che se c’è un aspetto su cui la Generazione Z (quella dei nati tra il 1996 e il 2000) non è disposta a scendere a patti quello è la felicità, appunto.
In una ricerca dal titolo “What the World’s Young People think and feel” emerge come la nuova generazione metta la felicità al centro di tutto. Lo studio spiega anche cosa significa per un giovane essere felice. I fattori che determinano la felicità sono soprattutto le relazioni umane con amici e famiglia ma anche il sentirsi soddisfatti nello studio e nel lavoro (questa è la risposta dell’89% degli intervistati).
Rispetto a ciò che si è appena affermato, sembra chiaro che, se i Millennials sono ancora disposti a sacrificare la loro vita per le necessità aziendali, la Generazione Z sembra molto più concentrata sul proprio benessere e questo lancia un guanto di sfida alle aziende: se vogliono attirare i talenti migliori devono organizzarsi per offrire loro un ambiente di lavoro sereno.
Il ruolo del Chief Happiness Officer
La felicità può tirare fuori il meglio delle persone e generare risultati per il business a patto però che sia considerata una priorità strategica.
Per questo è importante che ci sia un focus specifico che può essere offerto da un ruolo come il Chief Happiness Officer, una figura professionale che integra le competenze e le sensibilità dei ruoli HR con competenze e visioni più legate al business e all’integrazione sistemica, per realizzare quella coerenza tra iniziative di welfare o politiche di sviluppo delle persone, processi organizzativi, stili di leadership e cultura dell’organizzazione che è alla base del successo e della sostenibilità dell’azienda nel tempo.
Ciò che distingue un Chief Happiness Officer (CHO) da un tradizionale HR Manager e, soprattutto, la sua maggior efficacia deriva da due caratteristiche specifiche:
- la qualità del suo approccio, cioè del suo mindset rispetto all’Organizzazione;
- la profonda conoscenza di alcuni principi di funzionamento dell’essere umano che costituiscono i driver dei comportamenti organizzativi.
Il Chief Happiness Officer ha una visione sistemica ed integrata delle Organizzazioni. Il CHO sa che le organizzazioni non sono macchine composte di parti separate e che le persone non sono ingranaggi da manipolare, controllare, contare, spostare senza che ci siano effetti su altre dimensioni. Vede le organizzazioni come organismi viventi, complessi e adattivi che si modificano costantemente attraverso le interazioni interne ed esterne, e vede le persone nella loro “pienezza”, con bisogni, talenti, capacità, valori, anche esse in costante mutamento.
Questo tipo di visione richiede la capacità di osservare l’organizzazione in maniera sia allargata – considerando la dimensione esterna, la società e il contesto in cui l’organizzazione agisce, oltre che la dimensione interna – sia integrata. Il tema dell’engagement, per parlare di uno degli argomenti più dibattuti, non può essere considerato solo attraverso l’azione su una parte (introducendo magari una policy specifica per migliorare il benessere delle persone, come ad esempio il corso di yoga), ma lavorando sul “sistema” per creare le condizioni e il contesto affinché le persone si sentano coinvolte e la politica scelta sia efficace.
Le dimensioni che costituiscono una visione integrata e sistemica dell’organizzazione
Sono 4 le dimensioni di questo sistema che entrano in gioco e che il CHO è consapevole di dover considerare.
- L’evoluzione della società: il benessere psico-fisico è un problema emergente e che rischia di avere forti impatti sulle persone che vivono nella mia organizzazione?
Il CHO presidia l’area della cosiddetta Corporate Happiness, fa cioè della felicità una strategia organizzativa coerente.
Sa leggere i principali trend economico, sociali, ambientali, culturali, politici, tecnologici, e valutarne l’impatto sulla forza lavoro, in modo da costruire un piano di azioni e pratiche coerenti e finanziariamente sostenibili. - La leadership e i modelli mentali di chi guida l’organizzazione: il mio capo pensa che se vado nella palestra aziendale in pausa pranzo sto perdendo tempo, e che la regola è sempre “business first”?
Il CHO coltiva la Positive Leadership e la Scienza del Sè, perché sa che non esistono organizzazioni positive senza leader positivi.
