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Che senso ha parlare, oggi, di oratorio? Questa peculiare esperienza educativa può ancora dare qualcosa alle comunità locali dopo 450 anni di vita? È quello che si chiede Johnny Dotti nel libro “Oratori generatori di speranza” edito da Edizioni il Messaggero di Padova, con la prefazione di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti.

Scrive Dotti: “l’oratorio, ripulito dai segni del tempo, potrebbe rinnovarsi come luogo di incontro autentico, di incrocio di vite, di ascolto vero, un posto in cui al centro c’è il cuore libero di chi impara ad amare. Perché, se anche i tempi sono cambiati, il profondo desiderio di amore, speranza e libertà si incarna continuamente nei ragazzi di ogni tempo e provenienza. E se don Bosco è riuscito a strappare i giovani dalla strada, noi potremmo cercare di non farli affogare nel mare magnum delle relazioni… virtuali». Gli oratori, infatti, in quanto luoghi di umanizzazione prima che spazi fisici, in virtù della ricca tradizione che ci lasciano in eredità non possono essere semplicemente dismessi come istituzioni ormai deserte, fuori dal tempo, ma vanno interrogati per capire quali semi di significato ancora inespresso possono regalare al nostro presente.

“Solo facendoci ‘giusti eredi’ – spiegano nella prefazione Chiara Giaccardi e Mauro Magatti – capaci di valorizzare e rilanciare anche innovando ciò che la tradizione ci consegna (perché per essere davvero fedeli occorre saper cambiare), nella consapevolezza del valore grande di quanto abbiamo ricevuto, possiamo allo stesso tempo coltivare la gratitudine che consente di non disperdere ciò che è ricchezza, e la fantasia che ci sostiene nell’affrontare le criticità trasformandole in occasioni. In effetti, a guardare bene, gli oratori costituiscono tuttora un patrimonio. Culturale e simbolico, oltre che materiale“.

Un patrimonio per affrontare le sfide dell’oggi

La riflessione di Johnny Dotti sugli oratori viene collocata nel contesto sociale odierno al fine di attualizzarne il ruolo anche rispetto alle grandi sfide educative e sociali del nostro tempo. Già negli orientamenti pastorali decennali della Chiesa Cattolica Italiana sul tema “educare alla vita buona del Vangelo” si fa esplicito riferimento al peculiare contributo che viene offerto dagli oratori alle nuove e complesse sfide che si riscontrano nell’educazione delle giovani generazioni.

La necessità di rispondere alle loro esigenze porta a superare i confini parrocchiali e ad allacciare alleanze con le altre agenzie educative. L’oratorio, infatti, accompagna nella crescita umana e spirituale le nuove generazioni e rende i laici protagonisti, affidando loro responsabilità educative. Adattandosi ai diversi contesti, l’oratorio esprime il volto e la passione educativa della comunità ecclesiale locale.

In questa ottica, diviene una proposta qualificata della comunità cristiana per rigenerare se stessa e rispondere in maniera appropriata al relativismo pervasivo che è ben riscontrabile anche nei processi educativi. Allora comprendiamo che oggi gli oratori, da istituzione che apparentemente ha fatto il suo tempo, possono essere ancora “generatori di speranza” e di nuovi modelli di welfare in relazione sia ai modelli educativi che di orientamento al lavoro ed all’impresa.

Ma dobbiamo porci, con spirito critico, in una nuova dimensione in cui possiamo rigenerare questo patrimonio di umanità e umanizzazione e far rivivere spazi abbandonati che, se ripensati, hanno moltissimo da dire e da dare a questo nostro tempo.

Così Johnny Dotti inizia la sua analisi scrostando la patina di vecchiume, che fa sembrare la stessa parola il residuo inattuale di un tempo andato, per rigenerare un significato che è impregnato di tradizione e che può essere risvegliato, riattualizzato. Nella nota “il laboratorio dei talenti” della Conferenza Episcopale Italiana, più volte citata dall’autore, sul valore degli oratori che sostiene e riconosce il peculiare valore educativo di questi luoghi nell’accompagnare la crescita umana e spirituale dei più giovani si legge “stiamo assistendo a un crescente interesse da parte di molte comunità parrocchiali nei confronti dell’oratorio quale risposta concreta e dinamica alle nuove e complesse sfide che si riscontrano nell’educazione delle giovani generazioni“.

