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Dopo l’associazione, nata nel 2010, e la fondazione, arrivata nel 2012, Italia Camp ha scelto di investire sul "miglio mancante" e costituire una S.r.l. per strutturare gli sforzi fatti in questi anni a sostegno delle oltre 4.000 best practice individuate nel nostro Paese sul tema dell’innovazione sociale. Abbiamo chiesto a Francesco Pozzobon, Direttore Advocacy & Impact Investing di Italia Camp, di raccontarci la genesi e lo sviluppo di questa nuova realtà, ed indicarci le prospettive per gli anni a venire. 

ItaliaCamp S.r.l. è l’ultima arrivata in casa ItaliaCamp e va ad aggiungersi ad una associazione e una fondazione. Quando e perché nasce ItaliaCamp Srl?

ItaliaCamp S.r.l. è il terzo soggetto, dopo l’associazione e la fondazione, che va a completare il gruppo ItaliaCamp. Nasce lo scorso anno, con l’obiettivo di risolvere prioritariamente due elementi. Il primo – interno – è quello di garantire continuità e sviluppo al progetto ItaliaCamp attraverso le attività della Società, che diviene quindi il veicolo per la sostenibilità anche economica del gruppo. Attraverso le risorse umane oggi impiegate in Srl, il gruppo ItaliaCamp si è dotato di una struttura permanente e del capitale umano necessario ad affrontare le sfide e i diversi percorsi di innovazione che il nostro paese sta abbracciando. Il secondo – più di contesto – riguarda quello che ritenevamo essere l’ultimo miglio mancante della nostra azione, avviata quasi cinque anni fa: infatti, siamo partiti nel 2009 con l’obiettivo di far emergere idee e progetti di valore su tutto il territorio nazionale per accompagnarli e portarli a coloro i quali avevano il potere (istituzionale, sociale, finanziario) di dargli corpo, attraverso forme di investimento e modalità adeguate di adozione. Il lavoro di “emersione”, è stato molto significativo, perché in meno di quattro anni siamo riusciti ad individuare e raccogliere più di 4.000 buoni progetti e buone idee sul territorio, tuttavia eravamo deficitari sull’ultimo miglio, ossia l’execution. Questo d’altra parte è un elemento particolarmente critico per l’efficienza di tutto il settore in questo momento: tutto il settore delle start up, siano esse digital o a vocazione sociale, fa fatica proprio sulla parte di execution; tutto il mondo degli incubatori e degli acceleratori hanno bisogno di lavorare tantissimo sull’exit, cioè l’uscita di queste buone pratiche verso quella che è la seconda fase dopo la nascita, sia che riguardi la replicabilità o la scalabilità dei progetti stessi. La difficoltà dipende dal fatto che questa fase è una attività che richiede una grande focalizzazione. Noi in ItaliaCamp eravamo persone che lavoravano sulla base di un impegno esclusivamente volontario, quindi soggetto a limitazioni di tempo e di energie. ItaliaCamp S.r.l. quindi nasce con l’obiettivo di dedicare tutte le risorse necessarie alla fase di execution dei progetti, ovvero capire idea per idea e progetto per progetto quale può essere la strada per il loro migliore sviluppo.

Quindi ItaliaCamp S.r.l. nasce per affiancare e sostenere le attività della associazione e della fondazione. Nello specifico cosa distingue quindi queste tre realtà del “mondo” ItaliaCamp?

