Nel corso dell’ultimo biennio, il Gruppo Cooperativo Gino Mattarelli (CGM) si è affacciato sul mercato del welfare aziendale e ha progressivamente accresciuto il proprio ruolo in questo ambito. Grazie ad alcune dinamiche e caratteristiche che contraddistinguono il mondo della cooperazione sociale – come la presenza di una cultura solidaristica, l’elevata presenza di lavoratrici donne e la democraticità dei processi decisionali – i beni e i servizi di welfare destinati ai lavoratori possono divenire un volàno di sviluppo per il settore cooperativo. Il welfare aziendale può infatti giocare un triplice ruolo: alcune cooperative sociali possono essere contemporaneamente erogatrici di servizi, beneficiarie di prestazioni di welfare e promotrici di piani di welfare aziendale. Questo, da un lato, accresce le loro possibilità di “business” (che, a sua volta, può essere incentivato anche da partnership con provider privati di servizi di welfare) e, dall’altro, promuove un’economia attenta al bene comune e alla reciprocità.
Partendo da queste considerazioni il Gruppo CGM ha avviato da novembre 2017 un progetto volto ad affiancare le imprese nella predisposizione di piani di welfare aziendale. Grazie alla sua rete, composta da 65 consorzi territoriali e oltre 740 cooperative sociali, CGM ha strutturato un’offerta di welfare aziendale per le imprese che prevede: sostegno alle aziende nelle fasi di analisi dei bisogni aziendali, progettazione condivisa dei piani di welfare, una piattaforma digitale che consente l’accesso ai servizi realizzati dalle cooperative della rete CGM, monitoraggio. La novità è che il progetto si rivolge a tutte le imprese, incluse le stesse cooperative aderenti al Gruppo CGM nel caso in cui decidano di offrire servizi e misure di welfare aziendale ai propri soci.
In occasione del terzo incontro del Laboratorio su welfare aziendale e reti (Wa.Lab.), organizzato lo scorso 24 ottobre a Cuneo da Percorsi di secondo welfare insieme a Fondazione CRC, abbiamo incontrato Martina Tombari, Responsabile della divisione sviluppo di CGM, che in nell’intervista che vi proponiamo di seguito ripercorre le ragioni che hanno portato il Consorzio Gino Mattarelli ad occuparsi di welfare aziendale.
Dottoressa Tombari, per prima cosa le chiediamo di raccontarci meglio che cos’è CGM
CGM, il Consorzio Gino Mattarelli, è un gruppo cooperativo di 800 cooperative e imprese sociali operanti sul territorio nazionale. Siamo presenti in 20 regioni. In tutto si tratta di 42mila lavoratori, 800mila utenti dei nostri servizi per un totale di 1.4 miliardi di fatturato aggregato. Al di là dei numeri, l’aspetto che mi preme sottolineare è che si tratta di un consorzio al quale le cooperative o i consorzi di cooperative aderiscono non per un discorso di rappresentanza, bensì per un’esigenza di facilitazione nella costruzione di reti a fini progettuali e di sviluppo imprenditoriale.
Mentre continuiamo a facilitare le aggregazioni tra le nostre cooperative e a sostenerle nella progettazione di nuovi interventi, negli ultimi tempi abbiamo iniziato a supportarle – anche alla luce della riforma del Terzo Settore e del Codice degli appalti – rispetto alla possibilità di aprirsi ai mercati privati senza perdere l’identità e il portato culturale e valoriale che ci contraddistingue.
Il mio compito, insieme alla collega Simona Taraschi che con me segue il progetto, è facilitare l’identificazione di modelli che possano funzionare sul territorio nazionale, nella consapevolezza che, individuato un modello, si possano identificare le caratteristiche peculiari che ne permettano la replicabilità, pur essendo consapevoli che ogni territorio ha le sue specificità che lo rendono unico. È naturale che sia così, solo se si ascoltano e si rispettano le specificità dei territori i processi possono funzionare e questa esperienza arricchisce di contenuti e creatività tutta la rete.
Che cosa ha portato CGM ad occuparsi di welfare aziendale?
