La questione della misurazione dell’impatto sociale è tanto attuale quanto complessa. La popolarità del dibattito, per certi versi benvenuta, porta tuttavia con sé una certa superficialità, mascherata da desiderio di praticità e pragmatismo, che non può giovare alla comprensione di un tema così sfaccettato, controverso e articolato su molteplici piani di analisi. La tesi di questa breve riflessione del gruppo di ricerca di Tiresia è che si stiano cercando soluzioni pratiche al problema specifico di misurare l’impatto dimenticando che esistono alcuni nodi strutturali di ordine superiore non risolti, rispetto ai quali l’intervento pubblico può offrire un contributo significativo.


Il peso delle pratiche di misurazione

In primo luogo è opportuno, a nostro parere, sterilizzare qualunque velleità di attribuire all’esercizio di misurazione di impatto proprietà ordinatrici o qualificanti dell’azione sociale. I valori personali, gli statuti morali, i principi fondativi dell’iniziativa sociale, con i connessi meccanismi reputazionali, hanno sempre rappresentato un principio disciplinante degli obiettivi dell’azione sociale e preesistono alla necessità di misurare l’impatto con tecnicalità quantitative. Non sempre con successo, certamente, poiché talvolta l’opportunismo e i comportamenti distorsivi hanno prevalso, ma non per questo vi è ragione di sostenere che la misurazione di impatto possa farsi carico – di per sé – di porre rimedio a tali distorsioni e di disciplinare i comportamenti dei singoli.

Al contrario, è forse più interessante interrogarsi sull’ipotesi opposta, che l’introduzione di pratiche di misurazione sia essa stessa una potenziale minaccia per gli elementi fondativi virtuosi dell’impresa sociale, finendo per far prevalere logiche esterne ed aliene ai valori costituivi della stessa. Ciò non costituisce naturalmente un pregiudizio sfavorevole alla misurazione, quanto piuttosto un tentativo di liberare l’esercizio di misurazione da un peso ed un ruolo che non gli sono propri.


Misurazione e modelli di finanziamento

La riflessione è particolarmente rilevante in un momento nel quale è plausibile che numerosi elementi esterni rendano inevitabile ed estesa la pratica della misurazione di impatto sociale: il tentativo della PA di reingegnerizzare i propri schemi di procurement nel segno del outcome-based, l’emergere di strumenti ed operatori di finanza ad impatto sociale, la volontà delle fondazioni di origine bancaria di far evolvere il loro modello erogativo e naturalmente il fatto che i futuri decreti attuativi della riforma del terzo settore, per la parte specifica dedicata all’impresa sociale, introdurranno qualche forma di cogenza dell’esercizio di misurazione.

Tutti elementi, questi, che accrescono la necessità di esplicitare in senso quantitativo il valore sociale generato. In particolare, è innegabile che il dibattito sulla misurazione dell’impatto sociale abbia avuto un’accelerazione in corrispondenza dell’enfasi che negli ultimi mesi si è data al tema della finanza ad impatto sociale e ai modelli di finanziamento outcome-based o pay-for-results, sia di origine pubblica sia di origine privata. Quest’ultima considerazione suggerisce un primo insieme di riflessioni che riguarda l’effetto indiretto esercitato dalla misurazione, in quanto indotta dal rapporto tra finanziatore – pubblico o privato – e finanziato.

Tutti gli strumenti di finanza di impatto hanno come sottostante un sistema di obiettivi di impatto misurabili: la questione cruciale è come venga tradotta in pratica la misurazione degli stessi, chi li definisca e quali comportamenti inducano nel soggetto finanziato. La misurazione di impatto è solo in superficie un esercizio neutro, definito da elementi di mera tecnicalità; più in profondità, le modalità di misurazione sono la proprietà emergente di un complesso bilanciamento di interessi tra finanziatori e finanziati. Ed è proprio all’esito di tale complesso di bilanciamento di interessi che comprenderemo se, di volta in volta, la misurazione di impatto sia destinata a produrre effetti virtuosi o viziosi. E’ evidente che molto dipenderà dalla distribuzione del bargaining-power relativo tra finanziatore e finanziato, che determinerà non solo il livello degli obiettivi fissati su cui basare l’erogazione ma anche e soprattutto la natura stessa dei componenti della misurazione.

Tale osservazione sottolinea anche la legittimità, l’opportunità e l’urgenza del dibattito sulla misurazione: perché se né la ricerca pubblica, né le comunità di pratica, né gli imprenditori sociali si occuperanno di consolidare competenze su questo tema, l’ipotesi alternativa non è che di misurazione si smetta di parlare o che essa perda la sua rilevanza – che insomma ci si liberi del problema – ma piuttosto che siano interessi di tipo differente ed esterni all’impresa sociale a definirne contorni e contenuti. Specificamente, se il tema entrerà nella pratica prevalentemente veicolato dagli interessi degli operatori finanziari non è affatto detto che esso si modelli in modo compatibile con la natura ed i valori costitutivi delle imprese sociali, ancorché ibride.

