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Uno dei temi centrali del dibattito sul lavoro in Italia è ormai, da tempo, quello relativo allo sviluppo ed alla diffusione delle prassi di Welfare Aziendale (WA). Nuova linfa è giunta con i recenti interventi normativi (L. 208/2015 e L. 232/2016) con i quali è stata ampliata la gamma dei servizi inseribili nel quadro dei Piani di Welfare Aziendale (PWA) e le prassi sono oggi sempre più diffuse e maggiormente rispondenti ai bisogni espressi dai lavoratori e dalle loro famiglie, così come più agevole è diventata la concreta attivazione e la pratica fruizione dei servizi che compongono il paniere dei benefici “sociali” che un numero crescente d’imprese concede ai propri dipendenti.

Ad uscire rafforzata dalla recente novella del TUIR e dalla reintroduzione (stavolta strutturale) della disciplina dei Premi di Risultato (PdR) è la contrattazione di secondo livello sulla quale poggiano buona parte degli interventi sin qui effettuati in ambito aziendale (benché anche i CCNL comincino a farsi promotori diretti di questa importante componente delle relazioni industriali: Federmeccanica docet).

Numerose, infine, sono le best practice divenute oggetto di commento in numerosi convegni e nella ormai ricca letteratura formatasi sull’argomento. Ma il WA non è solo questo: ad incidere sul suo sviluppo e in qualche misura sulla sua fruibilità c’è anche altro ed in particolare il variegato mondo dei cd. “Servizi di Supporto al Welfare Aziendale” (SSWA).

Cresce un nuovo mercato

Lo sviluppo di questi ultimi servizi è un’altra cartina di tornasole del costante progresso delle pratiche di welfare d’impresa ed anzi, la numerosità degli operatori che offrono tali servizi è ormai tale da identificare un vero e proprio mercato, con dinamiche, regole ed interessi ben precisi. Si tratta, quindi, realmente di un nuovo canale di business che ha attirato negli ultimi anni un crescente numero di operatori (nazionali e non) provenienti da settori anche molto diversi tra loro, ma pur sempre accomunati dall’avere qualche sinergico “aggancio” con le tematiche di HR management.

Sono, così, entrati in questo mercato player provenienti dal settore del brokeraggio assicurativo, del payroll e dell’emissione di voucher finalizzati all’acquisto di beni e servizi attinenti il WA. Più recentemente, poi, hanno fatto il loro debutto in questa nuova arena competitiva anche alcune delle più organizzate realtà del Terzo Settore: quelle che hanno compreso come, in fondo, fosse breve la distanza tra “fare welfare”, erogandone i servizi più tipici, e proporsi come operatori gestionali non più solo nell’ambito del welfare pubblico, ma anche in quello aziendale (in merito al ruolo del Terzo Settore posso si può segnalare questo approfondimento).

Tutte le realtà sin qui citate sono follower di alcuni precursori del settore, ossia di quelle imprese che, per prime, anni or sono, hanno creduto nello sviluppo del WA ed hanno intuito che sarebbe stato vincente proporre alle aziende soluzioni basate sulla tecnologia informatica (in particolare Internet) per semplificare la gestione dei PWA grazie all’uso di applicazioni web-based per l’accesso ai diversi servizi e per la rendicontazione delle transazioni generate dalla loro fruizione (si tratta dei cd. “portali” che rappresentano il core-business dei provider puri, ossia di quelle imprese nate e tuttora ben concentrate sullo sviluppo di questo tipo di soluzione gestionale).

A questo mercato, espressione, dunque, di una pluralità di “voci”, si rivolge un crescente numero d’imprese interessate ad ottimizzare l’operatività delle proprie iniziative di WA e/o di flexible benefit. Fino a qualche anno fa l’utilizzazione di un “portale” era riscontrabile solo in presenza di PWA realizzati nelle grandi aziende, mentre oggi questa soluzione è acquistata anche da medie imprese e sono già disponibili versioni semplificate che iniziano ad intercettare la domanda proveniente da quelle di piccola dimensione. Del resto, al crescere della concorrenza tra i player, una volta occupate le poche “caselle” disponibili presso le grandi aziende presenti in Italia, è stato inevitabile rivolgersi al cuore del nostro tessuto produttivo che, per la quasi totalità delle realtà presenti, è rappresentato appunto dalle PMI.

