L’idea di un’organizzazione italiana che si occupasse di temi legati alla misurazione del valore sociale era nell’aria già un paio di anni fa. A quei tempi esistevano due organizzazioni che lo facevano, a livello internazionale: lo SROI Network e la Social Impact Analysts Association. La prima tenne a Milano, presso l’Università Cattolica, una propria conferenza nel mese di giugno del 2014 e, in quell’occasione, furono avviati i primi contatti tra i soggetti italiani più attivi per creare un punto di contatto con la rete globale che si andava formando e che di lì a poco si sarebbe consolidata, a seguito della fusione delle due citate associazioni in quella che poi è diventata Social Value International.

Il dibattito teorico e l’esercizio della pratica della misurazione del valore sociale erano già allora piuttosto vivaci nel nostro Paese. Sia nel mondo accademico sia nel settore del non profit, le questioni principali erano state chiaramente individuate e diverse piste di lavoro erano già state intraprese, con risultati apprezzabili. Non si trattava, quindi, di partire da zero, quanto piuttosto di costruire dei luoghi di confronto in cui fare sintesi e progettare un lavoro coordinato e coerente. I lavori preliminari alla costituzione dell’associazione italiana hanno occupato più di un anno e si sono concentrati su obiettivi, strumenti e forme. L’esito di questo processo è stata Social Value Italia, associazione non riconosciuta, nata col fine di “promuovere la diffusione di una cultura della valutazione d’impatto sociale nella governance e nel funzionamento di organizzazioni pubbliche e private e di favorirne l’applicazione attraverso strategie, approcci e pratiche coerenti”. I tratti distintivi della nuova associazione possono quindi essere riassunti in pochi punti qualificanti:

  • la volontà di non promuovere una “scuola”, ma un luogo di confronto tra scuole ed esperienze diverse;
  • il desiderio di non confinare la riflessione all’interno di un ambito professionale (quello dei ricercatori o quello dei consulenti o quello dei practitioners), ma di sollecitare la contaminazione di approcci, metodi e stili complementari tra loro;
  • l’idea di non assumere il punto di vista specifico di uno degli attori in gioco (quello dei “produttori” o quello degli utilizzatori o quello dei finanziatori di attività generatrici di valore sociale), ma di cercare una mediazione tra esigenze, aspettative, bisogni e limiti di cui ciascuno è portatore.

Ne è risultata un’organizzazione lean, come si dice oggi: leggera nella governance, focalizzata negli obiettivi, aperta nella gestione delle relazioni. Un esempio crediamo calzante dello spirito che ha caratterizzato la progettazione di Social Value Italia è quello del suo Comitato Scientifico: anziché affidarsi alla scelta rassicurante di autorevoli accademici “di nome”, la decisione è stata quella di scommettere su un gruppo di giovani ricercatori (sì, c’è anche un ordinario – ma giovane, secondo i canoni della nostra accademia). In questo, oltre che il desiderio di offrire un’opportunità a chi nella ricerca mette entusiasmo ed energia, c’è anche la voglia, tra le righe, di essere un po’ eterodossi, di percorrere strade non scontate, di sperimentare soluzioni innovative.

Cose tutte di cui c’è un gran bisogno, quando si tratta di temi relativamente nuovi come i nostri. Il concetto di misurazione del valore sociale, infatti, è molto citato ma poco studiato e, soprattutto, poco praticato. Tutti sappiamo che il valore economico racconta solo una parte del valore prodotto da un’organizzazione – in particolare, per un’organizzazione il cui fine primario non è quello di generare valore economico. Ma come si debba o possa valutare l’“altra” parte, è tutt’altro che scontato. I bilanci sociali, i bilanci di missione, i bilanci di mandato, i bilanci di sostenibilità, i bilanci integrati sono tutti tentativi (più o meno maturi) che hanno dato risposta ad alcune questioni ma che ne hanno lasciate aperte molte altre – solo per fare un esempio.

Noi siamo convinti che in un futuro molto prossimo la domanda di accountability crescerà significativamente. Le organizzazioni del terzo settore non dovranno solo raccontare come hanno speso i denari che sono stati loro affidati: dovranno spiegare quali risultati hanno ottenuto, quali cambiamenti sociali hanno generato – quanta differenza hanno fatto. E questo non solo perché le risorse messe a disposizione da donatori, finanziatori e investitori sociali sono sempre più scarse e quindi dovranno essere allocate con sempre maggior oculatezza; ma anche, e soprattutto, perché essere efficienti (ed essere in grado di dimostrarlo) è tanto più doveroso quanto più alti sono i fini che si dichiara di voler perseguire. La natura non for profit non è più sufficiente, ammesso che lo sia mai stata, a provare di per sé la socialità della missione.

