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All’orizzonte si profila qualche nuvola per le cooperative del settore energetico. Specialmente in quei paesi, come la Germania, che negli ultimi 15-20 anni hanno visto una crescita impetuosa. Nuove norme e incentivi meno generosi sono oggi all’origine di un rallentamento. Nell’ultimo biennio il numero di nuove iniziative è calato bruscamente, dopo che in pochi anni aveva raggiunto e superato quota 900. Tante sono infatti le nuove cooperative tedesche nate come conseguenza di una politica energetica che dopo l’abbandono del nucleare si è fortemente orientata allo sviluppo di energia da fonti rinnovabili, e ha tratto vantaggio dalla liberalizzazione del mercato apertosi a nuovi soggetti imprenditoriali.

Il modello cooperativo è stato un grande beneficiario di questa politica. Molti progetti sono nati in forma cooperativa per superare, tramite il coinvolgimento delle comunità locali, conflitti e atteggiamenti "not in my backyard". Inoltre il modello cooperativo è stato quello che meglio si è prestato ad interpretare la forte motivazione etico-culturale, spesso alla base dello sviluppo delle rinnovabili. In Germania e nei paesi del nord Europa l’impegno per un’energia "green" è infatti coinciso, senza soluzione di continuità, con posizioni favorevoli ad un modello di sviluppo più sostenibile e solidale, incardinato sulla capacità delle comunità locali di intervenire direttamente sul proprio futuro. Quindi la transizione energetica è stata vissuta in molti casi come un processo con un forte significato politico e sociale, anziché solo economico e tecnologico.

Il movimento che ha spinto in direzione delle energie verdi ha dovuto però fare i conti con un esito imprevisto. Il successo delle politiche a favore di una produzione energetica ambientalmente sostenibile si è scontrato con un problema di sostenibilità economica. Non è un tema soltanto tedesco. Come anche in Italia, le politiche pro-rinnovabili hanno fatto leva su tariffe particolarmente vantaggiose che hanno remunerato generosamente i produttori di energia rinnovabile, imponendo nel contempo alle grandi aziende di distribuzione elettrica di acquistare, per un periodo di venti anni, tutta l’energia prodotta da eolico e solare, anche quando il crollo del costo del petrolio avrebbe reso economicamente più conveniente un diverso mix di fonti.


Le cooperative europee: in ricerca di un equilibrio finanziario

L’insostenibilità nel lungo periodo di questo schema di finanziamento, basato sulla garanzia di alte tariffe di feed-in e sull’obbligo di acquisto in capo alle società di distribuzione, ha provocato una prevedibile reazione. Oggi sono diverse le correzioni di rotta messe in atto per riportare il sistema in equilibrio finanziario. In Germania, ad esempio, la definizione delle tariffe è stata ricondotta quasi interamente a meccanismi di mercato e il vincolo dell’acquisto obbligatorio è stato sostituito con un sistema di aste. Con il risultato di rendere meno prevedibile e redditizio il business delle rinnovabili.

Proprio dalla Germania, che è stato il primo paese a rendere meno generosi i meccanismi di incentivazione, comincia quindi a diffondersi la necessità di una riflessione sull’impatto di questo nuovo regime. La difficoltà di costituire nuove cooperative energetiche sta facendo suonare un campanello d’allarme. Di conseguenza lo sguardo si allunga in direzione di altre esperienze, e altri paesi, per cercare ispirazione e modelli.

E’ quanto avvenuto nei giorni scorsi, a Meisenheim, dove un gruppo di cooperative elettriche tedesche, danesi, italiane e belghe si sono riunite per confrontarsi con alcune omologhe organizzazioni statunitensi. Negli USA infatti la cooperazione nel settore elettrico ha una lunga storia. Nasce durante il New Deal, con l’obiettivo di portare l’elettricità nell’America rurale, e dagli anni ’30 in avanti ha continuato a svilupparsi ininterrottamente, in quanto non ha conosciuto la fase delle nazionalizzazioni che in Europa ha determinato la scomparsa della prima generazione di cooperative elettriche. Oggi serve 42 milioni di utenti e copre il 75% del territorio USA, gestendo in proprio impianti di produzione e linee di distribuzione a basso voltaggio.

