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Il Workshop sull’impresa sociale è l’evento di riferimento per tutte le imprese che producono beni e servizi di interesse generale per scopi di utilità sociale. Un momento che ogni anno favorisce l’emergere di buone pratiche innovative attraverso il confronto tra imprenditori, ricercatori e altri attori pubblici e privati che sostengono lo sviluppo di questo ecosistema d’imprese. Flaviano Zandonai, Segretario Generale di Iris Network, ci presenta la XVI edizione del Workshop, dedicata al tema “Equità e sostenibilità in uno scenario diseguale”, che si svolgerà il 15-16 settembre 2016 a Riva del Garda, in provincia di Trento.



Mai come quest’anno, la call per buone pratiche innovative che alimenta il Workshop sull’impresa sociale ha avuto successo. Sono pervenute oltre 40 proposte e il comitato scientifico di Iris Network ne ha scelte 21 sulla base di un duplice criterio: il contributo all’innovazione (il fil rouge delle ultime edizioni del Workshop) e la capacità di declinare gli elementi caratterizzanti questa edizione. Probabilmente l’endiadi equità-sostenibilità ha sollecitato gli imprenditori sociali, perché restituisce in maniera diretta sia gli elementi fondativi di queste imprese sia un dato di pressante attualità.

In una fase in cui il confronto sul contrasto alla crescente disuguaglianza monopolizza, comprensibilmente, il discorso sulle politiche di welfare ed economiche in senso ampio, l’impresa sociale, forte anche della riforma normativa, è chiamata a rilanciare il proprio progetto. Una sfida rilevante perché sollecitata, da una parte, dal ritorno, quasi nostalgico, a politiche di equità che si realizzano attraverso la classica redistribuzione di risorse e, dall’altra, dalla diffusione di modelli di produzione del valore dove componenti di socialità e sostenibilità ambientale si declinano sempre più ad ampio raggio e non solo nei classici contesti del terzo settore e dell’economia sociale e solidale. Reddito di cittadinanza ed economia circolare sono, a titolo di esempio, i temi che sui due fronti catalizzano una parte significativa del dibattito e, soprattutto nel primo caso, delle risorse.

Che cosa indicano quindi le buone pratiche innovative che verranno presentate nelle sessioni tematiche, nei laboratori e nei corner del Workshop?
Quali sono, nello specifico, i percorsi dell’impresa sociale sostenibile? Nel corso del Worskshop di quest’anno ne saranno affrontati tre in particolare.

Un
primo percorso riguarda la valorizzazione di risorse latenti attivando – o più spesso riattivando – legami di reciprocità, come nel caso di iniziative di contrasto alla povertà che operano con il doppio registro dell’attivazione dei beneficiari e di una più equa distribuzione delle risorse. Una modalità ben conosciuta – si pensi alla diffusione degli “empori” contro la povertà alimentare – ma più complessa da mettere in pratica perché richiede di confrontarsi con una nuova stratificazione della società non solo attraverso canoni classici come scelte elettorali, disponibilità di reddito, modelli di consumo, struttura familiare, ecc. ma guardando anche alla dotazione di risorse che consente di attivarsi intorno a iniziative, anche economiche, riconosciute come di “interesse generale”. E inoltre perché questa stessa modalità pone il tema della legittimità sostanziale e non solo formale dell’impresa sociale e dei suoi “oggetti” di produzione. Una base di meritorietà che, per ragioni diverse, nel corso del tempo si è deteriorata e che solo una nuova declinazione – e annessa rendicontazione – di ciò che è “equo e sostenibile” può aiutare a ricostruire attraverso un mix equilibrato di economia, relazione e reputazione.

Il secondo percorso
riguarda il ridisegno della produzione dei beni e servizi, non in senso procedurale (assecondando protocolli di certificazione e accreditamento spesso etero-definiti), ma costruendo nuovi marketplace situati più a ridosso dei “mondi vitali” in cui persone e comunità scambiano risorse di economia e socialità. I tentativi di arricchire l’offerta di servizi domiciliari e all’abitare sono emblematici in tal senso. Si tratta infatti di produzioni la cui efficacia è spesso compromessa da modelli di “economia estrattiva” che massimizzano cioè il valore economico a scapito del valore sociale. Questi modelli vengono solitamente correlati alla deriva liberista dei mercati e ai comportamenti aggressivi di soggetti for profit, ma sono altrettanto, se non più, diffusi nelle scelte di gestione che governano l’outsourcing delle risorse pubbliche e le strategie d’impresa sociale, ad esempio attraverso strumenti come le gare al massimo ribasso. Pratiche di co-design aperte al contributo di diversi attori non si risolvono quindi in un mero “maquillage” dell’esistente, ma piuttosto rifondano la relazione di servizio sintonizzandola su una domanda che ormai esprime un’esigenza di personalizzazione tale da poter essere soddisfatta solo nella misura in cui viene configurata come co-produzione. L’ottica user-centered innesca a sua volta profondi cambiamenti strutturali, posizionando funzioni chiave come progettazione e valutazione da backoffice ad access point dell’organizzazione e chiamando in causa gli operatori dei servizi non come fornitori di prestazioni ma come broker di risorse comunitarie su base fiduciaria e generativa.