CGM ha raccolto il tema del welfare aziendale come una sfida ed è facile intuirne le ragioni. Dopo la Legge di Stabilità 2016, i provider che stavano crescendo a vista d’occhio hanno visto in CGM la possibilità di avere una fornitura aggregata di servizi alla persona. Per questo siamo stati cercati dai diversi provider. L’idea è stata di Stefano Granata, Presidente di CGM. Per la nostra rete effettivamente risultava congeniale la fornitura di servizi in quanto le nostre cooperative sono quelle che tipicamente nei territori sono accreditate sulla domiciliarità, sulla disabilità, sui servizi all’infanzia, per cui evidentemente è quello che sappiamo fare e possiamo offrire.
Ma abbiamo pensato di poter avere anche un protagonismo diverso: l’idea è stata – e questo è un po’ il modello di intervento che ci contraddistingue – quella di poter essere al contempo fornitori e rivenditori. La riflessione e la progettazione sono andate avanti per alcuni mesi per inventarsi come poter realizzare questo modello. Ci siamo detti: “noi sappiamo fare i servizi di welfare… e se imparassimo anche a comunicarli e a promuoverli?”. E così abbiamo iniziato a formarci rispetto alle competenze che in quel momento ci mancavano e a proporre piani di welfare, anche alle aziende profit.
Il ruolo che sapevamo di poter avere era triplice: in primo lugo, la strutturazione di un’offerta di servizi alla persona puntando sull’esperienze e la qualità nell’erogazione degli stessi; in secondo luogo, proposta di piani di welfare, sia interni alle cooperative sia alle aziende profit, prevedendo servizi B2B e B2E su misura, frutto di un attento ascolto dei bisogni; infine, valorizzare la capillarità e il riconoscimento sui territori. Le cooperative appartengono al tessuto produttivo dei territori, il welfare aziendale si integra alle attività e ai servizi già esistenti.
Martina Tombari durante il suo intervento al terzo incontro di Wa.Lab, Cuneo, 24 ottobre
Quali sono le specificità del vostro modello di intervento?
Il motore di questo ragionamento sono le relazioni/interazioni con i territori. Noi ci inseriamo nel solco del welfare territoriale e comunitario e nella costruzione/promozione delle reti. Ha senso che CGM promuova e contamini il mondo del welfare aziendale se e nella misura in cui parliamo di welfare territoriale. Le nostre cooperative sono ovunque e riescono a fare welfare aziendale perché hanno relazioni con il tessuto territoriale e quindi anche con le aziende e perché godono di una certa reputazione: spesso la cooperativa che si presenta all’azienda è anche la cooperativa che gestisce l’asilo nido di quel territorio. Poi parliamo di territori che in Italia non sono metropoli. Ci sono realtà talmente piccole dove la conoscenza del territorio e la conoscenza personale fanno la differenza. Per noi il welfare aziendale si gioca quindi sulla possibilità di fare leva sul discorso territoriale, comunitario, di conoscenza e di reputazione reciproca.
Lo stesso vale per la capacità di fare rete, nel senso che le nostre cooperative, pur appartenendo spesso a sistemi diversi di aggregazione di rappresentanza, lavorano insieme nei territori. Infatti, nel nostro modello di welfare territoriale e comunitario c’è anche l’obiettivo di facilitare le reti tra le piccole e piccolissime imprese: ci sono territori dove ci sono tante piccolissime aziende per le quali fare welfare individualmente sarebbe impossibile. Le cooperative, che sono radicate, conosciute, abituate a interloquire con il Pubblico, godono di una buona reputazione e riescono meglio a facilitare la costruzione di reti.
