7 ' di lettura
Salva pagina in PDF

Nessuna impresa che voglia competere sul mercato oggi considererebbe l’innovazione un lusso per pochi. Ma quali approcci sono più funzionali ad innovare? Nel 2003 Henry Chesbourgh coniava il termine open innovation, raccogliendo evidenza dei vantaggi insiti in un approccio all’innovazione in grado di fare leva su risorse sia interne che esterne alla singola impresa, anche laddove la tecnologia sia funzionale a produrre non solo impatto economico, ma anche sociale (Chesbourgh e Di Minin 2014).

L’approccio “open” ai processi di innovazione è oggi ampiamente diffuso anche in Italia, dove si assiste al moltiplicarsi di esperienze promosse non solo da imprese profit, ma anche da pubbliche amministrazioni e terzo settore, contribuendo al rafforzamento di un ecosistema fertile, dove le idee possono allearsi più facilmente con strutture e risorse per rispondere alle sfide emergenti.

In questo senso le cooperative non sono diverse dalle altre imprese nel bisogno di innovazione, ma lo possono essere tuttavia nel perché e nel come innovare. Se cooperare è un metodo distintivo della cooperazione, esiste un potenziale di “originalità cooperativa” nel portare avanti processi di open innovation? Che impatto può avere questo nelle strutture organizzative e nel disegno dei confini aziendali? Come valorizzare la relazione con i soci, gli utenti e le comunità di riferimento, già solida per statuto e valori, per trasformarla in potenziale di innovazione?

È per rispondere queste domande che è nata la Guida all’open innovation per imprese cooperative – realizzata da Confcooperative Emilia-Romagna, in collaborazione con Irecoop, AICCON e Social Seed, nell’ambito del progetto CoopUP IN – pensata per creare un ponte tra le prassi cooperative e i metodi di open innovation. Il progetto ha finalità prima di tutto culturali, mettendo in campo azioni di lungo periodo per creare un terreno di gioco favorevole alla più ampia diffusione di queste pratiche, in un contesto imprenditoriale diverso da quello ad alta intensità tecnologica e multinazionale, dove sono state inizialmente studiate.

La guida è suddivisa in tre parti: nella prima vengono restituiti i dati di un’indagine sul fabbisogno di innovazione e le relative strategie messe in atto da imprese cooperative operanti in Emilia-Romagna, le cui risposte hanno costituito la base per elaborare gli strumenti proposti; la seconda fornisce una panoramica su come funziona un processo di open innovation e quali sono i presupposti perché vada a buon fine; nella terza vengono forniti alcuni strumenti operativi utili a mettere in pratica l’innovazione aperta in un’impresa cooperativa, con esempi concreti ed esperienze di successo.


Open innovation e cooperazione

L’indagine, compilata da 136 soggetti cooperativi presenti quasi totalmente sul territorio dell’Emilia Romagna (98%) ha avuto l’obiettivo di rilevare come realtà operanti in diversi ambiti di attività (principalmente servizi socio-educativi ed assistenziali 28,2% e agroalimentare 13,4%) e con diverse dimensioni in termini di fatturato prodotto e numero di dipendenti (oltre il 60% delle realtà occupa fino ad un massimo di 20 persone) approccino in maniera differente i processi di innovazione imprenditoriale. In particolare, 6 su 10 delle cooperative rispondenti hanno avviato progetti di innovazione nell’arco dell’ultimo triennio. Il 36% di chi non ha innovato nell’ultimo triennio esprime intenzionalità nel voler procedere in tale direzione in futuro.

Quali sono le principali motivazioni che spingono ad investire in innovazione? L’introduzione di future innovazioni viene vista soprattutto come una una possibilità per diminuire i costi, per migliorare il servizio reso al cliente/utente e per entrare in nuovi mercati (fig. 1).

Figura 1. Obiettivi di innovazione futura
Fonte: Guida Cooperation as Open Innovation


Come rispondere a questi bisogni? Oltre 4 cooperative su 10 sostengono di favorire la collaborazione interna per la realizzazione di innovazione, tanto da considerare i propri dipendenti (16,8%) le figure “privilegiate” con cui progettare pratiche innovative. Tuttavia, una percentuale rilevante (34,3%) ha indicato nel rapporto con soggetti esterni (clienti, fornitori, università, ecc.) la leva più utilizzata per lo sviluppo di processi di innovazione (fig.2).