All’attività di questi operatori possiamo riconoscere (o almeno pensiamo che dovrebbe averla) anche una funzione “culturale”: non v’è dubbio, infatti, che la loro azione di prospezione commerciale propaghi nelle imprese italiane la conoscenza del WA, alimentandone la diffusione anche grazie alla semplificazione dei processi gestionali (spesso vissuti dalle PMI come complessi e costosi ed invece oggettivamente semplificabili ed oggi forse anche meno cari di un tempo proprio per l’accresciuta competizione che si registra nel settore dei SSWA).


L’appalto ENI: i numeri

Il WA, insomma, è ormai espressione (anche) di un vero e proprio “settore” di mercato ad esso connesso e come in ogni mercato che si rispetti anche in questo fanno la loro comparsa le prime gare d’appalto private indette dalle grandi aziende, le quali devono seguire precise linee-guida nella loro attività di procurement (sono in sostanza tenute, per policy interna, ad esplorare i mercati cui si rivolgono mettendo in competizione i potenziali fornitori di beni e servizi di cui esse necessitano).

Una delle più rilevanti gare che ha riguardato il settore di cui parliamo è quella recentemente indetta da ENI. Prima di entrare nei dettagli della gara occorre avere un’idea dei numeri che “girano” intorno a questo tender. Saranno ben 19.000 (dei 23.000 complessivi in Italia) i lavoratori del colosso petrolifero che beneficeranno dei flexible benefit fruibili con il riconoscimento, nel corso di quest’anno, del Premio di Risultato (PdR) relativo all’esercizio finanziario 2016.

Complessivamente (ancorché solo potenzialmente perché la conversione del PdR in servizi di WA, come previsto dalla L. 208/2015, è rimessa alla scelta dei singoli lavoratori) si tratta di un programma che potrebbe valere (il condizionale, come si capirà più oltre, è assolutamente d’obbligo) quasi 40,5 milioni di euro l’anno: una cifra tra le più rilevanti sinora registrate per iniziative di questo tipo (anche il valore medio unitario del PdR, pari a 2.130 euro, è superiore alla media nazionale).

Per gestire un progetto di queste dimensioni (il piano avrà durata biennale, quindi a regime si potrebbe trattare di un volume di oltre 80 milioni di euro), ENI ha indetto una complessa gara d’appalto cui, immaginiamo, parteciperanno tutti i principali player del settore dei SSWA che non vorranno certo lasciarsi sfuggire un contratto di questa importanza (economica e commerciale ad un tempo).

Ai partecipanti è stato chiesto di presentare un articolato progetto tecnico per l’attivazione di un “portale” che consenta la rendicontazione e l’accesso ai servizi che compongono il pacchetto dei benefit previsti dall’azienda ai quali si affiancherà una serie di convenzioni (sconti su beni e servizi) accessibili su tutto il territorio nazionale, anch’esse da proporre e gestire online tramite il “portale”. Infine, completerà l’offerta resa in tal modo disponibile ai lavoratori, l’inserimento nel “menu” (anch’esso disponibile online) delle iniziative di WA già esistenti in ENI ed il cui sviluppo è quasi parallelo all’evoluzione del gruppo petrolifero.


ENI: un po’ di storia…

L’ENI, infatti, è un esempio storico di eccellenza nel campo del WA: le prime esperienze risalgono a tempi pionieristici del welfare d’impresa (prima metà del ‘900) che, insieme ad altre “grandi firme” (FIAT, Montecatini, Marzotto, per citarne solo alcune), vedevano all’epoca tra i protagonisti più attivi anche l’AGIP (poi acquisita dall’ENI nel 1953).

Notevole impulso a queste iniziative, nel solco di quanto avvenuto negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso, lo si dovrà ad Enrico Mattei (liquidatore dell’AGIP e poi fondatore dell’ENI): basti pensare alla costruzione di Metanapoli e allo sviluppo della company town di San Donato Milanese con servizi collettivi come asili, mense, cinema, centri sportivi e colonie in ciò riprendendo e sviluppando quanto già realizzato dall’AGIP durante il ventennio fascista nel corso del quale presero avvio buona parte delle pratiche e dei servizi che oggi definiamo con la locuzione “Welfare Aziendale” (lo stesso TUIR, fino a prima della recente novella, faceva ancora espresso riferimento ad alcuni istituti risalenti a questa fase, come le “colonie climatiche” nelle quali proprio l’AGIP era all’avanguardia con la struttura eretta a Cesenatico e presso la quale, oggi, stanno trovando ricovero alcune famiglie vittime del terremoto di Amatrice).