Ma non sono solo le organizzazioni non profit a doversi preoccupare di dar conto del valore sociale creato. Anche quelle for profit, come le imprese, oggi sono chiamate a meritarsi la propria licence to operate sulla base del valore che generano non solo per gli azionisti ma per la comunità in generale.  Per non parlare della pubblica amministrazione che, al pari delle non profit, non può più usare la propria natura come alibi per non misurare la propria capacità di fornire un servizio pubblico in linea con le aspettative dei cittadini.

Insomma, la platea di soggetti che sono (o dovrebbero essere) interessati a misurare la propria capacità di misurare il valore sociale che creano è molto ampia e quindi numerosi sono gli approcci che devono essere sperimentati per svolgere questo esercizio di valutazione. Ai percorsi di cambiamento vissuti da questi soggetti, vogliamo tentare di offrire un contributo estremamente operativo. Nonostante la “leggerezza” che connota la struttura organizzativa di Social Value Italia, abbiamo, in questi mesi, messo in campo uno sforzo collettivo importante, da cui sono scaturite alcune prime iniziative.

Lo scorso 19 luglio, presso la Camera dei Deputati, abbiamo ufficialmente presentato Social Value Italia. Nel disegnare, tempo addietro, il programma della giornata, eravamo partiti dalla necessità di un forte coinvolgimento del decisore pubblico, al fine di comprendere quale fosse il livello di attenzione da parte della PA sui temi della valutazione. Il dibattito, al quale hanno preso parte la dott.ssa Agrò, dell’Agenzia della Coesione, il Sottosegretario Bobba, il dott. Pacini, responsabile Welfare Anci, l’On. Santerini ed il Prof. Becchetti ha offerto spunti interessanti. Nel corso della discussione, gli interlocutori hanno concordato sulla necessità che la PA introduca progressivamente approcci di policy basati sulle evidenze, rispetto ai quali, dunque, il tema della valutazione risulta essere centrale.

A questo primo momento di confronto, ne seguirà un successivo, nel mese di ottobre a Milano, che ci auspichiamo possa rispondere a due finalità: da un lato consolidare e diffondere pratiche di valutazione d’impatto sociale attuabili, accessibili, e significative nel settore privato, pubblico e privato sociale; dall’altro promuovere l’elaborazione di linee guida “aperte” che garantiscano la sostenibilità dei processi di misurazione del valore sociale.

L’evento non vuole limitarsi a raccogliere, organizzare e narrare alcune esperienze di misurazione del valore sociale, ma avviare una riflessione di lungo periodo, configurandosi come uno spazio di elaborazione e dialogo tra i diversi stakeholder. Al fine di facilitare il confronto abbiamo selezionato alcuni temi che riteniamo particolarmente rilevanti rispetto agli obiettivi che intende perseguire Social Value Italia. Ciascun tema sarà introdotto da un breve contributo di riflessione, elaborato a valle di un primo processo di consultazione interna, tra i soci di Social Value Italia e alcuni stakeholder qualificati. Da qui, cominceremo a sedimentare e sistematizzare le esperienze dei diversi attori interessati, al fine di produrre e mettere a disposizione modelli di misurazione del valore accessibili ed aperti.

L’appuntamento di Milano, inoltre, sarà, l’occasione per presentare il Glossario “Le parole dell’impatto”. Il Glossario nasce dalla necessità, avvertita durante la fase costituente dell’Associazione, di giungere ad un maggior allineamento lessicale e concettuale rispetto ai diversi strumenti ed approcci. La redazione del Glossario è stata affidata al gruppo di lavoro conoscenza, il lavoro è stato impostato collegialmente: la selezione delle fonti, quali voci inserire e quali escludere, la traduzione delle definizioni, le infografiche da realizzare e il taglio redazionale e grafico da dare al Glossario. Questo aspetto è importante perché è alla base dello spirito con il quale il network vuole lavorare, sin dalla sua costituzione: uno spirito di collaborazione paritaria, ancora poco usuale in Italia, ma che riteniamo possa dare valore a tutti i membri e crescita per tutta la comunità.

Inoltre, dal mese di settembre, proseguirà l’attività di formazione a distanza, attraverso webinar. I momenti di formazione, coordinati dal Comitato scientifico, sono stati pensati in coerenza con i sette principi di Social Value, il prossimo appuntamento esplorerà il primo: coinvolgere gli stakeholder. Al medesimo tempo, nelle prossime settimane, pubblicheremo un’open-call per mappare le pratiche di misurazione dell’impatto, realizzate in Italia. Si tratta di un’attività assolutamente strategica che ci consentirà di avere una prima istantanea sulle pratiche di misurazione e di mettere in evidenza gli elementi critici che le organizzazioni hanno affrontato durante il processo di valutazione.

Quello che ci attende, è un percorso non privo di difficoltà, il cui esito positivo è intrinsecamente legato alla capacità di divenire uno spazio aperto, accogliente, non dogmatico; un luogo di confronto, di elaborazione che sappia divenire una coalizione multistakeholder che lavori insieme per condividere metodologie, per scambiare esperienze, per riflettere sulle barriere e sulle possibili soluzioni da adottare.