Nello specifico, la progressione temporale è chiarificatrice. Prima è nata l’associazione nel 2010, con il compito di mantenere i rapporti con le persone fisiche; l’associazione è strutturata in diversi camp regionali, ossia gruppi di persone che lavorano sui territori nello sviluppo di relazioni e connessioni con persone fisiche (appartenenti al mondo istituzionale, imprenditoriale, associativo, ecc.). In particolare penso ai rapporti con le università. ItaliaCamp, ai propri inizi, ha avuto questa grande intuizione di avviare prima e strutturare poi una partnership con le università. Abbiamo sviluppato accordi di partenariato con quasi tutte le università del paese, che sono un contenitore dinamico e continuo di elaborazione e emersione di buoni progetti e buone idee. La fondazione invece è nata successivamente nel 2012, con l’obiettivo di valorizzare il lavoro di emersione fatto dalla associazione e di collegamento con le persone giuridiche: quindi mentre l’associazione fa emergere le idee, la Fondazione sostiene l’emersione e lo sviluppo delle best practices di innovazione sociale promosse dal gruppo ItaliaCamp. Essa mira inoltre a consolidare la rete collaborativa di Istituzioni, Università, Imprese e Centri d’eccellenza, al fine di supportare l’implementazione di policy efficaci di cambiamento sociale. Mediante il Centro di Ricerca Internazionale per l’Innovazione Sociale presso l’Università LUISS, la Fondazione promuove il “Rapporto sull’Innovazione Sociale in Italia”, oltre a diversi studi e focus groups sui temi dell’innovazione, del trasferimento tecnologico e della misurazione dell’impatto sociale ed economico. La fondazione è inoltre oggi sostenuta da primarie realtà istituzionali e aziendali del Paese tra cui: Consiglio Nazionale delle Ricerche, ENEA, INPS, Enel Green Power, Ferrovie dello Stato Italiane, Invitalia, Mercedes-Benz Italia, Poste Italiane RCS MediaGroup, Sisal, Terna, Unipol, Wind, Edenred, AS Roma, Sistemia.

Quale ruolo hanno svolto e svolgono queste grandi imprese, prima all’interno della fondazione e oggi anche nel quadro delle attività svolte da ItaliaCamp S.r.l.?

L’obiettivo con loro è sempre stato quello di coinvolgerli in un processo partecipato di innovazione. Inizialmente il lavoro e la partecipazione da parte delle imprese della Fondazione al lavoro di ItaliaCamp era inteso da un punto di vista di pura CSR, ossia riconoscevano il valore di un progetto e di un gruppo di giovani in grado di colmare – e andare a giocare – un ruolo che in Italia non esisteva: una piattaforma che collegava chi aveva una buona idea da un lato, e chi dall’altro aveva l’obiettivo di realizzare un investimento. Nel corso degli anni questo rapporto si è spostato verso una collaborazione win-win, nella quale queste aziende riconoscono, soprattutto con la nascita di ItaliaCamp S.r.l., uno strumento per la produzione e lo svolgimento di attività e servizi in ambito innovazione, così definita open innovation. È interessante vedere come comunque ci sia un forte ruolo e un forte compito da svolgere a livello culturale, per l’avvicinamento ai temi dell’innovazione delle imprese, anche grandi. Infatti non è scontato verificare che chi si occupa di R&D e di innovazione in queste grandi aziende abbia effettivamente il polso su cosa sia innovazione sociale sul territorio, di quali siano le dinamiche, le reti, i nessi e le connessioni che si tracciano e si mappano sul territorio: ItaliaCamp è una risorsa anche in questo senso.

Il rapporto con queste grandi imprese, da tempo sviluppato proprio grazie alla Fondazione, si è tradotto anche in un carattere “speciale” se non pioneristico di ItaliaCamp S.r.l.: come è costituito il vostro capitale sociale?

ItaliaCamp S.r.l. nasce con il 100% delle quote detenute dalla Associazione. Nello sviluppo del progetto e con l’obiettivo di perseguire la sostenibilità del gruppo ItaliaCamp, quattro aziende hanno risposto alla proposta di acquisto quote, complessivamente per il 48% del capitale, con la quota di maggioranza sempre in capo alla Associazione. Quindi attualmente il capitale sociale di ItaliaCamp S.r.l. è così composto: il 51% appartiene all’Associazione; il 48% a quattro grandi aziende, rispettivamente Poste Italiane, Ferrovie dello Stato, Invitalia e RCS Media Group; il restante 1% è detenuto in rappresentanza delle altre aziende dalla Fondazione ItaliaCamp. L’acquisizione di quote – e anche qui il modello è stato particolarmente innovativo – è avvenuto attraverso un processo di work equity: ossia il capitale è investito in risorse umane, distaccate in ItaliaCamp, così che potessero lavorare focalizzate sulle nostre attività, peraltro sulla base di un preciso piano di sviluppo economico. Si tratta nello specifico di un piano industriale a tre anni, con un obiettivo di crescita, produzione e creazione di valore che per noi deve essere economico, per permettere a ItaliaCamp S.r.l. di stare sul mercato, ma che deve altresì essere associato ad un valore di tipo sociale. In questo momento per noi il principale valore sociale generabile o generato è quello occupazionale: quindi tutti i progetti e tutte le risorse che ItaliaCamp S.r.l. riesce ad ottenere, quindi ciò che fattura tramite i servizi e i contenuti che eroga, vengono destinati ad aumentare il numero di persone impiegate in ItaliaCamp. Sicuramente le quattro aziende che detengono le quote di ItaliaCamp S.r.l. perseguono obiettivi legati alla creazione di valore: qui quindi l’investimento alla fine del terzo anno deve aver prodotto un valore che sia economico e sociale.

