La Legge 421 del 1992, che aprì la strada ai successivi decreti legislativi 502/1992 e 517/1993 di riordino della disciplina in materia sanitaria, pose per la prima volta lo sviluppo dei fondi sanitari integrativi come tema di intervento normativo. Nel complessivo ridisegno del sistema sanitario italiano, incardinato sui principi di regionalizzazione e aziendalizzazione, l’obiettivo era delineare e in-centivare percorsi alternativi e complementari a quelli a finanziamento esclusivamente pubblico, al fine di assicurare la sostenibilità finanziaria del sistema. Tra gli strumenti previsti, i fondi sanitari integrativi, successivamente rilanciati dagli in-terventi normativi del 1999 (la “riforma Bindi”), del 2008 (il “Decreto Turco”, D.M. 31 marzo), e del 2009 (Decreto del 27 ottobre, a firma Sacconi).

Semplificando, oggi nel sistema sanitario italiano convivono quattro diversi modelli di finanziamento della spesa. Accanto a quello interamente pubblico, che, grazie alle risorse raccolte attraverso IRAP, IVA, diversi tributi regionali minori e compartecipazioni (ticket), alimenta il Servizio Sanitario Nazionale, sono presenti tre modelli di finanziamento privato. Il primo è quello che si basa sul pagamento diretto delle prestazioni sanitarie da parte degli utenti che le “acquistano” dai professionisti di loro fiducia (l’85,7% delle cure odontoiatriche è finanziato in questo modo, cfr. ISTAT 2014): si tratta della cosiddetta spesa "out of pocket", che in Italia rappresenta, in termini comparati, una quota particolarmente alta della spesa privata (l’82%, contro una media del 59,2% nell’area Euro, cfr. WHO 2015). Le altre forme di finanziamento privato sono invece “intermediate”: possono consistere nella sottoscrizione di piani sanitari individuali non obbligatori, gestiti da compagnie assicurative o – non senza importanti differenze – da organizzazioni non profit come le Società di Mutuo Soccorso; oppure nell’adesione a fondi sanitari integrativi appunto, definiti “negoziali” quando originano dalla contrattazione collettiva (nazionale o territoriale) o aziendale.

Si tratta di fondi fiscalmente agevolati, che, finanziati da contributi dei datori di lavoro e talvolta dei lavoratori, dovrebbero integrare quanto già offerto dal SSN. In realtà, come messo in luce da Pavolini et al. (2012), l’aggettivo "integrativo" ha finito per acquisire, nel contesto italiano, un significato duplice, indicando sia quanto erogato effettivamente in aggiunta o a supplemento di quanto offerto dal Servizio Sanitario Nazionale, sia forme di assistenza che andrebbero a rigore definite complementari, poiché intervengono a copertura di spese per servizi che sono forniti in modo insufficiente dal sistema pubblico o a rimborso delle forme di compartecipazione. Come evidenziato dagli stessi autori, la volontà politica di con-tenere quanto più possibile la spesa pubblica per la sanità insieme alla bassa diffusione in Italia di forme intermediate di spesa privata rende i fondi sanitari integrativi un fenomeno dagli sviluppi particolarmente interessanti. Tanto più se si considera che, secondo gli ultimi dati rilasciati dal Ministero della Salute, nel 2013 il numero totale di assistiti da fondi integrativi (fra iscritti e familiari) aveva raggiunto quasi i 7 milioni (6.914.184).


San.Arti: origini e beneficiari

In questo quadro, un fondo che merita di essere approfondito è San.Arti, il Fondo di assistenza sanitaria integrativa per il settore artigiano. Un caso interessante perché dimostra l’espansione del fenomeno anche in settori produttivi diversi da quelli "forti" e non caratterizzati dalla presenza di grandi gruppi (come il bancario o il farmaceutico), in cui lo sviluppo di fondi sanitari ha origini più antiche.

Il Fondo è stato costituito il 23 luglio 2012 in attuazione dell’accordo interconfederale del 21 settembre 2010 e dei numerosi contratti collettivi nazionali di lavoro dell’artigianato1, sottoscritti dalle parti istitutive: Confartigianato, CNA, Casartigiani, C.L.A.A.I., le organizzazioni sindacali confederali dei lavoratori CGIL, CISL e UIL.

San.Arti, regolarmente iscritto all’Anagrafe istituita presso il Ministero della Salute, ha iniziato ad erogare le prestazioni ai suoi assistiti ad agosto 2013 nel rispetto di quanto prescritto dal “Decreto Sacconi”2. I Contratti Nazionali prima richiamati prevedono oggi l’iscrizione al Fondo dei lavoratori a tempo indeterminato, degli apprendisti, dei lavoratori a tempo determinato (se con contratto di durata pari o superiore a un anno), e infine dei lavoratori dipendenti delle organizzazioni sindacali e delle associazioni imprenditoriali che costituiscono il Fondo e quelli delle loro strutture operative e di servizio.

