Il Reddito di cittadinanza è il più ingente stanziamento pubblico mai fatto in Italia per il contrasto alla povertà. Le modalità con cui è strutturata la misura però sollevano alcune questioni importanti. In primo luogo, sembra esserci un focus esclusivo sul tema del lavoro e quindi una visione "monodimensionale" della povertà; inoltre, si corre il rischio di "calamitare" le opportunità di lavoro nelle aree dove il sistema produttivo è più dinamico, alimentando la frattura tra Nord e Sud. È questo il pensiero di Federico Mento, Segretario Generale di Human Foundation, che riceviamo e volentieri pubblichiamo di seguito.
Dati i tempi che corrono, nell’affrontare un tema così delicato come le misure a contrasto della povertà, voglio in primo luogo palesare il mio posizionamento per non incorrere in fraintendimenti. Non si tratta di un tentativo di captatio benevolentiae, quanto piuttosto far comprendere al lettore il punto da cui si muove questa mia riflessione. Non nutro simpatia verso il “Governo del Cambiamento”, al contrario, mi considero un esule, sperando che l’esilio possa terminare a breve, di un campo progressista che da diversi anni ha dimenticato la ragione d’essere: la giustizia sociale.
La storia di questi anni coincide con il progressivo spostamento delle forze della sinistra nel campo liberale, l’emancipazione degli oppressi sostituita dai diritti individuali, il lavoro dal mercato. Sul futuro della Sinistra in questo Paese, ho una visione piuttosto cupa, mi spiace ma credo che solo partendo da una radicale disarticolazione dell’esistente si possa ricostruire qualcosa che possa avere di nuovo un senso, uscendo, però, dalla logica elettoralistica, dalle inutili, anzi dannose, fusioni di pezzi di apparati, che avvertono come unico bisogno la propria sopravvivenza.
Il dibattito sul reddito di cittadinanza è l’ennesima occasione perduta. Al di là della distanza culturale che mi separa dal Movimento 5 stelle, non posso non riconoscere che la misura del reddito di cittadinanza è il più ingente stanziamento pubblico per il contrasto della povertà. Un primo quesito: il Paese ha davvero bisogno di strumenti di sistema per favorire l’inclusione sociale di fasce della popolazione a rischio povertà? Solo se si è disonesti intellettualmente o portatori di una visione elitaria della società, non si riconoscerà questa necessità: le statistiche ISTAT sono eloquenti, abbiamo il 20% dei residenti a rischio povertà, con un reddito disponibile inferiore a 10 mila euro, a cui si aggiungono coloro che sono in grave deprivazione o a bassa intensità lavorativa. Condizione che nelle regioni del Meridione diventa drammatica, in alcuni territori la povertà ha assunto una dimensione intergenerazionale, facendo venir meno la speranza in un futuro migliore, una condizione insopportabile di disuguaglianza rispetto alla quale le Istituzioni non possono in alcun modo sottrarsi.
Eppure, in luogo di riflettere sull’efficacia della misura rispetto alle povertà, il dibattito pubblico è scivolato sull’effetto “disincentivante” del reddito di cittadinanza rispetto alla ricerca di lavoro, tanto che lo stesso Governo, anche per rispondere alle istanze della Lega, ha introdotto le norme “anti-sofà”.
Un secondo quesito: si tratta di una misura universale che ha come obiettivo primario la riduzione della povertà? Solo in parte, poiché, a mio avviso, il disegno del reddito è assimilabile a strumenti di politica attiva del lavoro, piuttosto che ad approcci di “universal basic income”. Da questo punto di vista, mi sembra opportuno ricordare la differenza tra la misura approvata dal Governo Conte e quanto sosteneva il fondatore del Movimento 5 Stelle nell’aprile 2018: “Una società evoluta è quella che permette agli individui di svilupparsi in modo libero, generando al tempo stesso il proprio sviluppo. Per fare ciò si deve garantire a tutti lo stesso livello di partenza: un reddito, per diritto di nascita”.
Per come è stata disegnato, il reddito di cittadinanza porta con sé tre “bug” di sistema. In primo luogo, il rischio che si produca un’ulteriore distorsione a livello territoriale, “calamitando” le opportunità d’ingresso nel mercato del lavoro nelle aree del Paese dove il sistema produttivo è più dinamico e ha strutturalmente maggior capacità di assorbimento. In seconda istanza, dobbiamo considerare i megatrends che, nel lungo ciclo di ristrutturazione del capitale iniziato alla fine degli anni 70, hanno profondamente trasformato il lavoro, disarticolando le forme salariali subordinate. Non è un caso che la riflessione di Grillo partisse proprio da una citazione di Domenique Medà, tratta da “Società senza lavoro”. Come ricorda il Prof. Tridico, che non può essere tacciato di ostilità nei confronti delle posizioni del M5Stelle, le misure di politica attiva del lavoro funzionano “solo a patto che maggiori investimenti e domanda aggregata aggiuntiva creino nuove vacancies”. Senza una poderosa iniezione di risorse nel sistema – la cui praticabilità si scontra con gli alti tassi di indebitamento del Paese – finalizzata a realizzare delle misure anticicliche, vi è il rischio che il reddito possa avere effetti limitati e di breve periodo.
Infine, agganciare l’erogazione del sostegno, con modalità più o meno coattive, al lavoro, rischia di essere parzialmente inefficace, soprattutto nelle situazioni di grave emarginazione, che necessitano di approcci olistici e di tempo per abilitare un percorso di empowerment e favorire l’uscita dalla povertà. Mi auguro, come del resto è previsto dal decreto all’articolo 6, che l’implementazione della misura sia oggetto di un attento monitoraggio, al fine di comprenderne l’efficacia e determinare se e come apportare cambiamenti per rispondere al meglio ai bisogni dei beneficiari. La scelta del Prof. Parisi in ANPAL, con una solida esperienza di ricerca sui fenomeni dell’esclusione e sull’utilizzo dei dati, risponde di certo a questa istanza. Chi si occupa di misure per il contrasto dell’esclusione sa bene quanto possa divenire preziosa una robusta infrastruttura dati, non solo a fini puramente conoscitivi, ma nel processo continuo di apprendimento che dovrebbe riguardare ogni politica strategica.
Con l’auspicio che la Sinistra sappia riscoprire la giustizia sociale e nell’attesa, spero non vana, di una fase rigenerativa, penso sia opportuno riflettere con grande serietà e rigore sull’impatto di misure come il reddito di cittadinanza, su come mettere in campo una strategia efficace di contrasto delle povertà, senza indugiare in atteggiamenti sprezzanti che risultano davvero incomprensibili, soprattutto agli occhi dei quei cittadini che da troppo tempo non avvertono la vicinanza delle istituzioni.