Lo scorso aprile sono approdate in Italia le Società Benefit, ossia aziende for-profit i cui prodotti o servizi contribuiscono a risolvere sfide sociali o ambientali di oggi. Tutte le aziende hanno la possibilità di diventare Società Benefit se dimostrano di essere davvero intenzionate ad operare per il bene comune, modificando il proprio statuto inserendovi precise intenzioni di finalità sociale da rendicontare annualmente.
Questa utopia – che forse non è più tale – ha preso forma anni fa negli Stati Uniti, dove nel 2006 tre giovani imprenditori fondano B-Lab, un’organizzazione che promuove l’utilizzo del business per risolvere problemi sociali e che rilascia la certificazione “B-Corp” ad aziende di tutto il mondo. La certificazione ruota intorno al concetto dell’impatto e, sebbene l’analisi che si svolge per ottenerla non entri nel merito della controversa valutazione di quanto impatto l’azienda generi, questa fornisce un valido metodo per valutare la capacità dell’azienda di generarlo: un voto di maturità confrontabile con una comunità globale di soggetti guidati dagli stessi principi etici. Ad oggi, le B-Corp certificate da B-Lab a seguito dell’analisi di impact assessment (il questionario attraverso cui è svolta l’analisi è tra l’altro disponibile online, gratuitamente, qui) sono quasi 1.800 in circa 50 Paesi e 130 settori.
B-Lab ha poi osato andare oltre la certificazione, lavorando per convincere le istituzioni d’oltreoceano a riconoscere una nuova forma legale di imprese: le Benefit Corporation. Ad oggi, negli USA, oltre 30 Stati hanno riconosciuto questa nuova entità legale. Addirittura, la città di New York ha avviato un programma per incentivare le aziende locali a diventare Benefit Corporation.
Perché essere certificati come B-Corp? Tra opportunità…
Poiché il movimento B-Corp sta iniziando a contagiare anche il nostro Paese appare interessante capire quali sono le ragioni che possono spingere le aziende ad intraprendere tale scelta. A questo scopo, chi scrive ha condotto una ricerca su 11 società americane certificate B Corp (alcune delle quali sono anche Benefit Corporation) o interessate al movimento, alle quali è stato sottoposto un questionario di stampo qualitativo nel tentativo di capire i driver, i benefici e le difficoltà che possono emergere lungo il percorso.
Le aziende coinvolte coprono svariati settori di attività: dalla gestione dei rifiuti elettronici a Manhattan a prodotti per la pulizia della casa ecosostenibili, dal servizio di recruiting di personale per hotel a Miami all’incubazione di imprese sociali. Alcune estendono la loro catena del valore anche oltre i confini americani, ad esempio in Paesi asiatici considerati ‘a rischio’ per il rispetto dei diritti umani, ma dichiarano in questi casi un presidio oculato e costante per assicurare la gestione responsabile dell’attività. Tutte hanno comunque un punto in comune: hanno un obiettivo sociale, oltre che di business.
Alla domanda “perché essere una B-corp?” tutti gli intervistati hanno dato una risposta riconducibile alla passione del fondatore per la causa che l’azienda persegue, spiegando che la motivazione sta nell’identificazione con l’idea di utilizzare modelli di business per finalità sociali. Un elemento che conferma la natura “vocazionale” di questo movimento. Inoltre, mentre alcuni intervistati ritengono che i clienti scelgano i loro prodotti in quanto B-Corp, la quasi totalità dichiara di aver scelto di certificarsi per essere percepiti come “più sostenibile”, dotandosi in questo senso di un efficace strumento di comunicazione, che prova che non sono solo aziende responsabili, ma anche impegnate nell’impatto sociale.
Gli intervistati dichiarano inoltre possibili benefici nell’avvicinare gli investitori. Anche nel caso di organizzazioni piccole che non hanno ancora fatto ricorso a investitori professionali, quel che emerge è che presentarsi come B-Corp possa comunicare un certo orientamento della cultura aziendale, che potrebbe facilitare il lavoro degli analisti interessati.
Un altro importante punto a favore del processo di certificazione lo gioca lo stesso processo di assessment che, nonostante richieda una grossa mole di lavoro – che spesso spaventa i refrattari – è anche riconosciuto come un ottimo strumento di auto-analisi, capace di individuare le carenze e i punti di forza dell’organizzazione e dare una utile guida delle priorità da affrontare per massimizzare il proprio impatto e integrare pratiche responsabili nel proprio business.