Le imprese che detengono quindi parte del capitale sociale di ItaliaCamp S.r.l. sono alla ricerca di processi utili per la creazione di innovazione sociale. Oltre al loro ruolo di soci di minoranza, in quali termini sono coinvolte nelle attività di ItaliaCamp S.r.l.?

Il ruolo dei partner della società è sicuramente quello di soggetti attivi di questo processo e queste dinamiche in un certo senso nuove e innovative, peraltro sperimentate anche all’interno delle loro aziende. C’è infatti anche un ruolo di reciproco coinvolgimento in quelli che noi chiamiamo “mandati di innovazione”: da un lato noi suggeriamo processi di innovazione a queste aziende, dall’altro queste aziende quando hanno bisogno di approcciarsi a nuovi progetti, possono beneficiare o possono avere in ItaliaCamp uno strumento. Un esempio è quello di un lavoro che stiamo approfondendo: una pipeline di progetti, startup di impatto sulle quali loro possono andare a valutare investimenti, applicando quindi quello che è il modello di corporate venture capital già ampiamente diffuso a livello internazionale.

In altri termini – se è corretto – tra le vostre attività c’è quella di rispondere alle esigenze di innovazione, in specie sociale, che i vostri partner e clienti possono avere. Che idea avete di innovazione sociale?

Innanzitutto ho un po’ un pallino: in Italia tendiamo spesso a stringere e definire in determinati comparti ogni cosa. In Italia si fa sempre la norma prima della sperimentazione. Si vuole definire cosa è innovazione sociale, prima di averla fatta. Dal nostro punto di vista fare innovazione sociale è un po’ la baseline di ItaliaCamp, ossia “invertire la tendenza”: provare in ogni contesto (e questo è importante perché spesso si pensa che l’innovazione sociale debba essere un processo bottom-up del mondo della cooperazione sociale, del terzo settore e del sociale in senso lato) a rispondere a bisogni esistenti non risolti, dunque dare risposta a dei bisogni secondo modalità nuove. Usando processi, strumenti e modelli innovativi. Quindi non è altro che il tentativo di invertire la tendenza: far sì che non sia la mancanza della risposta a vincere, ma che un bisogno possa trovare soddisfazione e risoluzione in maniera nuova.

ItaliaCamp S.r.l. da un lato propone direttamente alcuni progetti, dall’altro è in grado di funzionare on demand, sulla base di “mandati di innovazione”. Quali sono quindi le aree del vostro business?

ItaliaCamp S.r.l. nasce e si struttura intorno a tre aree di business ben definite. La prima area è quella dell’advocacy. Per noi è molto importante. Abbiamo lanciato lo scorso anno un grande progetto “Valore Paese, Advocacy Italia”. Per noi advocacy significa perseguire un interesse di tipo collettivo, quindi è uno switch rispetto al concetto di lobbying che è comunemente inteso come il perseguimento dell’interesse di un singolo. Con l’advocacy e quindi con quelli che noi chiamiamo advocacy groups, si ha la possibilità di lavorare con una pluralità di soggetti per la realizzazione e la promozione di un interesse di tipo collettivo. Fondamentalmente l’advocacy significa investire in progetti di interesse per il paese. La seconda area di business è quella del placement e dell’open innovation: per noi placement non è placement di persone ma di idee e progetti mettendo a valore l’idea e l’intuizione originale di ItaliaCamp che era, appunto il placement delle idee. Oggi lavoriamo sicuramente come placement di idee e progetti ma lavoriamo anche come placement di modelli di sviluppo nuovi. Aver realizzato nuove matrici di connessioni dal nostro punto di vista è la cartina di tornasole di come si possa costruire una nuova infrastruttura, dunque modelli economici e sociali nuovi. La terza area è quella dell’impact investing, che in un certo senso riprende anche i temi dell’advocacy. Impact investing è per noi sia lo strumento che il processo, partecipato, con il quale si va a chiudere il cerchio che è partito dall’advocacy e che attraverso la verifica e la scelta di progetti di impatto porta poi al loro investimento.