A quasi un secolo dalla nascita della sua “cellula” originaria (l’AGIP venne fondata nel 1926) l’ENI può giustamente sostenere, come fa scrivendolo sul suo sito internet, che essa “investe nel welfare aziendale da sempre” seguendo, nei confronti delle esigenze delle persone che vi lavorano, una policy che nel corso di tutti questi decenni è rimasta, sostanzialmente, sempre la stessa: “supportare la vita professionale e privata dei dipendenti” riconoscendo in essi “il patrimonio fondamentale” dell’azienda.

L’appalto ENI: sintesi del programma

Sono la famiglia (nido aziendale, soggiorni estivi, attività ludiche e sportive per i figli dei dipendenti), la salute (screening di prevenzione e check-up), il benessere (ristorazione aziendale, cura degli ambienti di lavoro, abbonamenti a palestre) e il risparmio (convenzioni con sconti per viaggi, attività ricreative e culturali, shopping, servizi finanziari e assicurativi) le quattro grandi aree d’intervento che qualificano il WA di ENI. Questo insieme di attività (delle quali possono beneficiare tutti i lavoratori e i loro familiari), sarà a breve integrato dai servizi accessibili in modalità flexible dopo la conversione (totale o parziale) del PdR e ciò, appunto, tramite il “portale” che l’aggiudicatario della gara dovrà realizzare.

Si tratta, senza dubbio, di una delle principali commesse sin qui registrate dal mercato dei SSWA, la cui complessità investe sia aspetti tecnologici (interfacciamento con i sistemi di gestione del payroll di tutte le diverse società del gruppo ENI, integrazione dei servizi esistenti e del network di fornitori già convenzionati, elaborazione di periodici report per la rendicontazione e l’analisi dell’andamento della fruizione dei singoli servizi suddivisi per centro di costo e profilando i singoli utilizzatori), sia aspetti commerciali (basti pensare al fatto che il network degli erogatori dei singoli servizi oggetto del pacchetto benefit dovrà essere in grado di coprire tutto il territorio nazionale).

Anche il programma di comunicazione delle iniziative (che è uno dei cardini per la riuscita di ogni PWA e per il quale ai partecipanti è stata richiesta la presentazione di una specifica sezione del progetto complessivo) rappresenta un elemento di complessità perché non solo dovrà essere coordinato con la solida (e storica) cultura aziendale sottostante, ma dovrà riferirsi, oltre che alla fase di start-up del progetto, anche a ciascuna iniziativa di WA, descrivendone i contenuti, gli aspetti normativi e le modalità di corretta fruizione, differenziando la comunicazione in funzione dei diversi target finali (segmentabili per età, categoria contrattuale, genere, ecc.).

La tecnologia potrà fornire la soluzione più adatta anche in relazione alla richiesta esplicitata da ENI di realizzare una raccolta dei feedback generati dalla fruizione dei differenti servizi (una sorta di customer satisfaction survey continua che potrebbe anche far pensare alla costruzione di un ranking dei partner convenzionati realizzato con i “like” espressi dai beneficiari del programma).

L’appalto ENI: i criteri di aggiudicazione (parte economica)

Fin qui si è parlato delle grandi linee del progetto. Ma sulla base di quali criteri verrà assegnato questo importante contratto? Su questo il tender fa emergere qualche incertezza forse inevitabile, trattandosi di una delle prime procedure di gara rivolte a questo tipo di servizi e vieppiù caratterizzata dalle complessità cui s’è fatto cenno (oltre che dai rilevanti volumi economici potenzialmente “in gioco”).

Il contratto sarà assegnato sulla base di un punteggio attribuito al progetto presentato da ciascun competitore che, una volta associato all’entità economica dell’offerta presentata, darà luogo a dei valori che saranno tra loro confrontati per individuare la proposta complessivamente vincente sul piano tecnico, gestionale ed economico. Per la parte economica i concorrenti dovranno indicare, oltre all’importo richiesto per lo start-up del “portale” e la realizzazione del piano di comunicazione, la misura percentuale della fee di gestione da essi applicata sul “volume transato” (ossia il volume economico dei servizi che saranno rendicontati tramite il “portale”).

