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I cambiamenti economici, sociali e culturali degli ultimi decenni hanno investito tanto la sfera della vita pubblica tanto quella privata. La diversificazione delle aspettative riguardo la qualità della vita, i nuovi rischi e nuovi bisogni sociali, la crescente vulnerabilità e instabilità personale e collettiva soprattutto tra i giovani, a fronte di un welfare state insostenibile ed eccessivamente burocratizzato (Turati, Piacenza, Segrè 2008, 10), hanno portato alla ridefinizione del ruolo del Terzo Settore nella vita e nello sviluppo delle comunità, richiamando alla responsabilità attori diversi, tra cui soggetti privati e imprese.

In questo scenario costantemente in mutamento, ripensare il rapporto tra sistema pubblico e sistema privato in seno al welfare significa soprattutto cercare canali di dialogo proficui per le collettività, integrando risorse e obiettivi per cercare di intervenire sulle aree scoperte e più problematiche della società. Da questo punto di vista è rilevante considerare la crescita del settore delle fondazioni (in Italia 6.000 secondo il censimento Istat del 2011) che ha contribuito ad accrescere il trend evolutivo di tutto il settore non-profit: dal 2001 al 2011 si registra un +28% di organizzazioni attive sul territorio italiano (Barresi 2013), con un conseguente aumento della distribuzione di beni pubblici e sociali (Istat 2011, dati 2009).

Tale crescita, inoltre, vista l’importanza assunta dalle fondazioni nel contesto del Terzo Settore, ha permesso una necessaria ridefinizione del ruolo della filantropia nella società contemporanea, in particolare quella d’impresa, caratterizzando le aziende come parte integrante dei processi di sviluppo e crescita delle comunità.


Le fondazioni d’impresa nel contesto italiano

Sono passati quasi vent’anni dal primo censimento sistematico delle fondazioni italiane ad opera della Fondazione Agnelli. Era il 1997, le fondazioni italiane censite erano 2.800 e già si rilevava come si trattasse di un fenomeno in crescita, e come fossero in atto processi di ridefinizione del ruolo di volontariato e Terzo Settore nella vita sociale del nostro Paese. All’interno di questo panorama, spiccava la quasi totale inesistenza delle fondazioni d’impresa, spiegata nei termini del capitalismo familiare tipico del contesto italiano, facente sì che i capitali investiti nelle fondazioni, benché avessero origini imprenditoriali, fossero comunque mediati dal patrimonio familiare dell’imprenditore. È il caso della Fondazione Olivetti e della stessa Fondazione Agnelli, tra le fondazioni italiane più antiche, che infatti per il ruolo chiave dell’imprenditore tanto nella creazione dell’impresa tanto in quella della fondazione si configurano come fondazioni ibride, a metà strada tra fondazioni private e d’impresa (Barbetta 2013, 99).

Solo qualche anno dopo, nel 2005, le fondazioni erano diventate 4.720 (Istat 2009, dati del 2005), con una crescita rilevante sia rispetto al primo rapporto sul tema della Fondazione Agnelli, sia rispetto alle 3.000 fondazioni censite dall’Istat nel 1999. L’altro cambiamento importante registrato era la crescita del settore delle fondazioni d’impresa, che nel 2005 erano 131, per i due terzi fondate tra il 1996 e il 2005. Le caratteristiche principali evidenziate dall’Istat mostravano una concentrazione del 70 % delle fondazioni d’impresa nel Nord Italia, riflesso delle specifiche condizioni economiche del Paese; la preferenza, tra i settori di intervento, della ricerca scientifica e tecnologica (per il 21% delle fondazioni censite), della cultura e dell’arte (per il 15%), dell’istruzione (per il 9%); una capacità di spesa che nel 56% dei casi riguardava patrimoni inferiori ai 500 mila euro, nel 32% patrimoni superiori al milione di euro; infine, l’occupazione di circa 2000 soggetti nel settore. Queste cifre sono state confermate dal rapporto sulle Corporate Foundations del 2009 – curato da Sodalitas, Fondazione Agnelli e Altis -, e fanno capo a una crescente responsabilizzazione delle aziende, denotando lo strumento della fondazione di impresa come una scelta strategica di intervento nel sociale.

