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Mentre si legge sempre più spesso sui giornali di storie di padri impegnati nella cura dei figli, o che avrebbero desiderio di giocare un ruolo più significativo nei primi anni di vita dei propri bambini, nelle aziende l’esperienza paterna è ancora un tabù, una risorsa invisibile. In Italia, secondo l’Istat, sono 970 mila le famiglie, con e senza figli, dove la donna risulta occupata a tempo pieno o part time, mentre l’uomo è in cerca di occupazione o inattivo (pensionato o comunque fuori dal mercato del lavoro). Il dato riguarda i coniugi o i conviventi tra i 25 e i 64 anni. Sono 192 mila le famiglie monogenitore, dove c’è solo la mamma ed è disoccupata, quindi secondo i criteri statistici è in cerca di lavoro. È quanto emerge dalle tabelle dell’Istat aggiornate al 2016. La cifra è in aumento rispetto all’anno precedente (+5%).


Il numero dei padri che stanno a casa per prendersi cura dei figli cresce

Il Pew Research Center stima che nel 2012 i padri statunitensi a casa dal lavoro siano stati circa il 16%, per un totale di circa due milioni di persone, un numero quasi raddoppiato dal 1989. Secondo uno studio condotto da Judith Treas dell’Università della California di Irvine, pubblicata su Journal of Marriage, in quasi mezzo secolo il tempo che i padri dedicano ai figli è quadruplicato. Dalla classifica pubblicata recentemente dal settimanale britannico The Economist sui paesi più generosi con i neo-genitori, emergono trend interessanti sul fronte paternità.

Mentre in Italia si discute sulla paternità obbligatoria di 15 giorni, Francia, Portogallo, Belgio e Lussemburgo hanno iniziato a testare nuove forme di sussidi per i neo-papà, garantendo loro da un minimo di cinque a un massimo di 15 settimane di congedo completamente pagato. I paesi del Nord Europa sono più avanti: uomini svedesi, finlandesi e norvegesi sono abituati a condividere con le loro mogli la cura dei figli sin dai primissimi giorni dopo la nascita.

Eppure, la scelta dei padri di occuparsi a tempo pieno dei figli è ancora percepita in contrapposizione con la cultura dominante del breadwinner; una scelta perseguita spesso solo da chi non può farne a meno, magari perché rappresenta uno dei rari casi in cui la moglie ha un lavoro più stabile e meglio pagato.

Il dibattito su questi temi è sempre aperto e acceso: gli uomini non devono essere costretti all’invisibilità nel loro ruolo di padri

Il 15 Marzo 2017 alla Camera dei Deputati è stata presentata la campagna nazionale “Diamo voce ai papà”, condotta da Piano C. Il progetto nasce da una serie di focus group che si sono svolti tra luglio e settembre 2017, in collaborazione con MAAM – maternity as a master (di cui abbiamo parlato qui). Le aree indagate erano, principalmente, quattro: come viene vissuto il ruolo di padre; come si caratterizza la cura paterna; il rapporto tra paternità e lavoro e l’evoluzione del ruolo di padre. Parallelamente è stata portata avanti una campagna fotografica chiedendo ai papà italiani una fotografia che li ritraesse con i propri figli, possibilmente in un contesto quotidiano e una frase che esprimesse la risposta alla domanda: “Tu che cosa desideri come papà italiano?”. Le immagini ricevute sono diventate delle “cartoline” pubblicate sul canale Instagram e sulla pagina Facebook di Piano C. 

La campagna è stata supportata dalla rete di associazioni e coworking del Piano C Partner Network che ha permesso di promuoverla e diffonderla in tutto il territorio nazionale: Milano, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Matera.  Dalla sinergia con Alley Oop, e con il supporto di Ikea e Generali Italia, è stato lanciato un sondaggio a livello nazionale che analizzava i seguenti temi: come si cambia diventando papà, quali competenze si acquisiscono, le principali conseguenze della paternità nella gestione vita-lavoro, che cosa caratterizza in modo specifico il ruolo del padre oggi, opinioni sul congedo di paternità/congedo parentale.

Il dato più interessante è certamente quello sulle competenze che si acquisiscono con la paternità (figura 1). Dalle oltre 1.500 risposte ricevute, emerge che la quasi totalità è felice di essere diventato genitore». Per i padri, il nuovo mestiere non retribuito diventa una buona fonte di formazione professionale, che insegna loro le competenze trasversali più richieste sul mercato del lavoro, ovvero l’arte della pazienza (69%), capacità di gestione del tempo (69%), di problem solving (58%), di negoziazione (53%), di consapevolezza di sé e delle proprie emozioni (39%). Le maggiori responsabilità che un figlio comporta per il 95% degli intervistati si traducono solo per il 40% in un ridimensionamento delle proprie ambizioni lavorative: per il resto, diventando papà, nel rapporto con il proprio mestiere l’urgenza è trovare una nuova organizzazione della vita quotidiana (28%), un equilibrio tra vita e lavoro (39%) oltre alla stabilità lavorativa (37%).