Proprio qui si annida una prima rilevante criticità: la “base di gara”, ossia il valore presunto del “volume transato”, non è (perché non può esserlo, come vedremo) pari all’importo di 40 milioni di euro l’anno che ENI ha indicato come valore-base teorico. Nondimeno è ad esso che il singolo concorrente ha dovuto far riferimento per definire la sua offerta che, per non essere diseconomica, dovrà ovviamente essere in grado di “coprire” i costi operativi (che immaginiamo saranno rilevanti) e far residuare un congruo margine di profitto. Ovviamente, per arrivare a questo equilibrio, occorre conoscere – od almeno stimare con ragionevole certezza – i ricavi derivanti dalla gestione della commessa, il che in questo caso è alquanto complesso.

Perché quella “base di gara” non può rappresentare il valore (neppure presunto) del “volume transato”? Semplice: perché quel volume è per definizione, ad oggi, ancora del tutto incerto e potrà essere determinato solo dopo l’aggiudicazione della gara in quanto dipenderà:

  • dal numero effettivo di lavoratori che presceglieranno la conversione del PdR in flexible benefit (il che sarà reso noto solo dopo che il “portale” sarà stato realizzato);
  • alla quota percentuale del PdR che verrà liberamente convertita da ciascun beneficiario che presceglierà di “welfarizzarlo” con i servizi che individuerà accedendo al “portale” dopo che questo gli sarà stato messo a disposizione (ed a pesare, qui, sarà sia la “categoria” di appartenenza del singolo lavoratore – atteso che il PdR ha un valore diverso a seconda che ci si riferisca ad impiegati, operai o a quadri aziendali – sia il diverso contesto personale e familiare nel quale si troverà ciascuno dei beneficiari).

Non conoscere il dato (almeno ragionevolmente presumibile) del “volume transato” e purtuttavia aver dovuto predisporre un’offerta economica per gestire questo rilevante appalto, immaginiamo sia stato un po’ come navigare in mare aperto senza una bussola e con il cielo coperto dalle nuvole.

L’ENI, tuttavia, va detto con chiarezza, non poteva dare un’indicazione diversa da quella che ha fornito perché non disponeva di una pregressa base storica di dati di questa natura in quanto questa è la prima tornata di erogazione dei PdR sulla base dell’applicazione della nuova disciplina, così come definita dalla Legge di Stabilità 2016. Proprio per questo, però, potevano forse esserci altre strade che, ad esempio, con l’introduzione di possibili correttivi ex post, avrebbero consentito di salvaguardare gli equilibri gestionali del contratto (ove se ne manifestasse la necessità in corso d’opera).

Peraltro ENI, come hanno già fatto altre aziende attente alle loro persone contrattando con le OO.SS. il “salario di produttività”, potrebbe anche stimolare la conversione del PdR attraverso opportune incentivazioni che “restituiscano” al lavoratore parte del saving contributivo che il PdR “welfarizzato” genererà: una condizione non impossibile, magari realizzabile con il prossimo integrativo e che avrebbe anche il pregio di avvicinare il valore presunto del “volume transato” ad un importo più realistico e consistente, favorendo maggiormente le economie di scala necessarie al conto economico dell’appaltatore dei servizi gestionali oggetto della gara.

L’appalto ENI: i criteri di aggiudicazione (parte tecnica)

Quanto alla parte tecnica del progetto da presentare, uno degli elementi che saranno oggetto di attenta valutazione è rappresentato dall’expertise del candidato (espressa, tra l’altro, dal numero delle transazioni complessivamente gestite per l’erogazione dei servizi di WA).

Questa parte della “griglia” di valutazione evidenzia un altro aspetto delicato che, pare, aver sollevato più di una critica da parte di alcuni partecipanti: ENI, infatti, ha precisato che per la valutazione dell’esperienza tecnico-professionale dell’offerente non sarebbe stata presa in considerazione l’expertise eventualmente maturata nel settore dell’emissione dei voucher destinati ai fringe benefit (che del resto ENI, almeno al momento, non prevede di utilizzare, ma che pure sono una delle modalità di possibile fruizione dei flexible benefit prevista dalla normativa fiscale dopo la novella dell’Art. 51 del TUIR operata dalla L. 208/2015).

