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 “La cooperazione finalizzata all’inserimento lavorativo si conferma un’innovazione in sé. È l’unica forma d’impresa con una finalità sociale capace di generare 3 benefici contemporaneamente: il primo è il recupero di soggetti svantaggiati attraverso il lavoro, il secondo è il rafforzamento del capitale sociale del territorio e il terzo è la capacità di generare politiche attive che qualificano la spesa pubblica”. Questo è quanto sostiene Paolo Venturi, direttore di AICCON, nel corso della presentazione della “Ricerca sull’impatto sociale ed economico dell’inserimento lavorativo nelle cooperative sociali”, promossa da Federsolidarietà/Confcooperative Emilia Romagna e curata dalla stessa AICCON.

La ricerca è stata presentata martedì 12 dicembre nell’ambito dell’evento “Chi te l’ha detto che il sociale costa?” tenutosi presso il Palazzo della Cooperazione di Bologna; durante la conferenza – alla quale ha presenziato anche Elisabetta Gualmini, vicepresidente della Regione e assessore alle Politiche sociali – hanno raccontato la loro esperienza le cooperative sociali For.B (Forlì), il Germoglio (Ferrara) e il Cigno Verde (Parma).

Per approfondire e valutare il reale impatto della cooperazione sociale per l’inserimento lavorativo, AICCON, collaborando con il Centro Studi Socialis, ha scelto di adottare il metodo di valutazione “VALORIS” che si basa sull’analisi costi-benefici. Sono state coinvolte nell’attività di ricerca 203 cooperative sociali aderenti a Federsolidarietà/Confcooperative Emilia Romagna operanti nell’ambito degli inserimenti lavorativi, per un totale di 7.052 soci, 6.926 addetti (di cui 1.940 sono lavoratori svantaggiati oggetto di inserimenti lavorativi) e un patrimonio netto di 65,9 milioni di euro. Nel 2016, la somma dei fatturati raggiunge 276,9 milioni di euro. Al riguardo è importante sottolineare come fino al 2014 il 51% dell’offerta di beni e servizi era rivolto alla Pubblica Amministrazione mentre ora il rapporto si è invertito e la fetta più grossa (53%) è rappresentata dal mercato privato. Un approfondimento più specifico ha riguardato solo un campione di venti cooperative sociali.

Nel campione di venti cooperative sociali il 77,5% dei lavoratori è a tempo indeterminato mentre i lavoratori svantaggiati sono il 54,5% del totale; i lavoratori ordinari con difficoltà d’ingresso nel mercato del lavoro il 10,7% (di cui il 25,4% sono persone con più di 50 anni). Lo stesso campione di cooperative sociali nel 2014 ha versato allo Stato 2,4 milioni di tasse.

Guardando invece la base dell’indagine si può notare come i lavoratori siano la categoria maggiormente rappresentata sia nell’assemblea dei soci (65,7% al 2016, +10,3% sul 2014) sia nel consiglio d’amministrazione (68,4% sul 2016, +9,9% sul 2014). In base ai dati economici realtivi alle oltre 200 cooperative coinvolte, inoltre, risulta che il modello della cooperazione sociale sia efficace ed efficiente: dal 2012 al 2015 il patrimonio netto è aumentato del 17,9% mentre il capitale sociale del 24,8%.

Emerge quindi che a fronte di “costi” per la collettività dovuti a esenzioni fiscali e contributi pubblici, l’inserimento nel lavoro di persone con difficoltà certificate genera benefici economici ben maggiori in termini di imposte sui redditi versate dai lavoratori svantaggiati, IVA prodotta e spese pubbliche evitate grazie al miglioramento delle condizioni di vita di queste persone. AICCON ha infatti calcolato che un lavoratore svantaggiato inserito in cooperativa sociale crea un valore medio di 4.729,74 euro per la Pubblica Amministrazione. In questa direzione, secondo i risultati presentati, la cooperazione sociale d’inserimento lavorativo presenta significativi benefici su tre fronti: quello dei lavoratori coinvolti, per lo Stato e per la comunità.

Commenta Luca Dal Pozzo, Presidente Federsolidarietà/Confcooperative Emilia Romagna “La ricerca realizzata con AICCON evidenzia questo beneficio ancora poco conosciuto: le cooperative sociali infatti creano un valore economico per la collettività perché il costo dell’intervento pubblico per gli inserimenti lavorativi di persone svantaggiate è più basso dei vantaggi economici generati”.