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BERTINORO – Si è conclusa la prima delle Giornate di Bertinoro per l’Economia Civile, il tradizionale appuntamento, giunto ormai alla sua XIV edizione, promosso da AICCON – Associazione Italiana per la promozione della Cultura della Cooperazione e del Non Profit . L’evento, che quest’anno è dedicato al tema "Dal dualismo alla Co-produzione", ha riunito presso la suggestiva cornice della Rocca di Bertinoro oltre 200 partecipanti, giunti da tutta Italia per confrontarsi sui nuovi modelli di sviluppo sostenibile. Di seguito vi raccontiamo cosa è successo.

L’apertura dell’evento è stata affidata a Mauro Lusetti, Presidente ACI – Alleanza Cooperative Italiane, che ha sottolineato l’importanza della movimento cooperativo nel nostro Paese: nonostante le difficoltà che ogni giorno si trova a dover affrontare, “la cooperazione fino allo scorso anno ha dato prova di essere resiliente”. Ora però, secondo Lusetti, c’è bisogno di autocritica da parte di questo mondo, che è chiamato a rinnovarsi su diversi fronti: un processo certamente non semplice, a cui necessariamente dovranno affiancarsi le attese riforme istituzionali chiamate a far ripartire il Paese. Queste ultime dovranno senza dubbio tenere in maggior conto la cooperazione italiana che, ha ricordato Lusetti, ad oggi “rappresenta circa l’8% del Pil”.

A Guseppe Frangi, Direttore Responsabile di Vita, è spettato il compiuto coordinare la tavola rotonda della mattinata, a cui hanno partecipato Stefano Zamagni, Presidente della commissione scientifica di AICCON; Giovanna Melandri, Presidente di Human Foundation; Gian Paolo Barbetta, docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore; e Giorgio Alleva, nuovo Presidente dell’Istat.


Co-produzione: di cosa stiamo parlando?

Il primo a intervenire è stato Stefano Zamagni, che ha presentato il tema della XIV edizione delle Giornata di Bertinoro. “Una delle scoperte recenti della ricerca in ambito socio-economico, anche se in realtà noi lo diciamo da tanti anni,” ha esordito Zamagni “è che in Italia accanto a un dualismo economico e un dualismo sociale esiste anche un dualismo civile. Il dualismo economico è definito da indicatori come il Pil, la ricchezza pro capite o il numero delle infrastrutture, mentre quello sociale dal livello di istruzione, dalla sicurezza sociale o dai livelli di salute. Il dualismo civile prende invece in considerazione altri indicatori – come la partecipazione democratica, la vitalità delle organizzazioni della società civile o la natura dei processi politici – che pur essendo molto importanti in un’ottica globale sono stati sempre trascurati".

“Se guardiamo alla storia del nostro Paese” ha continuato Zamagni “ed particolare alla situazione del Mezzogiorno (tema di cui Zamagni ha scritto anche un approfondimento per Secondo Welfare), vediamo come per affrontare i problemi si siano usati sempre e solo paradigmi tipicamente economici. Oggettivamente questo è stato un errore, perché è la matrice culturale di un territorio che favorisce lo sviluppo economico e sociale, e non viceversa. Chiediamoci: perché la medesima strategia economia sortisce, al pari delle stesse risorse economiche e sociali di partenze, risultati profondamente diversi? Perché cambia la matrice! Questo presupposto ci introduce all’idea di co-produzione, a cui è dedicata l’edizione di quest’anno”.

Zamagni ha spiegato come il concetto di co-produzione sia stato lanciato nel 1981, ma solo negli ultimi anni tale idea sia tornata – non per la prima volta in verità – alla ribalta anche nel nostro Paese. Il punto da cui parte la co-produzione è il cosiddetto modello della Old Pubblic Administration, dove il fruitore dei servizi è visto come “utente”. Questo è un termine tremendo” ha sottolineato Zamagni “perché l’utente di fronte a un servizio che non funziona ha un’unica soluzione per provare a migliorarlo: la voice, la protesta”. A un certo punto si è sviluppato un nuovo modello, quello della New Public Management, da cui poi è derivata tutta l’idea dei quasi mercati. “Questa è una logica che cambia le carte in gioco: la proprietà dei servizi resta pubblica, ma la gestione diventa progressivamente privatistica”. In quest’ottica il fruitore dei servizi non è più “utente” ma “cliente”: il soggetto oltre alla voice ha un’altra possibilità, ovvero l’opzione di exit". Il cliente se non è soddisfatto del servizio può non solo protestare, ma anche lasciare un dato servizio per cercarne uno migliore.  Una seconda “ondata” di co-produzione, che ha permesso la strutturazione del cosiddetto New Governance Model, ha portato a un nuovo passo in avanti: il fruitore non è più considerato utente o cliente, ma cittadino portatore di bisogni.