Naturalmente, a ciò si aggiunge il fatto che un’erogazione finanziaria basata sui risultati determina una riallocazione del rischio tra finanziatore e finanziato. Rispetto ad un modello erogativo puramente filantropico, ad esempio, la modalità basata sulla misurazione dei risultati ridefinisce il rischio da interamente sulle spalle del finanziatore a parzialmente condiviso con il finanziato. Natura e dimensione di questo rischio sono evidentemente altamente correlati con la natura degli indicatori scelti, che a propria volta sono appunto funzione della capacità dell’impresa di porsi in modo consapevole nella negoziazione degli obiettivi e degli strumenti di misurazione. È fondamentale quindi che gli imprenditori sociali, ma più in generale tutti coloro che si rivolgono alla finanza di impatto o a modelli di finanziamento pubblico outcome-based, adottino un approccio robusto e consapevole al problema della misura.


L’accountability nelle imprese ibride

A queste ragioni che inducono a sostenere la necessità di affrontare con determinazione ed urgenza la questione della misurazione di impatto se ne aggiunge una ulteriore che attiene alla governance interna nell’imprenditorialità sociale di nuova generazione, che ambisce a coniugare in modo ibrido obiettivi di impatto sociale e obiettivi economici. A fronte di tale natura ibrida, è evidente che coesisteranno nell’impresa due sistemi di accounting relativi rispettivamente agli obiettivi sociali e a quelli economici.

Ora evidentemente, mentre il secondo vanta tradizione pluridecennale, prassi consolidate, letteratura accademica, sistemi di controllo professionali e soprattutto robustissimi standard internazionali, il primo è invece ancora fragilissimo, fluido e non consolidato. Non è difficile immaginare che questa asimmetria si rifletta in un sistema di incentivi interni per stakeholder e manager altrettanto asimmetrico, a favore naturalmente della dimensione economica. Il rischio è quindi quello di vedere la nuova imprenditoria sociale dichiarare obiettivi blended ed equilibrati, e poi di fatto derivare irrimediabilmente verso la prevalenza della dimensione del profitto, in ragione della diversa efficacia e credibilità dei sistemi di accounting dei risultati economici e sociali.

Ed è per questo insieme di ragioni che riteniamo necessario che il dibattito sulla misurazione di impatto, prima ancora di virare sulla tecnicalità o diventare dominio della pratica, debba affrontare questioni di ordine generale, metodologico e di governance della misura che consentano che dalla composizione dei diversi interessi nascano pratiche virtuose per l’intero ecosistema.


Tre problematiche della misurazione: governance della misura, standard e basi di dati

A questo proposito proponiamo ulteriori spunti di riflessione, in merito a tre questioni: la governance della misura, gli standard di misura e i dati per la misura.

In merito alla prima questione, molti degli strumenti cosiddetti outcome-based (o Pay for Results) si basano sulla esistenza di una terza parte indipendente che certifica, ex-ante, la qualità e la misurabilità degli obiettivi ed ex-post l’effettivo livello di raggiungimento degli stessi. Questo soggetto indipendente ha anche il ruolo di evitare un decadimento della qualità della misura fino al punto di far collassare il portafoglio di indicatori solo su un ristrettissimo insieme definito sulla base della facilità di misurazione, in questo modo privando l’azione sociale della necessaria articolazione di obiettivi e modalità di soluzione dei problemi (uno dei più ovvi rischi, ad esempio, dei tanto citati Social Impact Bonds). Dunque, l’aspetto fondamentale dei sistemi di misurazione a supporto degli strumenti finanziari è la realizzazione di una “trust infrastructure, un’infrastruttura di fiducia funzionale alla misurazione di impatto. Nell’ecosistema italiano questo problema ci sembra di non facile soluzione, in assenza sia dei Trust tipici del sistema anglosassone sia di organizzazioni che costitutivamente abbiano la natura di terze parti indipendenti per svolgere credibilmente e professionalmente il ruolo di intermediario della misurazione.

