Il mercato dei servizi di Welfare Aziendale (WA), come noto in forte sviluppo, ha un nuovo centro di propulsione: il Terzo Settore. Anche se con qualche ritardo ed anche se ancora riferibile alle imprese sociali più organizzate, questa constatazione non poteva che essere confermata dai fatti perché non era pensabile che proprio chi “fa welfare” restasse fuori da una partita sempre più importante sul piano sociale e collettivo. E anche di business.
Welfare Aziendale: dal contratto al “patto”
Se il Welfare State ogni anno vede restringersi le maglie dei finanziamenti pubblici e quelle delle griglie di accesso ai servizi, nel tentativo di contenere la spesa sociale (invece di ricalibrarla in considerazione dei mutati e più variegati bisogni che la società esprime), parallelamente, ogni anno, un numero crescente di lavoratori e di famiglie riesce a disporre di interventi di welfare integrativo, di tipo aziendale privato, con i quali le imprese intendono migliorare le dinamiche vita-lavoro dei propri dipendenti. Certo: in tal modo si allargano delle disuguaglianze (tra chi lavora e chi un lavoro non ce l’ha; tra chi lavora in aziende welfare oriented e chi no), ma, almeno in parte, si colmano anche delle lacune.
Il WA non è paternalismo, sia ben chiaro: per le aziende è people strategy, ossia una “leva” sulla quale agire nel quadro della loro complessiva strategia. Ma è anche altro, almeno per le più “civili” tra esse: come la ricerca di una reciprocità che richiama logiche di welfare generativo e dinamiche di maggiore capacitazione delle persone. Qual è lo schema che si attiva con il WA? Semplificando un po’ si tratta di questo: l’impresa aiuta il dipendente fornendogli l’accesso ad una serie di beni e di servizi destinati a dare risposte a bisogni che non riguardano direttamente la vita aziendale e la prestazione lavorativa, bensì la vita personale e familiare del collaboratore (si tratta spesso di sostegni economici su alcune voci di spesa come l’asilo nido, l’acquisto dei testi scolastici o dei servizi di assistenza per i familiari anziani o non autosufficienti).
Fuori dalla logica riduttiva e solo sinallagmatica del contratto (salario vs. prestazione) e ponendosi su un piano più ricco di senso, come quello del “patto” (significativo che Confindustria e le OO.SS., attivando il recente “tavolo” per l’avvio di più proficue relazioni industriali, l’abbiano definito come l’occasione per stringere un “Patto per la Fabbrica”) nelle imprese dove si introducono interventi di WA il lavoratore, in cambio, restituisce una maggiore produttività (con meno stress si lavora meglio e si fanno meno assenze) ed un accresciuto senso di fedeltà all’azienda (riduzione del turnover e dei relativi costi). Più in generale, ne traggono benefici effetti anche il clima interno, l’immagine complessiva dell’azienda (employer branding) e le relazioni umane tra manager e collaboratori.
Azienda e lavoratore, inoltre, sugli importi stanziati a titolo di WA, beneficiano entrambi di una fiscalità di favore: l’azienda risparmia qualcosa e il lavoratore percepisce di più (in servizi) rispetto a quanto avrebbe ricevuto se quegli importi gli fossero stati corrisposti in denaro con la busta paga (e quindi tassati). A ben vedere, da questa impostazione finisce, poi, per ottenere un vantaggio anche lo Stato che, di fatto, “scarica” sulle imprese la responsabilità (sociale) – non ovviamente l’obbligo – di provvedere al sostegno di alcune prestazioni meritevoli di tutela che in tal modo ed almeno in parte non gravano sui conti del welfare pubblico. Sostenendo il reddito, ciò che viene perso sul fronte del gettito fiscale e previdenziale si riversa sull’economia sotto forma di sostegno ai consumi e nella creazione di posti di lavoro perché aumenta l’accesso a prestazioni anche labour intensive come i servizi alla persona (il che ci porta ad uno degli aspetti interessanti che collegano il Terzo Settore allo sviluppo del WA).
“Dietro le quinte” del WA: un nuovo mercato
Quando pensiamo al WA, però, non dobbiamo solo pensare alle relazioni industriali, ai contratti collettivi e alle strategie aziendali e sindacali che ne determinano il contenuto e le finalità. E neppure dobbiamo pensare solo ai servizi che compongono il basket degli interventi resi accessibili ai beneficiari dei Piani di Welfare Aziendale (PWA). Il tema, infatti, ci deve rimandare anche al mercato degli operatori che “dietro le quinte” del welfare d’impresa gestiscono una serie di servizi di supporto al Welfare Aziendale (SSWA) e lo rendono maggiormente fruibile. Si tratta di un mercato sostanzialmente nuovo perché nuove sono le soluzioni adottate per ottimizzare l’accesso ai PWA, nonché la loro rendicontazione ed amministrazione generale.
Ma cosa s’intende per “servizi di supporto al WA”? Stiamo parlando di quei servizi utilizzando i quali le aziende mirano ad abbattere i costi operativi e gestionali degli interventi di Welfare, eliminando una serie di “pesi” che altrimenti graverebbero sulla loro organizzazione e che possono essere invece gestiti in outsourcing da una società terza, a fronte di un costo che, comunque, dovrà risultare inferiore alla gestione in house. Si tratta di servizi resi da operatori specializzati che hanno sfruttato appieno l’evoluzione dell’informatica per creare software e sistemi gestionali in grado di “tracciare” gli acquisti dei beni e dei servizi oggetto dei PWA.
Il Terzo Settore avanza
La realtà più vicina al welfare, anche a quello aziendale, è quella espressa dal Terzo Settore. Il suo impegno quotidiano nell’erogazione dei servizi alla persona, in apposite strutture o a domicilio, ne fa quasi per definizione l’interlocutore naturale per la ricerca di soluzioni e risposte ai bisogni espressi dalle popolazioni aziendali. Ma c’è un gap importante da colmare che non è la tecnologia a poter risolvere magicamente: abituate come sono a dialogare con il mondo degli enti locali, delle quali sono il braccio operativo nel settore del welfare pubblico, le realtà della cooperazione sociale sono spesso in difficoltà anche semantica rispetto al dialogo con le aziende e con i manager che al loro interno si occupano di WA.
A rompere gli indugi, come sempre, ci ha pensato un’avanguardia costituita da alcune ben strutturate realtà che si sono attrezzate, culturalmente ed operativamente, per non perdere l’opportunità d’intercettare la potenziale rilevante domanda di servizi che le aziende, con i loro PWA, sono in grado di esprimere. Le potenzialità del Terzo Settore nell’ambito del WA e dello sviluppo delle tecnologie associabili ai SSWA, come s’intuisce, possono essere notevoli perché il sottostante è un potente mix fatto di sensibilità al tema e di know-how difficilmente replicabile da altri operatori.
Welfare aziendale, la nuova frontiera è il Terzo settore
Giovanni Scansani, Vita, 13 gennaio 2017