Figura 1: Paternità e competenze

Fonte: Rapporto "Diamo voce ai papà"

La paternità è un master!

Il team scientifico di MAAM sta lavorando già dalla metà del 2016 per estendere anche ai papà la piattaforma online oggi dedicata alle neo mamme. La ricerca scientifica, da sempre il cuore pulsante della progettazione del percorso MAAM, conferma che le attività di cura paterne generano reazioni neurochimiche simili a quelle materne. Ad esempio, la produzione di ossitocina, che nelle madri viene stimolata dal contatto affettuoso, nei padri è attivata dal gioco, a indicare che la natura ha pensato anche per gli uomini un ruolo ben preciso nel crescere i figli: il gioco è infatti per i bambini la migliore scuola di apprendimento.

Da febbraio 2017 è disponibile il percorso online MAAM per i papà, diverso da quello delle mamme, ed è già attivo in grandi aziende del settore bancario ed energetico italiano. Proprio come con la maternità, a partire dalla vita di tutti i giorni, attraverso pensieri, esercizi e riflessioni, i padri potranno imparare a riconoscere e allenare le competenze relazionali, organizzative e creative più ricercate dal mercato del lavoro oggi: competenze come l’ascolto, l’empatia, la gestione del tempo e delle priorità, la creatività, e l’agilità intellettuale. Una vera e propria “Business School di intelligenza emotiva” per manager di nuova generazione.

Secondo Riccarda Zezza, Ceo di MAAM e  presidente di Piano C, “Pochi, pochissimi sono i padri che prendono il congedo di paternità, probabilmente è più facile semplicemente prendere “ferie” quando nasce tuo figlio, ma che messaggio ti sta dando il mondo? Essere padri è tutt’altro che una vacanza. I papà italiani sono consapevoli dell’aumento di complessità delle loro vite, e non solo perché dormono meno. E, se è vero che il 56% prenderebbe il congedo di paternità per poter passare più tempo con un figlio che altrimenti “dopo tre giorni di missione fa più fatica a riconoscermi”, è anche vero che il 40% vorrebbe un congedo per “condividere con la propria compagna la gestione della quotidianità”.

Che cosa non sta “vedendo” la nostra società, mentre non fa spazio a questa dimensione dei suoi cittadini? Non sta vedendo uomini che sono sicuramente più felici (97%) e, nella nuova complessità delle loro vite, mentre stanno molto più attenti agli orari e alla gestione del tempo (39%), sanno anche ridimensionare meglio i problemi che incontrano sul lavoro (29%): come le loro colleghe mamme, l’attenzione all’equilibrio vita lavoro sembra quindi aver migliorato la loro capacità di ricercare un equilibrio personale. Per essere più concreti: i papà ci dicono, come ci hanno detto e continuano a dirci le mamme, che la paternità ha migliorato molte delle loro competenze (lo dice il 93% dei partecipanti al sondaggio). Prima fra tutte, la pazienza, che però si declina poi in tante competenze trasversali, essenziali (anche) sul lavoro, come la capacità di ascolto, di attesa, di gestione del tempo e capacità di soluzione dei problemi”.


Il punto di vista dei papà

A questo riguardo, sono illuminanti le parole dei padri che hanno dialogato con noi in questi mesi:

"La paternità mi ha aiutato tantissimo a guardare i problemi lavorativi con tutta un’altra prospettiva. Problemi che un tempo mi mettevano ansia e preoccupazione, anche se sapevo che avrei potuto risolvere, ora mi sembrano delle sciocchezze anche soltanto a paragone di uno starnuto di mia figlia o di mio figlio. E questo mi rende molto più sereno nell’ottenere la soluzione del problema, e riesco a vivere molto meglio un lavoro in cui i problemi da risolvere sono il pane quotidiano. Sembra assurdo, ma la paternità mi sta aiutando ad amare ancora di più un lavoro che già amavo prima. E per fortuna mi ha anche aiutato ad imparare a staccare più facilmente e in maniera più completa dal lavoro, mai come dopo essere diventato padre riesco a spegnere il cervello da quando arrivo a casa fino a quando rientro al lavoro."

"Sono molto più fermo e combattivo ma al tempo stesso paziente e disponibile all’ascolto" e "la gestione del rapporto con i figli mi ha aiutato a gestire meglio i rapporti con i collaboratori e i colleghi, ad ascoltare di più e a comunicare in modo più efficace" e ancora "si prende consapevolezza di poter affrontare, gestire e risolvere (anche brillantemente) situazioni di complessità di gran lunga superiori a quelle che si affrontano in una vita da single o di coppia senza figli".

"La paternità, quale esperienza umana e di gestione della vita presente e futura, è un’esperienza di realizzazione della persona che provoca un processo di maturazione e consapevolezza dell’individuo. Non esiste esperienza analoga, non esiste skill analogo, non esiste scuola di formazione che possa dare diploma analogo. Sono competenze di valore soprattutto per le aziende il cui core business si incentra sui bisogni delle persone".