“Mentre il passaggio dal primo al secondo modello è stato quasi indolore, il passaggio dal secondo al terzo ha creato sacche di resistenze fortissime”. “E’ un fatto che non giustifico ma comprendo” ha detto Zamagni "perché cambiare mappe cognitive date ormai per assodate è davvero difficile, soprattutto se alla base c’è l’ipotesi di realizzare una sussidiarietà non solo verticale e orizzontale, come nei modelli precedenti, ma circolare”. Chi usufruisce del servizio, infatti, non si limita a ricevere e/o scegliere il servizio stesso, ma partecipa a tutto il processo di realizzazione. “La grande sfida che oggi ha di fronte il Terzo Settore è capire come favorire il passaggio definitivo dal secondo al terzo modello, cioè come rendere concreta la co-produzione tenendo insieme pubblico, privato e società civile in tutte le fasi di produzione dei servizi di welfare: pianificazione, progettazione, erogazione e valutazione”. “L’idea di questa edizione delle Giornate di Bertinoro è lanciare un sasso per smuovere le acque intorno a questo tema, su cui ad oggi non abbiamo riferimenti codificati o una letteratura consistente a cui attingere”.

“La co-produzione” ha continuato Zamagni “non potrà mai realizzarsi se le organizzazioni del Terzo Settore continueranno a basare gran parte delle proprie attività su risorse derivanti da altri soggetti” in primis soggetti filantropici ed enti pubblici. “L’Italia oggi non riesce a esprimere un’adeguata imprenditorialità sociale nonostante il suo retroterra culturale: ci continuiamo a definire “operatori sociali”, cioè quelli che realizzano ciò che altri hanno stabilito, mentre dovremmo diventare “imprenditori sociali””. Ma come si arriva a strutturare un sistema del genere? Zamagni ha offerto una risposta molto netta, inserendosi a gamba tesa in un dibattito, quello sulla valutazione di impatto sociale, che nelle ultime settimane si è fatto via via più intenso: “dobbiamo iniziare a dar conto del nostro lavoro attraverso la valutazione: non bisogna aver paura della valutazione e delle metriche di misurazione dell’operato dei soggetti dell’economia civile. Si può arrivare a creare una metrica che possa valutare l’impatto sociale: chi dice il contrario è un falso”.

Zamagni ha quindi sottolineato come guardi con fiducia al disegno di legge delega di riforma del Terzo Settore: “anche se nel testo non si parla mai di co-produzione – ma a noi della terminologia interessa poco se c’è la sostanza – la direzione intrapresa pare essere quella giusta”. E ancora: “sulla riforma bsiogna smetterla di stare dietro alle quinte e entrare finalmente in scena. C’è un passaggio di Kafka che dice: due sono le colpe fondamentali dell’uomo: l’impazienza e l’accidia. A causa dell’impazienza siamo stati cacciati dal Paradiso terrestre, a causa dell’accidia non riusciamo più a tornarci". Parafrasando: "Non dobbiamo essere impazienti, ma dobbiamo essere certi che il cambiamento del Paese è possibile e, forse, sta già avvenendo”.


La questione della valutazione

Giovanna Melandri nel suo intervento ha parlato della Task Force del G8 sulla finanza a impatto sociale, che il mese scorso a Roma ha presentato le prinicipali conclusioni raggiunte nel corso delle proprie sessioni di lavoro. Melandri ha sottolineato come l’agenda impact è in fin dei conti l’agenda della sussidiarietà circolare tanto cara a Zamagni. “Il cambio di paradigma da cui è partito il lavoro della Task Force nasce dal presupposto che esista la possibilità di un mercato di investimenti ad impatto sociale, un cuore invisibile che possa affiancarsi alla mano invisibile".