A ciò si aggiunge che sentiamo nostro il ragionamento sull’importanza che il welfare viri lentamente verso i servizi alla persona e non sia una forma di sostegno al reddito, o comunque una modalità per acquistare beni materiali come le gift card. E forse questo è il motivo principale per cui abbiamo accettato questa sfida. Riteniamo che se lo Stato ha previsto la defiscalizzazione del welfare aziendale, la logica del Legislatore dovrebbe essere quella che la perdita di gettito serva per sostenere spese di carattere sociale. Quindi la sfida è fornire servizi alla persona (che sono gli stessi quando il bisogno diventa domanda) e riuscire ad anticipare un po’ la risposta al bisogno per l’insieme dei dipendenti ma, nei nostri desideri, anche per tutti i cittadini dato che i bisogni sono gli stessi. Io ho tre figli, sono dipendente, sono cittadina, non sono utente dei Servizi Sociali, ma ciò non significa che io non abbia quei bisogni. La sfida è riuscire a fornire una risposta ai bisogni di carattere sociale con dei servizi di qualità invece che con il “fai da te”, superando la discrasia che c’è tra le diverse risposte allo stesso. È qui che si gioca la nostra partita!
Come vi siete mossi per cominciare a strutturare una vostra offerta di welfare aziendale?
Abbiamo iniziato facendo formazione attraverso una call rivolta alla nostra rete di cooperative. Si sono presentati inizialmente 14 territori. Abbiamo avviato una formazione abbastanza impegnativa, che ha toccato gli aspetti normativi e fiscali, materie per noi nuove, ma che ha anche cercato di fornire skill più commerciali. Nell’interlocuzione con i commerciali, da cui pure noi abbiamo tantissimo da imparare, ci siamo resi conto che quello che ci distingue è che noi possiamo raccontare qualcosa che conosciamo bene e in cui crediamo veramente: mi riferisco ai servizi alla persona e alle famiglie che la rete delle nostre cooperative fornisce sul territorio. E questo è stato un elemento di grande motivazione emerso tanto durante il primo ciclo di formazione, che si è concluso a settembre del 2017, ma anche nel successivo che si è svolto nel corso del 2018.
La formazione degli operatori, che abbiamo chiamato “welfare manager”, è stata quindi un momento-chiave, che ci ha permesso di far emergere quale ruolo possa giocare il mondo cooperativo: è un ruolo da protagonista, che intende affiancare le aziende con un’offerta integrata che unisca la competenza sul welfare, l’attenzione alla qualità – un punto a cui teniamo particolarmente –, la conoscenza, l’accountability nei territori e la capacità di fare sistema. Aggregando i servizi che le nostre cooperative sui territori sono in grado di offrire siamo già a 600 servizi inclusi nella nostra offerta di welfare aziendale. Sono tutti servizi alla persona, dall’infanzia alla disabilità, dagli anziani ai servizi domiciliari. Personalmente ritengo che le nostre cooperative possano ulteriormente integrare i servizi in piattaforma con nuove proposte, e in una logica tailor-made rispetto alle necessità che emergeranno.
Dopo il primo corso di formazione – benché non avessimo ancora la piattaforma e quindi fossimo ancora nella fase di creazione del modello di intervento – si sono aggregati altrettanti territori. Ora abbiamo 28 welfare manager formati, pronti ad attivarsi sui territori.
Oggi avete anche una vostra piattaforma? Come si integra nel vostro modello di intervento, così centrato sui servizi alla persona?
Sì, da marzo 2018 la piattaforma è pronta. Noi siamo un soggetto cosiddetto “re-seller”, nel senso che non abbiamo implementato una piattaforma informatica in house, ma ci siamo appoggiati ad un operatore che parlava la nostra lingua e con il quale quindi condividevamo sia agli aspetti di formazione sia gli aspetti di centralità dei servizi alla persona, anche in termini di piattaforma. C’è un elemento per me fondamentale che contraddistingue le piattaforme: se la navigazione è guidata dal bisogno o se è guidata dal prodotto da acquistare. Ci sono quindi le piattaforme dove “compri” in base alle esigenze che hai e cerchi risposte in base ai bisogni e ci sono piattaforme incentrate sull’offerta. Noi ci sentiamo più in linea con il primo tipo.
Nel nostro modello la piattaforma è solo una commodity, ragione per cui, in questo momento, non ci interessa focalizzare tutta la nostra attenzione sull’implementazione della piattaforma. Il welfare manager (che rimane un operatore sociale) porta la sua competenza, le sue capacità. Ciò che maggiormente interessa è l’accompagnamento rispetto all’emersione del bisogno è quindi la possibilità di orientare il dipendente per avere una risposta al bisogno reale sia essa una risposta pubblica (fornita da comune, Asl, Questura…) o una proposta di servizi presenti in piattaforma.