Sul termine impact investing la discussione si sta facendo sempre più serrata e non di rado alcune espressioni vengono proposte come sinonimi (finanza sociale, nuove frontiere della filantropia, ecc.). Talvolta c’è un po’ di confusione. Cosa intende ItaliaCamp quando parla di impact investing?

L’orientamento che ItaliaCamp ha rispetto al concetto di impact investing si sviluppa su due dimensioni. In primo luogo, come per tutti coloro che si avvicinano a piani di impact investing, questo è uno strumento finanziario. Bisognerà adattare al contesto italiano i migliori modelli di investimento finanziario legati al mondo che ha a che fare col sociale, dove per “sociale” intendiamo tutto ciò che concerne lo scambio, la socialità della persona. In secondo luogo, per noi l’impact investing è anche il processo col quale si arriva alla generazione di determinati progetti, il processo col quale si creano le connessioni su questi progetti. Riteniamo fondamentale il processo per il quale ogni progetto di impatto si genera attraverso un nuovo modo di legare nessi e creare connessioni. Ogni progetto di impatto deriva proprio da questo: le nuove connessioni sono quelle che generano i progetti di impatto. Quindi l’analisi del processo che porta a queste connessioni è per noi un aspetto essenziale dell’impact investing. Operativamente consegue che ItaliaCamp fa impact investing in due modi: da un lato, lavora come advisor non finanziario, quindi come un soggetto che fornisce in veste di content provider buone pratiche e buoni progetti per tutti coloro i quali vogliano investire in progetti di impact; dall’altro, lavora per un piano nazionale di impact investing con un focus leggermente diverso da quello standard, ossia più che orientata al singolo target investee, guarda ad un multi-target investee, ovvero un nuovo soggetto che potrà essere declinato e regolato attraverso un contratto di rete o attraverso una impresa di comunità, che abbia al suo interno diverse componenti e che possa quindi rispondere al bisogno di una propria comunità di riferimento. Questo è il nostro orientamento di contesto e anche in questo caso sarà importante la generazione di dati, modelli, metriche di misurazione dell’impatto di questi investimenti. Infine l’orizzonte: siamo più che convinti che tutto il comparto dei beni e servizi di pubblica utilità debba e sarà oggetto di buone pratiche di investimento impact, con il fondamentale apporto di risorse private.

Sulla base di quanto fatto e dello stile con cui alcune iniziative sono state portate avanti (ad esempio la giornata del Salone del Risparmio dedicata all’impact investing che avete organizzato e di cui abbiamo riportato altrove alcuni contenuti) nasce la curiosità di sapere cosa c’è in cantiere. Quali sono i progetti e le iniziative che vedranno la luce a breve?