Figura 2. Collaborazione e partnership per lo sviluppo dell’innovazione
Fonte: Guida Cooperation as Open Innovation

In ogni caso, quando interrogate su quale strumento sceglierebbero nel caso volessero attivare processi di open innovation, la dimensione relazionale di rete con altre imprese si rivela l’asset preferito da oltre il 50% delle cooperative intervistate (fig. 3), confermando quanto la capacità di saper coltivare una presenza attiva nel proprio ecosistema di riferimento costituisca un fattore strategico per portare avanti processi di innovazione. Ciò è vero in particolare per la classe di fatturato tra 500 mila e 1 milione di euro, mentre le cooperative di più grandi dimensioni (oltre 10 milioni di fatturato) individuano come strategici i partenariati con le start-up e la risoluzione di problemi tramite seminari a porte chiuse.

Figura 3. Strumenti per lo sviluppo di progetti di innovazione aperta
Fonte: Guida Cooperation as Open Innovation


L’impatto sui modelli organizzativi

L’open innovation non si esaurisce nella strutturazione di presidi di R&S, ma postula una revisione completa della strategia aziendale. Per questo, apporta risultati significativi soltanto quando si rivisitano interamente i processi, si acquisisce dimestichezza con l’appropriazione dei risultati dell’innovazione e, infine, ma non meno importante, quando si mette al centro il fattore umano, ovvero la capacità di motivare la partecipazione di collaboratori, utenti e clienti e valorizzarne l’apporto in termini di innovazione (Di Minin 2016).

In questo ambito, l’indagine evidenzia come la correlazione tra efficacia dei processi di innovazione aperta e la presenza di investimenti in trasformazioni organizzative, non sia ancora pienamente riflessa nelle scelte strategiche delle cooperative intervistate. Solo il 9% ha introdotto una figura dedicata alla gestione dei progetti di innovazione, mentre il 30,1% non ha assunto una decisione organizzativa in tal senso. All’interno delle cooperative operanti nel settore dell’edilizia, delle energie rinnovabili, dei servizi educativi e del marketing e della comunicazione (la totalità dei rispondenti di queste categorie) l’ufficio risorse umane è ancora strettamente adibito a soli compiti amministrativi. Al polo opposto i community hub, per i quali il presidio risorse umane è studiato in modo da incoraggiare l’innovazione, mentre nei restanti settori si rilevano situazioni intermedie, evidenziando una forte intenzionalità alla ristrutturazione della funzione RU soprattutto nel settore delle pulizie (fig. 4).


Figura 4. Presenza ufficio risorse umane strategico, per macro-settore di attività
Fonte: Guida Cooperation as Open Innovation


In un mondo dove la tecnologia è sempre più accessibile, la capacità di innovare dipenderà sempre di più dalla componente umana (De Biase 2016). La trasformazione dei modelli organizzativi per attivare, motivare e sostenere l’intelligenza collettiva presente all’interno e all’esterno delle singole realtà sarà probabilmente il terreno su cui si giocherà la partita dell’open innovation in futuro. Questo vale a maggior ragione per le imprese cooperative, in quanto le scelte organizzative non sono mai neutre rispetto all’identità delle organizzazioni (Venturi e Zandonai 2017).

Da questo punto di vista approcciare l’innovazione secondo un approccio “open” fornisce alle imprese cooperative l’opportunità di riallineare principi, identità e forma, per raggiungere una maggiore efficacia nel perseguire i fini sociali, rispetto a modelli alternativi perseguiti nell’ottica di raggiungere efficienza attraverso il solo contenimento dei costi, allontanandosi dal presidio relazionale.