Un particolarità interessante consiste nel fatto che il costo del piano sanitario è interamente a carico dell’azienda, senza alcun onere per il dipendente. La contribuzione dovuta per ciascun lavoratore è fissata in 10,42 Euro per 12 mensilità e il limite d’età stabilito per il versamento della quota contributiva e per il diritto alle prestazioni sanitarie è pari a 66 anni e 6 mesi sia per gli uomini sia per le donne. Tutte le aziende che applicano i CCNL dell’artigianato sono tenute a iscriversi a San.Arti. In caso di mancata iscrizione a San.Arti vige l’obbligo per il datore di lavoro di erogare al dipendente un importo forfettario pari a 25 Euro lordi per 13 mensilità, cosi come previsto dall’art.1 dell’Accordo interconfederale del 28 febbraio 2013 firmato dalle parti sociali che hanno dato vita al Fondo. Il datore di lavoro che ometta il versamento della contribuzione al fondo è responsabile verso i lavoratori della perdita delle relative prestazioni sanitarie e, in caso questi lo richiedano, sarà obbligato a rimborsarli.

Sono inoltre possibili iscrizioni volontarie a San.Arti da parte di soggetti diversi dai dipendenti: è il caso non solo del nucleo familiare dei lavoratori, ma anche degli stessi titolari delle imprese artigiane e delle loro famiglie. In base a quanto stabilito dall’accordo interconfederale sottoscritto dalle parti sociali il 25 ottobre 2013 e a quanto deliberato dal Consiglio di amministrazione del fondo il 29 aprile 2014, i lavoratori dipendenti già iscritti a San.Arti possono infatti estendere la copertura garantita dal Fondo anche ai propri familiari, ai quali vengono così riconosciute coperture sanitarie loro dedicate. Dal novembre 2014 anche i titolari (imprenditori artigiani iscritti all’albo delle imprese/autonomi, tito-lari di PMI che applicano i CCNL dell’artigianato, soci di imprese artigiane, collabo-ratori di imprese artigiane) – la cui quota annua di adesione è pari a 295 Euro – possono estendere la copertura alla propria famiglia. Per familiari di titolari e lavoratori si intendono: il coniuge (anche se separato) o il convivente more uxorio, i figli a carico minori di 18 anni con un reddito da lavoro inferiore ai 6.000 Euro annui al lordo degli oneri deducibili, i figli di età compresa tra i 18 e i 30 anni purché disoccupati o inoccupati con un reddito da lavoro sempre inferiore ai 6.000 Euro annui, compresi ovviamente i figli minori legalmente affidati. L’iscrizione dei familiari comporta un versamento annuale che varia in funzione del profilo del beneficiario: 175 Euro per il coniuge/convivente more uxorio fino a 67 anni, 110 Euro per ogni figlio fino a 14 anni, 175 euro per ogni figlio da 15 anni a 18 anni (30 anni se a carico).


Che cosa offre e come funziona

I rimborsi e, in parte, l’erogazione delle prestazioni, sono gestiti da UniSalute, assicurazione sanitaria fondata dal Gruppo Unipol nel 1995, prima in Italia per numero di clienti e leader nazionale nella gestione dei Fondi nazionali di categoria, delle Casse Professionali e delle Casse aziendali.

Attraverso la gestione di UniSalute, San.Arti mette a disposizione dei suoi iscritti un sistema di convenzionamenti con strutture sanitarie private (centri diagnostici, case di cura, ospedali, centri odontoiatrici e fisioterapici) presenti su tutto il territorio nazionale e al cui elenco è possibile accedere attraverso il sito del Fondo. Rivolgendosi alla rete convenzionata, l’iscritto ha come principale vantaggio quello di non essere soggetto ad alcun esborso diretto di denaro poiché i paga-menti delle prestazioni avvengono direttamente tra il Fondo, UniSalute e la strut-tura convenzionata (secondo il cosiddetto "modello contrattuale"). È comunque garantito all’iscritto un ampio ventaglio di scelta nella definizione del proprio iter di cura. È prevista infatti la possibilità di avvalersi anche di strutture sanitarie private non convenzionate con il gruppo assicurativo: in questo caso il rimborso non sarà integrale, ma parziale, secondo percentuali che variano in base alla presta-zione richiesta. Se l’iscritto decide invece di utilizzare il Servizio Sanitario Nazionale, che, direttamente o attraverso strutture private accreditate, continua a mettere a disposizione dei cittadini ottime soluzioni di cura in moltissime specialità, il Fondo provvede al rimborso integrale delle spese anticipate per il pagamento di eventuali ticket sanitari.