Aiuta i leader della propria organizzazione a definire un chiaro proposito ancorato a valori forti; promuove una leadership del servizio e diffusa a tutti i livelli, non solo manager, non solo capi; stimola a coltivare una propria routine del benessere e della felicità per dare l’esempio ed essere congruente nei comportamenti quotidiani; intercetta i bad managers e smette di promuoverli. - I processi e le procedure: facciamo riunioni tutti i giorni anche quando dovrebbe esserci il corso di pittura? Il corso di pittura è considerato fuori orario di lavoro o messo in alternativa alla pausa pranzo?
Il CHO sceglie, disegna e gestisce processi e pratiche congruenti con la strategia identificata e capaci di generare benessere e percezione di coerenza. - La cultura organizzativa: ci fidiamo delle persone? Il benessere fisico, emotivo e mentale fa parte dei nostri valori? E’ contemplato nel proposito della nostra organizzazione e ci adoperiamo per renderlo manifesto anche nella comunità e nel territorio in cui operiamo per contribuire al miglioramento generale collettivo.
Il CHO promuove una cultura organizzativa guidata da un proposito forte, ancorato a finalità collettive, capace di generare un impatto sociale, ecologico e di promozione del bene comune.
Il Chief Happiness Officer ha una metodologia adattiva basata su “principi di funzionamento”, non una ricetta di regole standard da applicare in ogni situazione e indipendentemente dal contesto.
Il CHO conosce la Scienza della Felicità e i “principi core” alla base del funzionamento individuale e collettivo degli esseri umani, ed è in virtù di queste conoscenze che riesce a disegnare la strategia ed implementare il percorso di sviluppo organizzativo più efficace e congruente con il contesto in cui opera.
La metodologia alla base dello sviluppo delle Organizzazioni Positive
La metodologia alla base dello sviluppo dell’Organizzazione Positiva non prevede la risoluzione di qualsiasi problema attraverso un approccio “<inserisci la pratica xy>”, come gli esperti di varie metodologie hanno spesso suggerito, perché sappiamo bene che a dispetto di tante buone prassi suggerite ed implementate, in molte organizzazioni i risultati non sempre sono arrivati. Questo perché magari i prodotti o i servizi dell’organizzazione sono ormai disallineati ai bisogni del mercato o il modo di lavorare dissipa energie e i comportamenti sono incoerenti.
I principi raramente cambiano, le pratiche dipendono invece sempre dal contesto, dal modo in cui ognuno interpreta quel “<inserisci la pratica xy>”.
Quando s’inseriscono pratiche seguendo una ricetta precostituita è chiaro che si sta scommettendo sulla fortuna ed il rischio è che si finisca per rincorrere sempre nuove pratiche, nuovi metodi, nuove mode.
La metodologia che utilizza il CHO è basata, al contrario, su un’architettura di principi scientifici – ossia i driver del comportamento individuale e collettivo – e su una visione integrata e sistemica dell’organizzazione – ossia le 4 dimensioni della strategia, della cultura, della leadership e delle pratiche.
E’ per queste caratteristiche che il CHO sa scegliere cosa fare, da che punto partire e quali pratiche adottare per innescare il processo di costruzione dell’Organizzazione Positiva, che sarà prettamente originale e specifico per ogni organizzazione, perché terrà conto del momento storico della realtà in cui opera, di ciò che già è stato fatto e magari occorre solo sistemare e raccontare meglio, di ciò che è davvero necessario per il tipo di settore in cui si agisce. Il CHO di un’azienda del settore edilizia sa, ad esempio, che non ha senso inserire un incentivo monetario per gli straordinari e i turni di lavoro se ai collaboratori non viene erogata un’adeguata formazione e dispositivi sulla sicurezza capaci di evitare i piccoli e grandi infortuni che continuano a verificarsi.
Il Chief Happiness Officer, concludendo, può essere considerato a tutti gli effetti un “complexity thinker”, un professionista capace di applicare i principi che derivano dalla ricerca scientifica (nello specifico quelli sul funzionamento psico-neuro-biologico degli esseri umani) in sistemi complessi (quali sono le organizzazioni), accanto ad una profonda comprensione del funzionamento dei sistemi sociali, potendo disporre tra l’altro di una ricca cassetta degli attrezzi, fatta di pratiche e strumenti validati dalla ricerca sul campo che permettono di sperimentare e avviare concretamente il processo di trasformazione positiva.