Facile immaginare chi possa aver storto il naso: gli emettitori dei titoli di legittimazione. Meno critici sono stati, invece, quegli operatori che non dispongono di questa formula di servizio o che se ne avvalgono solo come completamento di un diverso core-business tutto incentrato sull’attivazione di “portali” dedicati alla gestione dei PWA.

Analogamente escluso dalla valutazione di cui sopra è anche il curriculum esperienziale rappresentato dai contratti attivi aventi ad oggetto pacchetti assicurativi per il che si sarebbero un po’ piccati gli operatori di questo settore la cui expertise non potrà essere espressa facendo valere i volumi generati dalla vendita di “coperture” le quali, invece, rientrano, a pieno titolo, nel novero dei servizi di rilievo per il WA (si pensi alla sanità integrativa).

Questi ed altri temi hanno formato oggetto di numerosi quesiti cui ENI ci risulta abbia risposto con puntualità ed evidente spirito di collaborazione, forse anch’essa conscia del fatto che alcuni importanti aspetti di carattere tecnico e gestionale, in questa sua prima esperienza, erano rimasti un po’ sullo sfondo. Il dialogo in tal modo attivatosi con i competitor ha permesso di ricostruire con maggiore precisione lo scenario complessivo, verosimilmente aiutando i partecipanti nella stesura delle proprie offerte, pur essendo rimasta del tutto aperta la questione del “volume transato” per la cui stima le imprese avranno fatto affidamento sul bagaglio delle proprie esperienze e capacità predittive.

Sviluppo dei SSWA e ruolo delle grandi imprese committenti

Quelle appena descritte sono tutte evidenze di una fase, evidentemente, ancora iniziale che queste prime gare stanno vivendo e che, in futuro, una più robusta conoscenza del settore dei SSWA potrà rendere maggiormente aperte al confronto tra le diverse capacità tecniche che i player (provenienti da settori di business molto diversi fra loro) esprimono. Un mercato relativamente “nuovo” come quello dei SSWA, proprio perché sono ancora pochissimi i buyer che ne abbiano già un’approfondita conoscenza, andrebbe forse più “ascoltato”, coinvolto e tenuto in considerazione all’avvio del percorso che conduce alla definizione delle regole di questo tipo di appalti.

Le grandi aziende hanno avuto e hanno tuttora un ruolo fondamentale nello sviluppo del welfare aziendale: esse hanno ed avranno in futuro un non meno rilevante ruolo anche nello sviluppo del mercato dei servizi di supporto che, nell’interesse degli stessi datori di lavoro committenti, dev’essere da essi ben conosciuto e considerato e ciò anche per la sua notevole “biodiversità” destinata, per di più, ad ampliarsi in futuro con l’ingresso nell’arena competitiva delle compagnie assicurative, forse delle banche e certamente del soggetto verosimilmente più titolato di tutti a “fare welfare” e a proporre servizi di supporto per la sua gestione: alludiamo alle realtà più avanzate e strutturate dell’imprenditoria sociale che si stanno organizzando per intercettare, dopo quella pubblica (il cui finanziamento è in contrazione), anche la domanda aziendale privata dei servizi di welfare (la cui crescita è stata – e sarà anche nei prossimi anni – decisamente rilevante).

La gara ENI, pur con i limiti suindicati, è una tappa importante di questo percorso di conoscenza e a questa grande azienda italiana, davvero antesignana del WA nel nostro Paese, dev’essere riconosciuto il merito di aver allestito un tender certamente destinato, specie nelle sue prossime edizioni, a farla diventare (è il nostro augurio) una best-practice che, dopo quella concernente i contenuti del welfare in azienda, ne farà una delle principali anche in ordine all’individuazione dei più opportuni criteri tecnici ed economici per la selezione del fornitore chiamato all’allestimento dei relativi servizi di supporto. Senza mai dimenticare che la loro fruizione ha come destinatario “il patrimonio fondamentale” dell’azienda (le persone che vi lavorano) e che, quindi, gli elementi qualitativi dovranno sempre prevalere su quelli economici: il welfare aziendale e i servizi a supporto della sua corretta e piena fruizione certamente non sono, né devono diventare in futuro, una semplice commodity.