Le spese sanitarie coperte dal fondo sono numerose (si veda la Tabella 1): vanno dalle spese sostenute in caso di ricovero per intervento chirurgico a quelle per visite specialistiche, dai ticket per accertamenti diagnostici e pronto soccorso al cosiddetto “pacchetto maternità”, dalle prestazioni odontoiatriche, implantologia e avulsioni a prestazioni diagnostiche particolari, dalla prevenzione della sindrome metabolica all’assistenza in caso di grave inabilità. Seguendo la tipizzazione proposta da RBM Salute et al. (2012)3, le prestazioni previste dal Piano Sanitario di San.Arti possono essere ricondotte a sei diversi tipi: la diagnostica e le terapie ad alta specializzazione possono infatti essere classificate come prestazioni “di fre-quenza” e “sostitutive”; il pagamento delle spese sostenute per grandi interventi chirurgici può invece essere considerato una prestazione “di rischio”, “comple-mentare” o “sostitutiva”, a seconda che l’intervento sia realizzato nell’ambito del SSN o in una struttura esterna; le prestazioni odontoiatriche sono invece effetti-vamente “integrative” di quanto offerto dal Servizio Sanitario Nazionale, e posso-no essere “di frequenza” (come le sedute di igiene orale) o “di rischio” (se com-portano un intervento chirurgico); infine, il rimborso dei ticket si configura come un esempio di prestazione “complementare” e “di frequenza”.
 

Tabella 1 – San.Arti: le prestazioni incluse nel piano sanitario (clicca per ingrandire)



 

La copertura: variazioni territoriali

Secondo i dati più aggiornati, gli iscritti al Fondo degli artigiani sono oggi più di mezzo milione, di cui risulta effettivamente "pagante" circa il 90%. Nonostante l’obbligatorietà dell’iscrizione dei dipendenti da parte delle imprese, si segnala un fortissimo squilibrio territoriale nei tassi di adesione: mentre nelle regioni del Nord è stato ormai raggiunto l’85-90% del bacino "obiettivo", le percentuali crollano intorno al 10-15% nelle regioni del Mezzogiorno. Alcuni dati aiutano a esemplificare la situazione: nella sola provincia di Cuneo si registrano circa 11.000 iscritti a fronte dei circa 6.000 in tutta la Sardegna, che pure si colloca fra le regioni meridionali più virtuose (con circa il 25% del bacino già raggiunto). Proprio per sanare questo divario, il Fondo sta mettendo in campo diverse iniziative, mirate in particolare a sensibilizzare sul tema i consulenti del lavoro, importante anello della catena di trasmissione agli imprenditori artigiani delle informazioni relative ai vantaggi derivanti dall’adesione.

Quanto alle prestazioni effettivamente erogate a favore dei dipendenti, sono state circa 50.000 nel corso del 2014, primo effettivo anno di attività, mentre i primi dati del 2015 segnalano un incremento tendenziale di oltre il 25%. Anche su questo fronte vanno rilevati forti margini di crescita per le Regioni meridionali. Ad oggi, infatti, mentre in alcune regioni del Nord e del Centro si registra un consumo di prestazioni proporzionalmente maggiore alle rispettive percentuali di iscritti, nei territori del Mezzogiorno e delle isole si verifica il fenomeno opposto, con un sottoconsumo delle prestazioni rispetto al già basso numero di iscritti.

Questo fenomeno può in parte essere ricondotto al diverso stato di avanzamento, nelle varie regioni, nello sviluppo dei cosiddetti "sportelli territoriali". Le Parti Sociali, infatti, oltre a mettere in campo diverse campagne informative per accrescere l’effettiva conoscenza del Fondo da parte di lavoratori e datori di lavoro, hanno anche cominciato ad aprire nei territori una serie di sportelli, grazie a una procedura di convenzionamento con San.Arti. Le sedi locali delle parti firmatarie possono così trasformarsi, in determinati giorni e orari della settimana, in canali di informazione e accesso agevolato al Fondo per gli interessati (lavoratori, ma anche familiari e datori di lavoro). Uno strumento, quello degli sportelli, particolarmente utile in un settore in cui i canali informativi tradizionali (come l’organizzazione di assemblee e la distribuzione di volantini) sono una strada spesso non facilmente praticabile a causa delle ridottissime dimensioni aziendali. Gli sportelli dovrebbero aiutare in particolare le adesione volontarie, che, secondo gli ultimi dati disponibili, si aggirano intorno alle 1.400: un dato considerato al di sotto delle aspettative da Roberto Benaglia, della Segreteria CISL Lombardia, e difeso invece da Massimo Nozzi, direttore del Fondo, che invita a valutarlo tenendo presente la durata della prima campagna d’iscrizioni che nel 2014 è stata limitata a non più di 60 giorni , soprattutto in una fase (novembre 2014-prima metà del gennaio 2015) in cui pochissimi sportelli erano già operativi. Va inoltre considerata la complessità della procedura informatica necessaria per l’iscrizione.