Secondo Melandri questo nuovo sistema può strutturarsi anche a partire anche da quella che la Presidente Human ha definito “la finanza pentita”. “Oggi ad esempio” ha raccontato Melandri “ci sono 1.200 manager che gestiscono 45 trilioni di dollari che hanno sottoscritto carta ONU su investimenti responsabili. Non molto se comparato alla finanza globale nel suo insieme, ma è certo un inizio incoraggiante”.

Nel corso del suo intervento Giovanna Melandri ha dedicato particolare attenzione ai Social Impact Bonds – sottolineando come nei confronti di questo strumento ci siano ancora “visioni stereotipate” che si dimenticano troppo facilmente di come questi siano “intermediati da soggetti non profit” – e al correlato tema della valutazione d’impatto (di cui tra l’altro il Presidente di Human aveva ampiamente parlato in un recente intervento svoltosi a Milano).

Gianpaolo Barbetta per introdurre il proprio intervento ha raccontato che l’amministrazione Obama abbia messo online un sito internete per svolgere una metanalisi del sistema educativo americano. “Sapete cosa hanno scoperto? Che il 90% delle policies attuate non centrano i risultati per cui sono state sviluppate. Un esito sconfortante, ma queste valutazioni sono fondamentali perché permettono di capire dove e come investire risorse nonostante il fallimento”. Ha continuato Barbetta: “Sapete chi fa questa cosa in Italia? Nessuno. Per questo bisgona cambiare il modo di pensare le politiche, che devono porsi fin da principio obiettivi che possano essere valutatati”.

Ma come si valuta? Barbetta ha indicato come la soluzione possa essere quella del metodo contro-fattuale: “l’effetto di un intervento non è la differenza tra quello che c’era prima e quello che c’è adesso, perché tra il “prima” e il “dopo” possono cambiare tante cose che influenzano la mia azione”. L’obiettivo è quindi quello di operare un confronto tra ciò che succede grazie alla politica attuate e quello che succede, o meglio non succede, a parità di condizioni, in assenza di quella politica. “E’ un sistema che definirei Sliding-doors: molto simile a quello che viene fatto in campo clinico”. “Anche se valutiamo politiche che si rivelano non funzionanti” ha sottolineato Barbetta “non si buttando via risorse, perché si impara”.

Chi oggi può fare queste analisi? Secondo Barbetta le fondazioni bancarie possono svolgere questo genere di valutazione perché “hanno le risorse e le competenze necessarie a valutare, ma non hanno azionisti o elettori a cui rendere conto” a differenza di imprese, enti pubblici e istituzioni politiche. Le fondazioni “possono infatti prendersi il rischio di finanziare anche esperienze che non funzionano. Cariplo, ad esempio lo ha fatto con il progetto Lavoro e Psiche” usando proprio il modello contro-fattuale. In questo modo secondo Barbetta c’è margine per costruire un welfare in cui tutti i soggetti concorrano alla valutazione di quel che viene fatto, ognuno facendo la propria parte. Questa è “un’impostazione che va oltre anche ai Social Impact Bond, perché elimina tutta una serie di intermediari che a livello di legislazione è oggi difficile individuare. Se l’esito è negativo i soldi li ha buttati la fondazione. Se gli esiti sono positivi si è dimostrato che quell’intervento funziona e può essere replicato”.

La tavola rotonda si è conclusa con l’intervento di Giovanni Alleva, neo Presidente dell’Istituto Nazionale di Statistica, che ha sottolineato come negli ultimi anni “l’Istat si è concentrato tantissimo sul mondo del terzo settore” in particolare con il grande lavoro del censimento 2011, e che sta mettendo a punto sistemi per produrre sempre più dati che potrebbero facilitare le valutazioni ad impatto sociale. Infatti “solo valutazioni di questo genere possono permetterci di comprendere la bontà di un intervento, ma tali valutazioni devono essere stabilite a monte per raccogliere i dati in maniera corretta, in modo che siano poi fruibili”. In questo senso, ha sottolineto Alleva: “stiamo lavorando alla costruzione del registro del non profit, che consentirà in futuro, grazie alle indagini campionarie che potranno essere condotte per approfondire aspetti specifici, di poter contare su un quadro generale e affidabile del Terzo settore.”