A questo proposito è utile richiamare l’Indagine 2015 “Fondazioni d’Impresa per i giovani: come far crescere il vivaio” – a cura di Fondazione Italiana Accenture, Fondazione Adecco per le Pari Opportunità, Fondazione De Agostini, Enel Cuore Onlus, Fondazione Allianz UMANA MENTE, UniCredit Foundation e Fondazione Vodafone Italia, con la coordinazione di Fondazione Bracco – che mette in luce l’attività delle Fondazioni a favore dei giovani, soprattutto sul versante dell’inserimento occupazionale, in un periodo che vede le nuove generazioni come le nuove fasce deboli sul mercato del lavoro. L’indagine mostra come – pur essendo quello delle fondazioni d’impresa un terreno di progettazione e intervento sociale ancora di nicchia – il contributo non solo finanziario, ma anche di conoscenze e competenze sviluppate dalle fondazioni e dalle aziende fondatrici sui territori, nonché la sperimentazione di nuove strategie, apportino all’interno della sfera sociale interventi innovativi rispetto all’azione sia dei soggetti privati che di quelli pubblici.

 

Fondazioni operative e fondazioni di erogazione

In base alla modalità di azione e intervento delle fondazioni, è possibile distinguere due tipi di impostazione: il primo è il modello della fondazione operativa (operating), il secondo è quello della fondazione di erogazione (grantmaking) .


Fondazioni operative

Le fondazioni operative hanno in Italia una lunga storia, che è possibile far risalire alle piae causae previste dal diritto romano ai tempi di Giustiniano, e alle Opere Pie, istituzioni caritatevoli private nate nel medioevo, che hanno attraversato i secoli occupandosi dell’assistenza individuale ai bisognosi servendosi di un patrimonio fondamentalmente immobiliare, in cui si esercitavano le attività di assistenza e cura a livello sanitario (Barbetta 2013).

L’evoluzione delle Opere Pie in istituzioni di diritto pubblico (Ipab, nel 1923), prima, e di diritto privato, poi, ha portato alla nascita delle fondazioni sanitarie, universitarie e lirico-sinfoniche. Tuttavia, l’impostazione di erogazione diretta dei servizi si è estesa anche alle fondazioni private e a quelle d’impresa. In quest’ultimo settore, la modalità operativa si configura come modello volto a realizzare servizi di pubblica utilità, a promuovere ricerche e studi in campo economico, sociale, ambientale, scientifico – anche quelle in cui non è direttamente coinvolto l’interesse dell’azienda -, e a fornire ai suoi soci e dipendenti servizi assistenziali che possono riguardare la conciliazione lavoro/famiglia, l’assistenza sanitaria e attività ricreative che aumentino il benessere aziendale (Fondazione Bracco 2017). 

Dal punto di vista patrimoniale, la fondazione d’impresa operativa si caratterizza per il fatto che il capitale investito dall’azienda fondatrice non rappresenta la principale fonte di reddito, bensì solo una parte. Per questo, i servizi e le attività erogate dalla fondazione dipendono dalla capacità di generare ricavi sufficienti a bilanciare i costi, integrando con la raccolta di donazioni il capitale disponibile. Secondo il rapporto “Fondazioni d’Impresa per i giovani: come far crescere il vivaio”, su 184 fondazioni d’impresa italiane interpellate, 52 sono le fondazioni direttamente impegnate nella progettazione e attuazione degli interventi, e si tratta principalmente fondazioni medio-grandi. Tra le maggiori fondazioni d’impresa operative italiane si possono citare Fondazione Dalmine, Fondazione Corriere della Sera e Fondazione Benetton Studi e Ricerche.


Fondazioni erogative

Il modello erogativo (o grant-making) è scelto da quelle fondazioni che decidono di non erogare direttamente dei servizi, ma piuttosto di utilizzare il loro patrimonio per finanziare progetti e attività, anche proposte da altri attori, ritenuti vicini agli scopi statutari.

Le fondazioni che operano secondo un modello grant-making progettano direttamente iniziative poi svolte in collaborazione con altri soggetti o enti; erogano donazioni, contributi e sussidi ad altri attori, enti, soggetti o organizzazioni non-profit, selezionando le richieste esterne; stimolano la partecipazione e il coinvolgimento esterno attraverso bandi e progetti su temi vicini agli scopi statutari della fondazione. Queste attività caratterizzano i tre principali approcci delle fondazioni in rapporto all’attività erogativa: nel primo caso fungono da sperimentatori, puntando su strategie innovative che possano, sebbene in misura sperimentale, dare una risposta a problemi e bisogni ancora irrisolti; nel secondo da sponsor, finanziando progetti o enti il cui valore può accrescere la visibilità e la legittimazione sociale della fondazione; nel terzo caso da risolutori, attraverso il finanziamento e la collaborazione nella realizzazione di progetti volti a rispondere a specifiche esigenze e specifici bisogni sul piano locale (Barbetta 2013, 96).

