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Il 26 novembre si è tenuto il convegno "Maternità e lavoro femminile. Stereotipi e nuovi paradigmi" organizzato dalla Scuola Nazionale dell’Amministrazione, dal Dipartimento Pari Opportunità e dal Dipartimento delle Politiche per la Famiglia e io ho avuto l’onore di intervenire alla tavola rotonda intitolata "Nuovi paradigmi: la genitorialità come valore aggiunto", moderata da Maria Silvia Sacchi, del Corriere della Sera.

Nei giorni precedenti, mi sono chiesta su che cosa potesse focalizzarsi il mio contributo e mi sono resa conto che il mio punto di vista non è cambiato, negli anni.

Il lavoro di Variazioni nella progettazione territoriale, nella consulenza alle aziende (e alla Associazione Valore D) sui programmi di gestione e rientro dalla maternità, nei programmi formativi per manager sullo smart working, non mi hanno fatto cambiare idea ed anzi hanno rafforzato un pensiero e un approccio che può essere sintetizzato in questi termini:

"Ciò che può portarci a un nuovo paradigma della maternità e che può trasformare la maternità da problema a opportunità è solo la convenienza che tutti i soggetti inclusi nel processo devono poter trarre da quell’evento".

Fare figli deve convenire e procurare soddisfazione alla madre a al padre, al territorio, alla comunità e allo stato in generale che potrà invertire la rotta del calo demografico, favorire il ricambio generazionale, garantire sostenibilità al nostro sistema previdenziale e occupabilità alle donne. E deve convenire ai datori di lavoro, che non possono percepire alcun disagio economico o organizzativo dall’impiegare una madre o un padre e che anzi dovrebbero gioire dell’evento restituendo cittadinanza alla maternità nelle aziende e finalmente apprezzando tutte quelle competenze, abilità, attitudini che le madri riconquistano dando alla luce un figlio.

Ormai possediamo la “cassetta degli attrezzi” e le evidenze che organizzare in modo virtuoso la maternità e promuovere il work-life conviene. Molte aziende lo stanno sperimentando o lo hanno messo a sistema: c’è per esempio Tetra Pak con il suo Parental Program che prevede di mantenere i contatti con la mamma durante la sua assenza e che la accompagna al rientro pianificando gli incontri con il manager; ci sono i programmi “Welcome Back” di Danone, Whirlpool, ed Hera che accolgono con gettoni di coaching/counselling la mamma che rientra; c’è la rete dello Smart Working a Bergamo che mette insieme aziende che stanno sperimentando insieme la concessione della flessibilità lavorativa formando i manager; c’è il Welfare Lab di Valore D sul Parental Leave Management che supporta le aziende (ormai più di 40 in due anni) nell’adottare politiche attente alla maternità e alla gestione delle assenze; c’è Atelier Aimée che fabbrica abiti da sposa e gestisce 46 schedulazioni orarie diverse delle operaie o Corneliani che ha stipulato un accordo di secondo livello tutto sulla gestione della maternità (banche ore a lungo termine, garanzia del part-time). Per non parlare della rete di imprese mantovane del progetto N.OR.Ma.Le. (a New way to ORganize the Maternity LEave) che ha consentito alle imprese aderenti (Thun, Lubiam, Copianicolla, Cooperativa Sinergie, ..) di adottare un protocollo comune di gestione del congedo certificato dalle Università di Modena, di Pavia e di Trento. Il modello certifica una procedura di gestione che coinvolge lo staff HR, il manager, un tutor e la madre e il padre guidandoli nella pianificazione della assenza, nella realizzazione di un bilancio di competenze, nella ridefinizione del percorso di carriera della mamma volto a valorizzare le competenze acquisite durante l’esperienza genitoriale.

Insomma, c’è fermento, attenzione attorno al tema e ci sono tutti gli strumenti organizzativi e manageriali per poter migliorare le condizioni di lavoro delle madri e padri così come suggerito nel 2010 dalla direttiva europea sui congedi parentali del 2010 (Framework Agreement on parental leave concluded by BUSINESSEUROPE, UEAPME, CEEP and ETUC and repealing Directive 96/34/EC).

Ma se possiamo tentare con le nostre ottime argomentazioni e innovativi strumenti di convincere un imprenditore illuminato, senza dubbio gli altri dieci, cento, mille non li raggiungeremo tanto facilmente se non con uno strumento economico che possa fungere da acceleratore del processo culturale. L’impresa (soprattutto quella che non è strutturata per gestire in autonomia la maternità/paternità) dovrebbe poter essere comunque indennizzata per i costi che sostiene gestendo la maternità, la sostituzione e infine il rientro della mamma/papà in azienda poiché solo in questo modo renderemmo possibile e reale la parità. L’azienda che percepisce un disagio, si rivarrà inevitabilmente sulla lavoratrice o preferirà assumere un uomo. E non ne farei una questione morale.

Avere madri (e padri) in azienda dovrebbe convenire economicamente. E’ un concetto semplice nel quale credo e che già spiegai approfonditamente in un articolo pubblicato oltre due anni fa su lavoce.info.

Così come dovrebbe convenire flessibilizzare gli orari di lavoro in favore della conciliazione vita-lavoro. Di nuovo il Jobs act torna sull’opportunità di utilizzare i premi produttività come incentivi alla flessibilizzazione del lavoro. Ma così come sono stati impostati e regolati fino ad oggi, non sono utilizzabili con quello scopo. Dovremmo differenziare il livello della detassazione: se il premio viene concesso perché derivante da riorganizzazioni conciliative, dovrebbe essere tassato meno che non un premio dato per innovazioni organizzative generiche. Anche di questo ho diffusamente parlato sul sito del progetto Secondo Welfare.

E infine, riferendoci sempre al Jobs act, un cenno al telelavoro, citato come soluzione per la conciliazione. Se flessibilizare e conciliare deve convenire, si sappia che la maggior parte delle volte il telelavoro non conviene a nessuno: è macchinoso, burocratico, costoso e ormai è stato sostituito da forme più flessibili come lo smart working (si veda la proposta di legge) che piace ai manager, alle imprese, alle famiglie e alle madri, che riesce a coniugare produttività, performance e risparmio dei costi con la risposta a esigenze di conciliazione e che riduce l’impatto ambientale (si vedano i tanti progetti milanesi di Lavoro Agile o l’iniziativa Smart4Expo).

Se la maternità deve rimanere ed essere percepita sempre più come un valore aggiunto, e non come una nicchia di iper-tutele che finiscono per escludere le donne dal mercato del lavoro, facciamo attenzione agli strumenti che individuiamo ma soprattutto alle modalità con cui intendiamo favorire il loro utilizzo.

 

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