Anche l’appartenenza ad una community di business in cui sono presenti realtà che condividono gli stessi valori e si differenziano dall’idea tradizionale di impresa è considerate un elemento utile all’adesione. Un fattore che mostra la potenzialità del movimento B-Corp di posizionarsi come business leader del futuro (che è già presente!). Inoltre, la portata globale del movimento è stata segnalata da molti come possibilità di accedere a nuovi mercati in altri Paesi, utilizzando un bacino di utenza allineato ai prodotti e una cassa di risonanza che potrebbe permettere di ridimensionare alcuni costi legati alle strategie di internazionalizzazione.
…e alcuni rischi
Tra gli aspetti da potenziare, invece, secondo gli intervistati restano quelli legati alla verifica delle evidenze fornite in fase di self-assessment e all’implementazione di successivi veri e propri audit. Gli intervistati che hanno seguito il processo in prima persona sottolineano l’esistenza di una verifica delle dichiarazioni fornite in sede di self assessment da parte di B-Lab, ma la maggior parte ha indicato come punto di miglioramento proprio una maggior garanzia della verifica delle risposte. Questo andrebbe anche a mitigare un rischio reputazionale consistente per B-Lab, che rischierebbe di compromettere la propria credibilità qualora un’azienda certificata si riveli successivamente poco responsabile.
Un’altra questione da non sottovalutare è quella sanzionatoria. Mentre nel caso di una azienda diventata Società Benefit che non rispetti i principi a cui ha scelto di aderire si applicherebbero le norme relative alla pubblicità ingannevole e alla mala gestio, nel caso della certificazione B-Corp non è chiaro cosa succeda in caso di dichiarazioni non veritiere.
Gli intervistati americani, quando interrogati circa le conseguenze di eventuali dichiarazioni mendaci, non sapevano rispondere con dovizia di particolari, come se non avessero preso in considerazione questa eventualità: ritengono che chi non è conforme venga naturalmente espulso da un meccanismo di peer pressure o di mercato. Questo conferma la componente genuinamente valoriale che sta alla base dell’adesione al movimento, ma lo espone allo stesso tempo a rischi reputazionali da gestire, se vuole porsi come standard di riferimento e non un mero strumento di marketing.
I benefici derivanti dalla forma legale
Accanto alla certificazione americana B-Corp, come detto inizialmente, è stata istituita anche una forma legale di impresa, che viaggia su un binario indipendente dalla certificazione. Questa distinzione merita un discorso approfondito per evitare confusione.
Innanzitutto, si può essere diventare B-Corp senza diventare Benefit Corporation e viceversa. In secondo luogo, è bene capire che adottare la forma legale di Benefit Corporation (o l’italiana Società Benefit) significa modificare lo statuto aziendale e inserirvi, accanto agli obiettivi di profitto, anche le specifiche finalità sociale che l’azienda persegue. Seppur non ci siano indicazioni in merito alla quantificazione di tali obiettivi, scriverli nello statuto comporta un obbligo per gli amministratori di raggiungerli e rendicontarli annualmente. Questo, se da un lato costituisce un elemento che rallenta l’adozione della nuova forma legale da parte delle società, dall’altro stimola lo studio di metodi di valutazione idonei per verificare l’operato dell’azienda.
Altri benefici della forma legale stanno nella funzione di protezione che questa svolge in sede di eventuali cambiamenti nella compagine societaria, sia da possibili modifiche che snaturerebbero radicalmente l’organizzazione in termini di principi e valori che la reggono sia da tentativi da parte degli shareholder di dare maggiore rilevanza gli obiettivi di profitto rispetto a quelli sociali. Inoltre, indica a tutti gli stakeholders che l’impegno socio-ambientale dell’azienda è serio e non svanirà nel tempo.
Il possibile contributo dell’Italia per il movimento B-Corp
L’Italia è il primo Paese al di fuori degli Stati Uniti ad aver adottato la forma legale di Benefit Corporation col nome italiano di "Società Benefit" e, da aprile, sono circa 250 le imprese che hanno avviato il percorso per certificarsi come B-Corp, nonostante non sia necessario. Nella speranza che il nostro Paese possa imporsi come best practice europea nella diffusione di questo nuovo paradigma, sarebbe interessante non guardare solo al presente ma anche al futuro, ovvero pensare fin da subito a strade che permettano di misurare quanto è l’impatto generato dalla Società Benefit. Nel caso del network delle B-Corporations, la misura dell’impatto potrebbe essere estesa non solo alle singole imprese bensì al network stesso, valutando l’impatto dunque del movimento a livello locale e globale. Questo, infatti, convincerebbe anche i più conservatori, restii ad affidarsi al cambiamento se non debitamente supportato da evidenze che ne provino la solidità.