L’esistenza di luoghi deputati ad attivare opportunità non episodiche di innovazione a impatto sociale e presidiarne lo sviluppo nel tempo, può costituire un punto di forza per moltiplicare esperienze di open innovation in chiave cooperativa. I luoghi dell’innovazione di fatto agiscono come “piattaforma”, consentendo a imprese, innovatori e altri attori territoriali di allineare i modelli, tradurre i linguaggi e negoziare se necessario le regole di ingaggio. Tra il 2016 e il 2017, sulla spinta delle attività generate dal progetto CoopUp IN, sono nati in Emilia-Romagna 3 nuovi luoghi di open innovation dedicati al mondo cooperativo, che si aggiungono ai 3 CoopUP già attivi nella Regione, inseriti in una rete nazionale in crescita che ne conta ad oggi 18 sparsi in tutta Italia.


Le dimensioni della competitività cooperativa

I bisogni di innovazione mappati nell’indagine sono strettamente collegati con le dimensioni della competitività: la ricerca di nuovi mercati, il dialogo con gli attori della filiera per innovare la produzione del valore, l’investimento nelle persone per incoraggiare una cultura permanente dell’innovazione, la capacità di coinvolgere la comunità di riferimento e di misurare l’impatto prodotto, restituendo i dati in maniera aperta e trasparente come leva reputazionale indispensabile ad accrescere il capitale fiduciario. Per ognuna di queste dimensioni la guida fornisce chiavi di lettura e un paniere di strumenti a cui le cooperative possono attingere per strutturare i propri percorsi di open innovation (fig. 5).


Figura 5.Trasformare la cooperativa in piattaforma tramite l’open innovation
Fonte: Elaborazione Aiccon – Social Seed


Esistono già numerosi esempi di imprese cooperative che hanno adottato con successo questo approccio, facendo da apripista a un modello di cooperativa piattaforma”, capace cioè di aggregare la domanda continuando a presidiare in prima persona il lato offerta, usando l’innovazione per garantire maggiore (e migliore) occupazione.

Ne sono esempi Local to You, e-commerce di prodotti dell’agricoltura biologica e solidale nato dall’incontro tra tre cooperative sociali e un giovane innovatore; Pescato Jonico, piattaforma social che consente a diverse cooperative di pescatori pugliesi di comunicare in tempo reale quantità e qualità del pescato ad un’ampia community che li attende a riva. Altri segnali arrivano dalla nascita di incubatori aziendali interni, come nel caso di Fab, nato per generare occasioni di innesto costante di idee innovative a favore di un gruppo di cooperative sociali, occasioni che spesso si traducono anche in opportunità di intercettare professionalità atipiche al di fuori dei canali di reclutamento tradizionali, che diventano di per sé un fattore di più rapida innovazione. Esempi di open innovation in chiave cooperativa arrivano anche da format aperti, come Hackability, che consente di creare occasioni dove l’intelligenza collettiva è indirizzata alla risoluzione di sfide sociali emergenti; o da nuovi modelli di animazione territoriale, come il community hub di Kilowatt, che fa leva sull’attivazione di comunità variabili per indirizzare la nascita di nuovi servizi sociale e culturali.

Si tratta solo di alcuni esempi di un fenomeno destinato a durare, che concetti come l’open innovation aiutano a modellizzare e rendere replicabile, al fine di incoraggiarne una più vasta diffusione. Nel caso delle cooperative studiate, non si tratta solo di una revisione di poco conto, ma di provvedere a un vera e propria attualizzazione di cosa voglia dire oggi cooperare e scoprire come proprio da questa risposta può scaturire il vero fattore competitivo per il futuro. È questo in sintesi lo scopo della guida, che è possibile scaricare interamente a questo link.

Riferimenti

Chesbrough (2003), Open Innovation: The New Imperative for Creating And Profiting from Technology

Chesbrough, Di Minin (2014), Open Social Innovation, In New Frontiers in Open Innovation

De Biase (2016), La cultura dell’innovazione e più antropologica che tecnica, Nòva – Il Sole 24 Ore

Di Minin (2016), L’impresa è un’opera d’arte, Nòva – Il Sole 24 Ore

Venturi, Rago (2017), Cooperazione, la sfida è trasformare i territori, Aiccon

Venturi, Zandonai (2017), Il terziario sociale e la “trappola dei servizi”, Aiccon