Le risorse e gli strumenti dell’economia della co-produzione

L’idea che sta alla base della co-produzione implica l’apporto di differenti risorse provenienti da una vasta gamma di attori che lavorano sinergicamente per il raggiungimento di un fine ultimo fra loro condiviso. Tale processo di produzione di servizi si avvicina concettualmente a quello del co-operare, ovvero mettere insieme i diversi mezzi a disposizione dei diversi attori in gioco per ottenere un fine condiviso. Dunque all’interno del paradigma della co-produzion possono senza dubbio svolgere un ruolo fondamentale gli attori del mondo cooperativo e, più in generale, i soggetti appartenenti al Terzo settore.

Alfredo Morabito, Vice Presidente AICCON, ha condotto un’interessante tavola rotonda su questo tema, chiedendo diversi operatori del mondo cooperativo e del Terzo settore di confrontarvisi. A questo primo momento del pomeriggio hanno particpato 
Stefano Granata, Presidente Gruppo Cooperativo CGM; 
Riccardo Maiolini, CeRIIS – Luiss Guido Carli;
Fabio Renzi, Segretario Generale Fondazione Symbola; 
Giulio Sensi, CNV Centro Nazionale per il Volontariato; e 
Aldo Soldi, Direttore Generale Coopfond.


Esempi concreti di lughi (e legàmi) co-produttivi

Nella seconda parte del pomeriggio si è svolta la sessione “I luoghi della co-produzione”, introdotta dalla canzone “Legàmi” del gruppo torinese Perturbazione. Flaviano Zandonai, Segretario Generale di Iris Network, che ha ideato e moderato la sessione, ha spiegato la scelta di questa particolare introduzione spiegando come i legami, i legami dei territori, i legami che si creano nelle comunità, non sono uno sfondo indefinito, ma il frutto di una costruzione, di azioni ed iniziative che cambiano l’ambiente. "Non andremo duri sul quadro sistemico come si fa normalmente alle Giornate di Bertinoro, ma cercheremo di introdurre due dati, quello narrativo e quello biografico, sia delle persone che delle organizzioni, per capire come si creano lugohi di co-produzione". Una sorta di “manuale di esperienze” che possa essere utile ad altre organizzazioni per rigenerare i propri territori.

Il primo ad intervenire è stato Andrea Paoletti, che ha presentato l’esperienza di Casa Netural, un modello di coworking sui generis, che si è rivelato capace di svilupparsi, e soprattutto  sviluppare legami, anche al di fuori del contesto urbano, dove canonicamente vedono la luce le esperienze di coworking. Nato in Basilicata, in un territorio morfologicamente, economicamente e socialmente molto complesso, quello di Netural si autodefinisce come un “coworking rurale diventato incubatore di sogni”. Oltre a offrire i classici servizi di coworking, gli associati possono avvalersi della forma giuridica dell’associazione per “testare” i propri progetti evitando rischi e costi che sarebbe difficile affrontare autonomamente. Riccarda Zezza ha quindi raccontato l’esperienza di Piano C (di cui vi abbiamo raccontato già nel gennaio dello scorso anno) presentando dati (davvero tremendi) su invecchiamento demografico, occupazione femminile e povertà delle famiglie, nell’ottica delle problematiche femminili. Un tema che, anche se molto discusso, è raramente soggetto a processi di innovazione sociale. 

Marco Cataldo ha presentato Officine Cantelmo, una vecchia fabbrica del ferro di Lecce che è diventata uno spazio di co-produzione aperto ai giovani. Sette ragazzi, grazie al sostegno della Regione Puglia, hanno creato una cooperativa che è stata capace di porre in sinergia diversi stakeholder del territorio del Salento sul tema del lavoro in carcere, della formazione, della cultura e, appunto, della co-produzione. Le Officine attraverso il progetto coop-start up da sono state in grado di coinvolgere finora 135 gruppi interessati a creare cooperative “di qualità” attraverso il sostegno, in particolare sul fronte della formazione, del mondo cooperativo. Giancarlo Ciarpi ha raccontato della sua esperienza di agronomo-bancario e dell’idea della Banca del territorio sviluppata dalla Banca della Maremma ormai una quindicina di anni fa. Infine Daniela Selloni ha parlato di Sharexpo, un percorso volto alla sperimentazione della sharing economy durante i mesi in cui si svolgerà l’Esposizione Universale di Milano del prossimo anno, e di Cittadini creativi, grande laboratorio di co-produzione di servizi collaborativi che si è sviluppato nella zona 4 del comune meneghino.

 

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Co-produzione, sfide per un nuovo welfare 

 

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