Come si osserva facilmente nella cartina presente sul sito del Fondo, finora anche lo sviluppo di questi sportelli ha interessato prevalentemente le regioni del Nord, in particolare la Lombardia, dove gli sportelli attivi sono oltre 130; seguono il Piemonte, con più di 30 sportelli, e l’Emilia, dove se ne contano più di 20. La proliferazione degli sportelli in Lombardia può essere ricondotta non solo al maggiore attivismo delle parti, ma anche – come spiega Benaglia – all’adozione di un modello più "competitivo": mentre in Piemonte, ad esempio, le parti sociali hanno cercato di assicurare una copertura il più possibile omogenea del territorio regionale dividendosi il lavoro, lo stesso obiettivo è stato perseguito in Lombardia attraverso l’apertura di più sportelli, che, secondo Benaglia, possono così entrare in "sana competizione" l’uno con l’altro. Nei primi due mesi di attività, si sono rivolti a questi sportelli circa 500 lavoratori per richiedere assistenza. Risalta infine l’assenza, almeno per ora, di sportelli territoriali in Veneto. In questa regione San.Arti deve competere con un fondo integrativo di scala regionale (denominato SAN.IN.VENETO), che si pone come alternativo a quello nazionale: un caso simile a quello di Trento (dove opera SANI3) e di Bolzano (con Sanifonds), e opposto – come avremo modo di approfondire – a quello lombardo, dove un fondo regionale per gli artigiani interverrà a integrazione di San.Arti (della genesi di questo fondo Secondo Welfare si è già occupato nel 2012 e nel 2014). Ulteriori conferme, queste, del fatto che, pur in presenza di una forte cornice nazionale, anche il fenomeno dei fondi sanitari integrativi presenta significative variazioni su scala territoriale.
 

1 CCNL Area Legno e Lapidei, Area Meccanica, Area Tessile-Moda, Area Alimentazione, Area Tessile Abbigliamento Calzature (TAC) PMI, Area Acconciatura ed Estetica, Area Chimica Ceramica, Area Chimica Ceramica Piccola Industria, Area Comunicazione, Area Pulizia. 

2 Il Decreto Sacconi (D.M. 27 ottobre 2009), in linea con quanto previsto dal precedente Decreto Turco, definisce come ambiti di intervento sanitario “integrativo”, cui i Fondi che vogliono godere delle agevolazioni fiscali previste dalla legge devono destinare almeno il 20% delle proprie risorse, quelli relativi alle seguenti prestazioni: assistenza odontoiatrica (compresa la fornitura di protesi dentarie), prestazioni di assistenza socio-sanitaria rivolta ai soggetti non autosufficienti e prestazioni finalizzate al recupero della salute di soggetti temporaneamente inabilitati da malattia o infortunio.

Il rapporto curato da RMB Salute et al. (2012) distingue tre tipi di prestazioni: quelle integrative (che corrispondono a quelle rientranti nella soglia di risorse vincolate in base al D.M. 27 ottobre 2009); quelle complementari, integrative ma non rientranti fra quelle vincolate né individuate dal Decreto Sacconi; infine, quelle sostitutive, cioè fornite in alternativa al SSN, essendo ricomprese nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). A loro volta, questi tre tipi di prestazioni possono essere classificati come "di rischio" o "di frequenza", a seconda che rendano necessario il ricovero ospedaliero o che siano comunque caratterizzate da bassa probabilità di accadimento (le prime) o che, viceversa, non comportino il ricovero ospedaliero e siano comunque caratterizzate da alta probabilità (le seconde).


Riferimenti

ISTAT – Istituto Nazionale di Statistica (2014), Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari, Roma

Pavolini, E., Neri, S., Cecconi, S., Fioretti, I. (2012), "L’esperienza dei fondi sanitari in Italia tra luci e ombre", Paper for the Espanet Conference "Risposte alla crisi. Esperienze, proposte e politiche di welfare in Italia e in Europa", Roma, 20 – 22 Settembre 2012

RBM Salute, Munich Health e Censis (2012), I Fondi Sanitari tra integrazione, sostituzione e complementarietà

WHO – World Health Organization (2015), Global Health Expenditure Database – Health Expenditure Indicators

Il sito di San.Arti.


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