In questo contesto sociale, allora, diventa necessaria per il bene comune questa opera di rigenerazione ed intrapresa comunitaria che ci indicano nella prefazione al libro i sociologi Chiara Giaccardi e Mauro Magatti “in un tempo di ‘futuro breve’, in cui la crisi economica, epifenomeno di rotture ben più profonde, sembra derubare le generazioni più giovani della fiducia nel futuro, occorre riconoscere, far crescere e se occorre inventare luoghi (non solo in senso fisico) che siano “generatori di speranza”. Un capitale di umanità che oggi può essere rilanciato per affrontare, fuori da ricette astratte e sempre a rischio di aumentare in realtà le disuguaglianze, le sfide inedite di un presente sempre più complesso. Due tra le tante: l’invecchiamento della popolazione europea e gli squilibri che ne derivano; il fenomeno dell’immigrazione che da emergenza è diventato flusso regolare che interpella la nostra capacità di vivere insieme in un mondo plurale».

Donare e rigenerare

Il libro, che ci indica una visione di futuro nei confronti di una istituzione che tanto ha costruito, trova la sua genesi in due parole dense di significato, come ci spiega Johnny Dotti, ovvero donare e rigenerare. Questo libro è infatti “frutto variegato della mia esperienza e della riflessione che ne è scaturita di padre e marito, di pedagogista ed imprenditore sociale, di animatore, educatore, formatore e di docente, di povero uomo di fede dentro la Chiesa. Ma sono anche parole riconoscenti di figlio e fratello, persona di cui molti adulti gratuitamente si sono presi cura, specie in adolescenza, negli ambienti parrocchiali; di amico e compagno di viaggio di molte esperienze educative. Insomma un punto di vista non neutro, che prende parte, a cui sta a cuore la vita, in particolare quella delle giovani generazioni“.

“Il mio desiderio” sottolinea Dotti “è di suscitare speranza attraversando liberamente e responsabilmente questo tempo, offrendo alcune possibili chiavi di lettura e prime tracce di metodo. Consapevole che è richiesta una visione comunitaria d’insieme e sapendo che la protagonista indiscussa nelle sorti di un oratorio è stata ed è la singola comunità cristiana e le sue varie componenti e che nella storia la pratica ha in genere preceduto la teoria».

L’analisi contenuta nel libro allora diventa allora uno stimolo straordinario per non depauperare questo patrimonio, bensì per rimetterlo in gioco, tentando di realizzare ciò di cui la generazione prima della nostra è stata capace: trovare un punto di intreccio tra la dimensione della trascendenza, della preghiera, e quella della vita concreta delle comunità e delle persone. Letteralmente, sapendo far dialogare il sacro con il profano. Dimostrando così che la religione, nello specifico la fede cattolica, riguarda, certo, ciò che accadrà dopo la morte, ma ha a che fare anche e prima di tutto con la vita terrena, con la qualità del nostro vivere insieme.

Giovanni Paolo II lo ricordava rivolgendosi direttamente ai giovani: “Tutti guardiamo in direzione vostra, poiché noi tutti, grazie a voi, in un certo senso ridiventiamo di continuo giovani. Pertanto, la vostra giovinezza non è solo proprietà vostra, proprietà personale o di una generazione: essa appartiene al complesso di quello spazio, che ogni uomo percorre nell’itinerario della sua vita, ed è al tempo stesso un bene speciale di tutti. È un bene dell’umanità stessa”.

Davvero allora i nostri oratori possono essere laboratori di innovazione sociale e di dialogo interculturale per le nostre comunità locali.

Riferimenti

Johnny Dotti (2016), Oratori generatori di speranza, Edizioni Messaggero Padova.