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I primi nove operatori nel campo dei servizi di welfare aziendale hanno costituito AIWA, Associazione Italiana Welfare Aziendale. Si tratta di Aon Hewitt, Cir-Food, Day, Easy Welfare, Edenred, Eudaimon, Mercer, Sodexo e Willis Towers Watson. Il loro scopo – come avevamo già anticipato qui – è quello di promuovere la cultura del welfare, del wellness e del wellbeing delle persone in azienda, accompagnando il corretto sviluppo di di qualle che è considerata una delle più moderne leve di valorizzazione dei dipendenti e, di conseguenza, di incremento della competitività aziendale.

I membri dell’Associazione hanno scelto come Presidente Emmanuele Massagli, già Presidente di ADAPT e docente di Pedagogia del Lavoro e di Welfare della Persona all’Università degli Studi di Bergamo. Lo abbiamo intervistato con lo scopo di conoscere i principali obiettivi di AIWA.


Gentile Professor Massagli, quali sono i principali obiettivi che le società provider di welfare si sono poste al momento della fondazione di questa associazione?

Lo scopo principale dell’Associazione è quello di “fare cultura” sul tema del welfare aziendale. Il nostro intento quindi è quello di informare le imprese e tutti gli altri soggetti interessati in merito ad una tematica complessa che negli ultimi anni ha conosciuto una forte espansione, anche grazie agli interventi previsti dalle Leggi di Stabilità 2016 e 2017.

Considerando proprio questa rapida diffusione, pensiamo che il rischio principale che questo fenomeno possa correre sia quello di una crescita disordinata e disomogenea: sia da un punto di vista normativo, sia da un punto di vista culturale. Per evitare ciò, con lo scopo di contribuire alla corretta crescita di un settore appena nato, è sembrato utile ai principali operatori del settore fondare una realtà che potesse parlare a nome di tutti. Questa realtà è appunto AIWA, la quale si candida ad essere l’interlocutore privilegiato di istituzioni e parti sociali per l’individuazione delle soluzioni legislative, amministrative e contrattuali favorevoli alla maturazione condivisa delle politiche di welfare attivabili in ogni luogo di lavoro.

Lei accennava ai possibili rischi della rapida diffusione del welfare aziendale. Potrebbe approfondire questo aspetto?

Come dicevo, il rischio maggiore per il welfare aziendale è che alla sua diffusione non siano connessi, da un lato, adeguati interventi normativi e, dall’altro, una giusta interpretazione da parte delle imprese. L’aspetto culturale è sicuramente quello su cui oggi bisogna lavorare maggiormente. Il welfare aziendale non può essere ridotto ad un mero strumento di risparmio attraverso il quale le imprese possono ridurre la pressione fiscale, ma deve essere interpretato come una leva capace di azionare e rendere più efficienti diverse attività aziendali: la gestione delle risorse umane, la contrattazione tra le parti sociali, il sostegno alla spesa e al potere d’acquisto dei dipendenti.

Uno degli obiettivi principali dell’Associazione è proprio quello di affermare questa visione multidimensionale, dando vita ad un percorso fatto di formazione e informazione che coinvolga tutti i veri protagonisti del welfare aziendale, dalle parti sociali fino alle istituzioni.

L’associazione è composta da società che condividono uno stesso settore di mercato. Non c’è il rischio che la competitività tra questi attori comprometta il futuro dell’AIWA?

Innanzitutto, vorrei sottolineare che all’interno dell’Associazione sono presenti società che rappresentano tutti gli ambiti del welfare aziendale e dei fringe benefit. Tra i vari componenti infatti ci sono società che si occupano della gestione della ristorazione e dei buoni pasto; altre che provengono dal mondo del brokeraggio assicurativo; altre ancora che basano il proprio core-business sulla gestione di servizi e piattaforme on-site. In sostanza, sono rappresentate adeguatamente tutte le forme di provider di welfare aziendale.

Riguardo al tema della competitività, l’istituzione di AIWA è un chiaro segnale di come le varie società coinvolte hanno voluto anteporre la conoscenza e la formazione sul tema del welfare aziendale alla foga di occupare uno spazio all’interno di un mercato relativamente nuovo. Ciò che deve essere chiaro è che per realizzare e vendere piani ed interventi di welfare aziendale sono necessarie molte competenze – in ambito sociale, fiscale, del lavoro e della contrattazione, informatico e telematico, ecc. –. In questo senso, una competitività aggressiva e cieca limiterebbe le possibilità di tutti, provider e imprese clienti.

Al di là di questo, è ovvio che vi sarà sempre una normale e sana competizione. Non si occupa di questo l’Associazione, bensì della condivisione di valori di fondo e di facilitare il dialogo tra le società. La nostra è una realtà che non ha precedenti in Italia e che – anche grazie ad uno statuto molto agile ed una struttura di funzionamento snellissima, un unicum nel mondo della rappresentanza – si candida ad essere portatore di valore per gli attori coinvolti.