Ecco perché la piattaforma diventa la commodity per trovare il servizio di cui il dipendente ha bisogno e non il contrario. È tutto quello che viene prima dei servizi che fa la differenza: lì si determina l’importanza della relazione tra il welfare manager e l’impresa con i suoi dipendenti – insieme alla fiducia che ne deriva – e dell’essere fisicamente presenti in azienda.
Intervento di Martina Tombari durante il terzo incontro di Wa.Lab, Cuneo, 24 ottobre
Può raccontarci come sta andando? Che tipo di servizi offrite?
In questo momento abbiamo 4 aziende contrattualizzate, ma i contatti attivi sono davvero numerosi, in alcuni territori diverse decine. Abbiamo iniziato a marzo di quest’anno, si tratta di piccoli numeri, ma quello che ci contraddistingue è che abbiamo dei tassi di utilizzo dei servizi alla persona davvero alti. Le prime imprese sono entrate molto facilmente, sia grazie al fatto che molte nostre cooperative sono già conosciute perché fanno gli inserimenti lavorativi per le fasce protette, sia perché siamo anche molto cercati dai sindacati, con cui sui territori abbiamo buone relazioni.
Che cosa facciamo? In tutte queste aziende abbiamo avviato un servizio di orientamento al dipendente. Si tratta di un vero sportello, spesso collocato in mensa. Si inizia con 3 volte alla settimana e poi con il tempo la presenza del welfare manager si riduce. Il welfare manager si rende quindi personalmente disponibile e aiuta direttamente i dipendenti ad orientarsi: non solo rispetto a che cosa si trova in piattaforma, ma anche rispetto ad altre questioni: come aiutare la colf a rinnovare il permesso di soggiorno, dove richiedere il bonus bebè, domande sui servizi comunali…
Tutto questo perché il welfare manager, che nasce come operatore sociale, conosce il territorio e i suoi servizi e ha le competenze per orientare le persone tra i bisogni e le possibili risposte andando oltre il contento aziendale. Se, come dovrebbe essere, welfare aziendale significa attenzione alla persona e al benessere del dipendente, rispondere a questo tipo di domande significa risolvere concretamente molti problemi. Prendiamo un altro caso: in un’azienda metalmeccanica, con una popolazione di quasi tutti uomini, di età abbastanza alta, ci siamo sentiti dire: “ah, bella la piattaforma, ma io non ho neanche la mail”. E si è capito che c’era un problema di rudimenti informatici e di uso dello smartphone, per cui abbiamo fatto una formazione di 4 ore, una cosa semplicissima, sull’uso di WhatsApp. A questo incontro sono venuti tutti. Questo caso è esemplificativo della nostra capacità di creare servizi su misura. Non è la retorica del tailor-made, ma è la concretezza dell’ascolto, è il fatto di essere presenti fisicamente in azienda e di provare ad accompagnare realmente i bisogni.
Dobbiamo avere un prodotto competitivo per presentarci in azienda. La piattaforma, dal nostro punto di vista, deve esserci e deve essere completa, però l’orientamento della domanda rimane centrale. In un’azienda di 130 dipendenti abbiamo analizzato i numeri e, sebbene si tratti ancora volumi minimi, ci ha colpito che l’85% dei servizi acquistati in piattaforma siano servizi alla persona. Ripeto, abbiamo iniziato da pochi mesi, i tempi di contrattualizzazione sono piuttosto lunghi per tutti i provider; questo vale ancora di più per noi, visto che i nostri welfare manager non fanno questo a tempo pieno perché comunque continuano a lavorare in cooperativa. Direi comunque che vale la pena continuare, con l’obiettivo di provare a portare il nostro approccio anche valoriale dentro questo mondo nel quale sentiamo di non essere così estranei, anche se ogni tanto ci sentiamo un po’ diversi.
Prima ha accennato all’importanza, per CGM, della qualità dei servizi: come si può garantire anche nei piani di welfare aziendale?