Mentre nei paesi anglosassoni e in Germania il modello erogativo è il più diffuso, in Italia l’interesse verso questa modalità di azione è aumentata pian piano nel corso degli ultimi vent’anni (nonostante l’innovativa e pionieristica esperienza della Fondazione Olivetti negli anni ’60 e ‘70), prendendo piede soprattutto tra le fondazioni più piccole.

Infine, è da segnalare il tentativo di Pedrini e Minciullo (2011) di andare oltre questa classificazione, ripensando l’attività delle fondazioni attraverso una suddivisione in tre cluster che prendono in considerazione l’influenza significativa delle aziende fondatrici sull’attività delle fondazioni:

  • Edifier: in questa categoria rientrano le fondazioni che hanno un orientamento per lo più operativo, le cui attività riguardano principalmente il campo della cultura e quello dell’educazione. In queste fondazioni si riscontra un forte legame con il brand fondatore, sia per quanto riguarda l’orientamento etico, sia per il coinvolgimento nel processo decisionale dell’azienda.
  • Granter: le attività svolte da queste fondazioni sono principalmente grant-making, orientate alla promozione del volontariato, dell’educazione e della ricerca, con uno sguardo attivo a tutto il campo dei servizi sociali. La maggiore motivazione all’azione di queste fondazioni risiede nell’accrescimento della reputazione aziendale.
  • Expert: quest’ultima categoria si riferisce in particolare a quelle fondazioni il cui campo d’azione pone l’attenzione su un’area di interesse definita. In particolare, il focus dell’azione delle fondazioni expert è sullo sviluppo interno dell’azienda fondatrice, promuovendo l’implementazione delle capacità e della motivazione dei dipendenti.

 

Conclusioni

Tra le fondazioni d’impresa, una configurazione pura tanto del modello operativo quanto di quello erogativo è applicabile solo a una minoranza (il 15,7% per entrambe le modalità), mentre per la maggioranza delle fondazioni prevale un approccio che integra modalità operative e modalità di erogazione, orientandosi più verso l’uno o l’altro polo a seconda degli scopi e delle finalità stabiliti dallo statuto (Sodalitas 2009).

In particolare, il 44,3% utilizza modalità miste con un orientamento operativo, mentre il 24,3% utilizza modalità di intervento miste con un orientamento grant-making. Si evidenzia, inoltre, come nella macroarea operativa gli interventi sono soprattutto legati a promuovere la ricerca, borse di studio, convegni e conferenze in ambito ambientale, culturale, sociale o economico; per quanto riguarda la macroarea erogativa, gli interventi si concentrano sull’erogazione di donazioni e sussidi filantropici a soggetti, enti o organizzazioni non-profit, e sulla promozione di bandi e progetti di soggetti, enti e organizzazioni non-profit su temi di interesse.

Inoltre, il valore massimo di pro-attività è riscontrabile nelle partnership e collaborazioni con altre associazioni, enti o organizzazioni non-profit, richiamando l’importanza che il dialogo e la collaborazione assumono nella risoluzione di problemi e bisogni degli individui e delle collettività, sperimentando risposte innovative e nuove modalità di intervento.

La ricerca “Fondazioni d’Impresa per i giovani: come far crescere il vivaio” ha evidenziato come, dal 2011 al 2014, 49 fondazioni hanno investito 49 milioni di euro in 184 progetti che hanno coinvolto in maniera diretta o indiretta 56mila giovani. Queste cifre ci illustrano le potenzialità economiche, ma anche l’apporto conoscitivo e specialistico, che le fondazioni d’impresa possono far circolare nei territori, sfruttando i legami con la dimensione locale che le aziende hanno costruito nel tempo. I dati riportati dal rapporto, però, mettono anche in luce l’impegno delle fondazioni e delle aziende nel far fronte a problemi – come quello dell’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro – che, per la loro risoluzione, necessitano di un coinvolgimento organico e integrato delle risorse pubbliche e private.

Riferimenti

G.P. Barbetta, Le fondazioni – Il motore finanziario del terzo settore, Il Mulino, Bologna 2013.
G. Turati, M. Piacenza, G. Segre [a cura di], Patrimoni & scopi – per un’analisi economica delle fondazioni, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 2008.
G. Barresi, La rendicontazione economica e sociale nelle fondazioni – Profili di accountability e trasparenza nell’esperienza italiana, FrancoAngeli, Milano 2013.
M. Pedrini, M. Minciullo, Italian corporate foundations and the challenge of multiple stakeholder interests, Nonprofit Management and Leadership 2011, 22: 173–197. DOI:10.1002/nml.20048.