Il terzo percorso
si intravede più nettamente degli altri guardando al contributo dell’impresa sociale per la rigenerazione di economie di luogo, legate cioè al riconoscimento e alla gestione di asset comunitari. Tipicamente ciò avviene intorno a spazi fisici e ambiti territoriali dove le relazioni si densificano e si tematizzano dando vita a opportunità specifiche (come si avrà modo di verificare, tra l’altro, nella prossima edizione delle Giornate di Bertinoro). Ma così definito il carattere place-based dell’economia si può estendere anche a risorse immateriali distribuite ad ampio raggio che si aggregano, ad esempio, su piattaforme digitali. In questo ambito l’innovazione viene spesso ricondotta alla dimensione di prodotto, evidenziando caratteristiche intrinseche e simboliche di beni riconducibili a un determinato contesto socio economico e culturale (di nuovo, prodotti materiali come lavorazioni artigianali e produzioni agricole, ma anche servizi immateriali legati, ad esempio, alla cultura). In realtà il principale elemento di trasformazione riguarda una profonda ristrutturazione della catena del valore che si caratterizza per la capacità di includere risorse considerate marginali, valorizzare elementi non standard (conoscenze tacite e apporti naive) e capacità di condividere il valore creato da parte di una pluralità di soggetti. Non a caso questo percorso è battuto soprattutto da imprese sociali di inserimento lavorativo che sempre più spesso si trovano ad operare non più come subfornitori sotto l’egida di precarie clausole sociali, ma come hub di distretto la cui centralità è strettamente correlata alla capacità di includere come fattore produttivo uno spettro sempre più ampio di risorse che per altri attori non solo tali: le competenze di persone svantaggiate, ma anche rami aziendali e intere filiere produttive. Tutti aspetti da valutare non solo rispetto al carattere sociale della missione aziendale, ma soprattutto rispetto alle dinamiche di una domanda che, ancora una volta, ricerca intenzionalmente elementi di questa natura per determinare l’algoritmo del valore di un determinato bene o servizio, come ben dimostra la diffusione di prodotti “equi e solidali”.

Rimangono infine due importanti elementi di accelerazione dei percorsi che, in verità, si intravedono ancora poco nelle esperienze presenti al Workshop. Il primo riguarda l’investimento su dispositivi tecnologici che i big players dell’innovazione mainstream utilizzano ormai in maniera sistematica per generare valore, spesso in senso estrattivo, agendo proprio sulla valorizzazione di idle capacity e la creazione di comunità di prosumer attraverso un medium tipicamente “sociale” come la condivisione. Il secondo elemento di attenzione riguarda l’impatto sociale guardando ai cambiamenti generati nei beneficiari, nelle comunità di riferimento e negli schemi di regolazione, pena il rischio che il confronto si risolva, come a volte pare di notare, su metriche predefinite che si limitano a registrare gli scostamenti su caratteristiche socio anagrafiche e organizzative degli “enti gestori” delle attività.


Per saperne di più sul #WIS16 

Workshop sull’impresa sociale 

Programma  

Iscrizioni (entro lunedì 12 settembre) 

Per approfondire

Calderini M., Chiodo V. (2014), La finanza sociale: l’impatto sulla dinamica domanda-offerta, Impresa sociale 4.2014.

Selloni D. (2015), Il design per la collaborazione, in Arena G., Iaione C., La collaborazione tra cittadini e amministrazione per i beni comuni, Carocci, Roma.

Symbola, Unioncamere (2016), Coesione è Competizione. Nuove geografie della produzione del valore in Italia, Rapporto Fondazione Symbola 2016, I quaderni di Symbola.

Venturi P., Zandonai F. (a cura di) (2014), L’impresa sociale in Italia. Identità e sviluppo in un quadro di riforma, Terzo Rapporto Iris Network, Trento.

Albo del Workshop 2016
Le esperienze della XIV edizione del Workshop sull’impresa sociale saranno raccolte nell’Albo del Workshop, che sarà distribuito ai partecipanti e disponibile online a partire dal 15 settembre.

Foto Credit: credit: Fotografo Giulio Boem