Come dicevo, la nostra non è solo una partita imprenditoriale, ma anche di senso. Ed è su questo delicato crinale che si è posto immediatamente il tema della qualità dei servizi, un aspetto – nell’ambito del welfare aziendale – molto poco presidiato e scarsamente normato. Non c’è ad esempio una definizione rispetto ai servizi alla persona – ovviamente non mi pongo il problema delle gift card – di che cosa siano i servizi di qualità. Noi cooperative sociali quando dobbiamo prestare un servizio per un accreditamento siamo costrette a passare il vaglio di procedure molto complesse. Se prestiamo lo stesso servizio come fornitori su una qualsiasi piattaforma aziendale nessuno ci chiede niente. Può essere chiunque a fornire il servizio. Abbiamo scoperto che stanno nascendo società di servizi che si propongono come fornitrici e non hanno i requisiti minimi per fornire servizi alla persona. Questa è davvero una deriva pericolosissima.
In questo momento non c’è scritto da nessuna parte “Vuoi offrire servizi alla persona? Li vuoi vendere attraverso una piattaforma di welfare aziendale? Devi rispondere almeno ad alcuni criteri” che possono essere i bilanci, il curriculum dell’operatore, l’esperienza nella gestione di quel particolare servizio, e così via. Attenzione, il requisito sulla qualità è da valutare ex-ante, non in rating, perché una persona può essere contentissima della sua vicina di casa che viene ad aiutare un familiare disabile, ma non è detto che abbia le competenze per farlo. In questo caso non potrebbe rientrare tra i servizi offerti da una piattaforma di welfare aziendale dove siano stabiliti almeno alcuni criteri di accesso minimi.
Stiamo riscontrando che quello proposto da CGM è un modello di intervento che suscita interesse. Interessa la nostra fornitura di servizi – dal punto di vista del business delle cooperative non abbiamo niente in contrario che diventino fornitori su diverse piattaforme – però il discorso della qualità per noi è una condicio sine qua non. Si vuole usare il nostro marchio e mettere nelle piattaforme i nostri servizi? Benissimo, la procedura di qualità, la stessa che noi utilizziamo per le nostre schede servizi, la utilizziamo anche per eventuali altri fornitori di servizi alla persona che saranno al fianco dei servizi gestiti dalle cooperative della rete CGM e che avranno superato i criteri di qualità identificati per tutti. Come CGM e come rete di cooperative associate, non ci possiamo permettere di stare su una piattaforma che non si ponga questo problema. La cura del benessere del lavoratore è solo retorica se non si cura la qualità dei servizi, anche se il discorso sarebbe un po’ più ampio.
In quest’ottica stiamo avviando una ricerca con Percorsi di secondo welfare sul tema della qualità e contestualmente abbiamo aperto la procedura per creare la prassi presso l’UNI, l’ente di normazione, rispetto proprio alla definizione di quali possano essere i criteri di qualità, sapendo che è una prassi alla quale ci si potrà attenere senza che vi siano però obblighi a farlo. Questo è un discorso culturale che è necessario e urgente portare nel dibattito ed è questo che ci ripromettiamo di fare nei prossimi mesi.
Sono quindi diverse le leve che dobbiamo azionare in questo momento. Dobbiamo riuscire a far marciare i territori perché comunque la sostenibilità dell’intero progetto nasce dal fatto che i territori riescano ad attestarsi nei contesti imprenditoriali con piani di welfare aziendale. È però altrettanto importante portare avanti un discorso culturale e valoriale legato alla qualità dei servizi. E poi c’è un terzo tema: riguarda i modelli organizzativi delle cooperative che si trovano ad aprirsi al mercato privato. Sono gli stessi operatori e la stessa cooperativa che operano anche nel mercato pubblico, ma mentre attraverso l’accreditamento si ha la certezza di quante ore di intervento dovranno essere previste, con l’apertura al mercato privato bisogna imparare a gestire i picchi di richieste e ad operare secondo una logica diversa. Diciamo che entro la prossima estate auspichiamo di arrivare alla stesura della prassi e alla conclusione della ricerca, a cui partecipa anche AICCON, provando a portare all’attenzione generale questo tema della qualità e dei modelli organizzativi.