Il secondo tema che anima le discussioni dei fora nazionali ed internazionali riguarda in senso lato la tecnicalità della misurazione e più in generale gli standard di misurazione. Questo dibattito si sintetizza fondamentalmente in tre sotto-questioni. La prima, strettamente tecnica, riguarda la contrapposizione tra metriche sintetiche e indicatori descrittivi di processo, ovvero ancora nella necessità di valutazioni controfattuali; la seconda, connessa ma di ordine più generale, si riferisce alla capacità o meno di normare ex-ante le modalità di misura: siamo alla ricerca di sistemi di indicatori chiusi, basati su pacchetti predefiniti di indicatori o ci muoveremo verso un sistema aperto basato su linee guida ed indicazioni di reportistica generale? Ad esempio la task force del G7 sulla finanza di impatto ha fortemente suggerito questo seconda strada. Terza questione, infine, è quella relativa alla possibilità di definire indicatori generali ovvero la necessità di andare nella direzione di una specificità settoriale degli indicatori o addirittura verso indicatori transaction-specific. L’evidenza, invero al momento sostanzialmente aneddotica, è che finanziatore e finanziato stabiliscono di volta in volta, in modo quasi sartoriale, gli indicatori di impatto rispetto ad ogni singola transazione. Quest’ultima ipotesi peraltro richiama il più generale tema della possibilità di definire uno standard di misurazione e specificamente di quale debba essere il processo attraverso cui tale standard possa essere definito: de-jure, de-facto o con strumenti di coalizione spontanea tra soggetti privati o pubblico-privati?

Il terzo tema in questo dibattito è quello della disponibilità di dati adeguati alla misurazione. Il principio guida dovrebbe in questo caso essere quello di mantenere un giusto equilibrio tra la sofisticazione dell’indicatore e la qualità dei dati disponibili, per evitare stucchevoli esercizi algebrici o statistici basati su dati poverissimi. Voler commisurare la sofisticazione degli indicatori alla qualità del dato non significa evidentemente abbassare la qualità degli indicatori, ma alzare la qualità dei dati, dove qualità significa non solo disponibilità, ma anche omogeneità, interoperabilità, standardizzazione, e disponibilità dei dati stessi. Non a caso, a livello internazionale, l’OECD ha istituito un gruppo di lavoro specifico finalizzato alla costruzione di grandi basi di dati per la misurazione dell’impatto sociale.

L’analisi di queste tre problematiche – governance, standard e basi di dati – disegna un quadro molto complesso, che rende ragione del fatto che ad oggi non vi siano ancora di fatto pratiche consolidate, omogenee e diffuse.


Quali incentivi?

Molte imprese sociali stanno iniziando oggi a porsi seriamente il problema della misurazione (gli ultimi due sforzi di misurazione dell’impatto sociale in termini temporali sono quelli della società di microcredito PerMicro e della cooperativa sociale For.B), sperimentando diverse strade. D’altronde, l’evidente complessità di questo tema richiederebbe che le imprese venissero accompagnate nello sviluppare le competenze specifiche per la misurazione dell’impatto e incentivate ad allocare risorse a questa pratica. Un incentivo determinante alla diffusione delle pratiche di misurazione dell’impatto sociale è rappresentato dalla diffusione di sistemi di procurement pubblico e di appalto di servizi basati su schemi che incorporano la misurazione del risultato come elemento costitutivo.

Lunghi dall’imporre obblighi, le istituzioni dovrebbero immaginare una soft-governance dei processi attraverso cui si determineranno gli standard di misurazione, con un duplice ruolo. Da un lato, offrendo supporto ai soggetti meno forti, le imprese sociali, nel consolidare competenze e capacità tecniche specifiche, dall’altro facendosi garanti di una composizione di interessi equilibrata ed armonica tra tutti i soggetti in gioco.

E ciò può essere ottenuto, come già accennato, nel solco della consolidata letteratura e pratica della definizione degli standard tecnologici, trovando un bilanciamento tra i due estremi dell’imposizione de-jure e della spontanea definizione de-facto del mercato: quindi strumenti di governance intermedia, coalizioni pubblico-privato, che coinvolgano associazionismo, organizzazioni di ricerca, singole imprese e finanziatori pubblici e privati, permettendo di arrivare alla definizione di standard sufficientemente eterogenei ed aperti, ma condivisi e generati attraverso un processo partecipativo. Naturalmente, senza proporsi come obiettivo la definizione di pacchetti di indicatori prêt-à-porter ma linee guida larghe ispirate a principi di informatività, misurabilità, chiarezza e trasparenza.


Il contributo delle politiche

In sintesi, da questa riflessione emerge qualche possibile spunto sul ruolo delle politiche rispetto ai tre temi analizzati. In termini di governance, il soggetto pubblico potrebbe preoccuparsi di favorire la nascita o lo sviluppo di organizzazioni con caratteristiche compatibili al ruolo di terza parte indipendente nella misurazione; in termini di tecnicalità, potrebbe essere regista del processo partecipato di definizione di standard di misurazione e promuoverne la diffusione tramite il rinnovamento dei propri sistemi di procurement, includendo criteri di misurazione dell’impatto sociale; infine, potrebbe farsi promotore della costruzione di basi di dati adeguate alle necessità di misurazione dell’impatto, investendo nel rilascio aperto di dati pubblici, armonizzando e rendendo interoperabili le fonti e sviluppando schemi di partenariato pubblico-privato che agevolino il rilascio e l’integrazione di dati provenienti dal settore privato con quelli di origine pubblica.