Abbiamo diversi progetti in cantiere per ogni area. Ad esempio, replicando il modello di advocacy group recentemente realizzato attraverso un momento di confronto tecnico nella Sala Monumentale della Presidenza del Consiglio dei Ministri dal nome “IP Box: impatto e opportunità”, sul tema della proprietà intellettuale e le modalità per agevolare la migliore applicazione ed implementazione dell’importante novità normativa, il nuovo regime fiscale applicabile ai redditi derivanti da beni immateriali introdotto dalla Legge di stabilità (art. 1 commi 37-45 Legge L. 23/12/2014, n. 190). Abbiamo in corso la preparazione e organizzazione del nostro appuntamento annuale che è l’Assemblea Generale di ItaliaCamp, programmata per l’11 luglio all’interno della cornice di ExpoMilano 2015, dove per Padiglione Italia lavoriamo lungo tutto l’arco dei sei mesi come content provider di “VivaioItalia”. Nell’Assemblea Generale porteremo in un certo modo a compimento e manifestazione pubblica il lavoro fatto durante il 2014 e lanceremo le sfide in corso e per il 2015. Abbiamo poi due grossi progetti, uno a livello nazionale e uno a livello internazionale: il primo, in Italia, prevede l’avvio (oggi in fase di studio di fattibilità) del primo piano nazionale di impact investing; il secondo, frutto di un continuo lavoro di scambio con interlocutori che si muovono a livello europeo e internazionale, riguarda la missione EmiratesCamp. EmiratesCamp sarà una nuova articolazione del modello che abbiamo adottato nel 2014 negli Stati Uniti, UsaCamp, e avrà l’obiettivo di aprire un tavolo di confronto negli Emirati Arabi – Expost Dubai 2020 – come legacy fra ExpoMilano 2015 e la prossima esposizione universale di Dubai sui modelli di innovazione e policy più interessanti nel nostro paese. Quindi l’idea è quella di andare da loro portando matrici e modelli nuovi di innovazione sociale per la comunità degli emirati e suscitare in loro l’attrazione rispetto a possibili investimenti da sviluppare nel nostro paese.

A proposito di specificità italiane e possibili interessi per investitori esteri, in Italia esiste da tempo una realtà che va sotto il nome di “secondo welfare” e che indica un fenomeno non esclusivamente presente nel nostro paese ma senz’altro sviluppatosi in una cultura sociale ed economica di tipo cooperativo e solidaristico. In che termini ItaliaCamp S.r.l. guarda alle esperienze di secondo welfare?

In generale partirei dal “primo welfare”. Per ItaliaCamp guardare a piani e progetti di sviluppo di impact investing non può prescindere dal considerare come terreno di fertile di applicazione tutto quello che riguarda i beni e i servizi di pubblica utilità, come anticipavo prima. Il welfare e i servizi connessi saranno imprescindibilmente uno dei terreni di sfida per i prossimi anni sia per il sistema pubblico che per quello privato. La partnership pubblico-privato è un elemento chiave dell’analisi: il welfare come settore sarà sicuramente oggetto di sperimentazioni e di ibridazioni, se non altro perché la spesa pubblica non può più essere sufficiente a garantire il livello e le prestazioni di servizi di un tempo. Sarà quindi terreno fertile anche di sviluppo culturale e ideologico per aiutare a capire che fare investimenti privati in settori come quello del welfare non vuol dire privatizzare, ma significa attrarre risorse private nello sviluppo, nel mantenimento, nella gestione e nella erogazione di servizi che fino a qualche tempo fa erano principalmente pubblici. Un tema su tutti è quello del piano idrico nazionale, da rispettare dal 2016 e che renderà necessari 25 miliardi di investimenti per i prossimi cinque anni (dunque 5 miliardi l’anno). Il settore pubblico non ha le risorse per garantire 5 miliardi l’anno di investimenti. Forzatamente bisognerà attrarre investimenti privati e sarà un buon terreno di sperimentazione di partnership pubblico-private. Il secondo welfare, venendo al cuore della domanda, è interessante anche perché se ci spostiamo sul lato del rapporto tra una azienda e il suo ecosistema, tutte le pratiche di secondo welfare sono degli esempi – su un diverso livello – di partnership pubblico-privato che favoriscono e che creano nessi e matrici virtuose. Se non altro infatti agiscono come collegamento tra esperienze, tra contesti, tra mondi, che fino a qualche anno fa erano completamente distaccati. Siamo assolutamente convinti che questo faciliterà e aiuterà la prossimità da un punto di vista culturale e lo scambio tra realtà diverse: ultimamente si correva il rischio che l’impresa fosse pensata come qualcosa a sé stante, invece deve essere concepita come realtà nuovamente integrata nel territorio e nella comunità circostante. Per noi è interessante guardare al vostro Laboratorio, sia dal punto di vista della ricerca e della verifica di quelle che sono le best practices, sia pure – in prospettiva – su un terreno più progettuale. Questo perchè ItaliaCamp si pone come soggetto advisor, come piattaforma per l’attrazione di fondi e risorse e per la successiva implementazione di progetti impact su cui sia possibile avere la ragionevole certezza che questi siano quelli corretti, ossia che garantiscano tanto l’impatto sociale quanto il ritorno economico-finanziario.

 

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