Nel corso degli anni, per far fronte alle necessità di investimento, questo sistema cooperativo ha messo a punto un’efficiente organizzazione finanziaria (la National Rural Utilities Cooperative Finance Corporation) che, utilizzando risorse dei propri membri, gestisce in autonomia più di 23 miliardi di dollari di prestiti a lungo termine. Una realtà importante, con una qualità del debito che la rende appetibile non soltanto per investitori cooperativi. Quindi un modello di sicuro interesse per le cooperative europee del settore energetico, cui potrebbe fornire più di uno spunto per affrontare la nuova fase che si prospetta.


Le cooperative USA: in ricerca delle soluzioni “green”

Tuttavia l’interesse non è univoco. Anche le cooperative elettriche americane sono interessate ad approfondire il modello europeo, in quanto più sviluppato sul fronte delle fonti rinnovabili. Il sistema energetico USA, anche nel mondo cooperativo, è ancora fortemente sbilanciato verso un modello tradizionale, fondato su grandi impianti alimentati a combustibili fossili o centrali idroelettriche di grandi dimensioni. Mentre quindi in Europa le rinnovabili rappresentano quasi la totalità delle fonti di produzione delle cooperative elettriche, negli Stati Uniti la quota di energia "verde" arriva appena al 16 per cento della capacità produttiva delle cooperative. Ciò in un contesto in cui, nonostante gli orientamenti dell’amministrazione Trump, cittadini e imprese hanno cominciato ad essere più attenti al tema della "decarbonizzazione". In particolare comincia a farsi strada un approccio basato sulla micro-generazione distribuita, che si combina bene con realtà a bassa densità, in cui prevalgono soluzioni abitative individuali, figlie dello sprawl urbano. Un segnale in questo senso sono prodotti come il Powerwall Tesla, con cui Elon Musk sta cercando di ripetere il successo delle sue auto elettriche proponendo sistemi domestici di generazione e stoccaggio concepiti per singole unità familiari.

Il significato di questa tendenza per il settore della cooperazione elettrica è fin troppo chiaro. Il rischio è che il modello di micro-produzione distribuita finisca per spiazzare le cooperative, con un effetto simile a quello di Uber rispetto alle cooperative di taxi. Con un modello di impresa che d’improvviso entra in crisi per non aver saputo anticipare le nuove tendenze. Tutt’altro che sorprendente quindi che dagli Stati Uniti si guardi con attenzione a quanto è avvenuto in Europa negli ultimi dieci-quindici anni, nel campo delle rinnovabili e delle nuove cooperative elettriche. Qui infatti il modello cooperativo è stato ripensato in funzione di un approccio di generazione distribuita, con un’attenzione specifica al beneficio sociale prodotto per le comunità locali.

Dall’incontro di Meisenheim non è emersa nessuna conclusione definitiva. Si è però preso atto che le rispettive differenze, e le criticità che ciascuno dei modelli è chiamato ad affrontare, definiscono uno spazio in cui il confronto può aiutare a identificare nuove opportunità. Da entrambi i versanti è risultato chiaro che è la trasformazione in atto richiede di ripensare il significato sociale di questo settore cooperativo. In fondo, ai suoi tempi Roosevelt decretò l’esenzione fiscale per le cooperative elettriche giustificandola con la missione sociale di elettrificare le aree rurali del paese. Solo che oggi la gestione delle linee elettriche non basta più, da sola, a definire il merito sociale di questo settore.

La riflessione che quindi entra in gioco, su cui è stato richiesto anche il contributo di Euricse, riguarda l’evoluzione delle cooperative elettriche in funzione dello sviluppo di comunità, per integrare la gestione di un’infrastruttura importante, come quella energetica, con ulteriori servizi di pubblico interesse, sempre in forma cooperativa. Studiando esempi come la Cooperativa elettrica di Odenwald, che alla sua attività principale affianca la gestione di un asilo nido, diversi parcheggi, e una "casa dell’energia" con funzioni di centro comunitario. D’altronde, in un settore fortemente regolato come quello dell’energia, in cui la concorrenza è fatta da grandi società quasi-monopoliste, l’idea di competere sullo stesso terreno non ha molte possibilità di successo. Mentre la reinvenzione della cooperativa elettrica come cooperativa di comunità potrebbe definire un campo di gioco rispetto al quale la specificità del modello avrebbe molte più possibilità di emergere.