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Lo scorso 20 giugno Fondazione Censis e il provider di welfare aziendale Eudaimon hanno presentato a Milano uno studio incentrato sul tema dell’accesso ai servizi di welfare, intitolato “Equo accesso e buon orientamento ai servizi: sfida inedita per il welfare aziendale”.

La ricerca – che si è interrogata in merito alla qualità dell’informazione, il grado di supporto e i percorsi di tutela inerenti la scelta dei servizi di natura sociale – ha preso in considerazione quattro aree di analisi specifica: l’orientamento dei lavoratori alla scelta dei servizi di welfare; forme e intensità delle nuove difficoltà di accesso; l’emergenza permanente della non autosufficienza; l’orientamento scolastico e per il mercato del lavoro.

Questo studio è il diretto successore del “Primo rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale in Italia” (di cui vi abbiamo parlato qui), pubblicato lo scorso gennaio. Dal Primo Rapporto era emerso con chiarezza che lo sviluppo del welfare aziendale è legato in modo particolare alla sua capacità di migliorare la qualità complessiva della vita dei lavoratori, andando a rispondere a quei bisogni sociali che sempre meno trovano tutela nel welfare pubblico. Proprio per tale ragione, in questo secondo lavoro le due realtà coinvolte hanno deciso di focalizzarsi su quelli che sono i fattori che ostacolano o agevolano i cittadini italiani nell’accesso ai servizi sociali e sanitari di natura pubblica.

L’orientamento nella scelta ai servizi di welfare

Il primo focus di interesse riguarda proprio il tema dell’accesso ai servizi di welfare: dalla sanità all’istruzione, dai servizi socio-assistenziali a quelli per il lavoro e la disoccupazione, fino alle tante forme di integrazione del reddito.

Secondo il rapporto, le differenti opportunità e capacità di accesso ai servizi rappresentano una fonte specifica di disparità sociale. Se l’assenza di un servizio o la sua inadeguatezza qualitativa penalizzano tutti coloro che hanno bisogno di tale prestazione, le differenze nella possibilità di accesso tendono a colpire in modo specifico i gruppi sociali più fragili, perché meno capaci di recuperare ed elaborare le informazioni necessarie per reperire prestazioni in linea con le proprie esigenze.

Non è sufficiente quindi avere concretamente diritto ad un servizio, occorre anche: conoscere la sua esistenza; essere informati sulle modalità necessarie per averne accesso; sapere come si ottiene e chi lo eroga; essere certi che si tratta di un intervento in grado di soddisfare le proprie esigenze.

Un’opportunità per rafforzare l’accesso a tali informazione arriva dalla digital trasformation. Grazie allo sviluppo delle ICT (Information and Communications Technology), la digitalizzazione può fornire nuove forme di sostegno per colmare il gap informativo e conoscitivo. Come ricorda lo stesso Censis, però, bisogna tenere conto dell’elevato numero di persone (soprattutto anziane) che non hanno dimestichezza con la tecnologia: per loro la trasformazione digitale potrebbe comportare nuove difficoltà legate alla health literacy.

Le difficoltà nell’accesso ai servizi, soprattutto per il sostegno alla non autosufficienza

L’indagine riporta inoltre alcuni dati ricavati dal Censis attraverso una serie di interviste che hanno coinvolto 1.000 lavoratori italiani. In base a quanto emerso da queste rilevazioni, il 53% degli intervistati ha avuto problemi legati all’accesso a servizi di welfare. Questa esperienza è vissuta di più dalle donne (55%), dai residenti del Sud e delle Isole (59%) e dai laureati (59%). Per cercare di risolvere il problema gli intervistati affermando di essersi rivolti a familiari, amici e conoscenti (cosa che accade nel 45% dei casi) oppure di essersi affidati ad un servizio a pagamento – realizzato da una società di servizi o un privato – per avere un supporto (27%).

Da notare che, tra gli intervistati, circa il 49% si dichiara non in grado di affrontare da solo tali difficoltà di accesso, principalmente a causa della complessità delle procedure e del sistema. Come conseguenza, quasi il 25% del totale degli intervistati ha rinunciato alle prestazioni pubbliche.

Le cose si complicano nel caso in cui ci si deve occupare di un familiare non autosufficiente. Circa il 49% dei lavoratori che si trovano a gestire tale condizione non ha saputo a chi rivolgersi per trovare una soluzione a problemi di natura sociale, sanitaria o assistenziale; solo il 37% è riuscito invece a trovare supporto da amici o parenti. Come sottolinea il rapporto, esiste una notevole complessità che afferisce alla ricerca di soluzioni per le persone con disabilità, i cui bisogni chiamano in causa servizi e prestazioni trasversali. Anche per questo, circa il 30% degli interessati ha deciso di rivolgersi ad una società di servizi a pagamento.

Il ruolo delle imprese

Secondo il rapporto di Censis e Eudaimon, negli ultimi anni un sostegno importante sul fronte dell’accesso e dell’orientamento ai servizi è arrivato dalle imprese. Grazie all’intervento di società esperte – come i provider di welfare aziendale, start-up digitali, realtà del Terzo Settore, ecc. – sono stati ideati servizi di welfare aziendale finalizzati a sostenere i lavoratori anche nell’accesso alle prestazioni.

Alcuni di questi servizi consentono, ad esempio, di interagire con figure professionali specializzate. È il caso di Al tuo fianco, misura di supporto ai lavoratori nella gestione delle situazioni di fragilità familiari che, attraverso un “Care Manager”, permette di co-progettare un servizio su misura; oppure di VillageCare.it, start-up innovativa a vocazione sociale finalizzata ad orientare il care giver nella scelta delle prestazioni.

Altri interventi aziendali sfruttando invce le nuove tecnologie, mettendo ad esempio a disposizione applicazioni e device di digital health, ossia strumenti digitali finalizzati a promuovere e sostenere il benessere e la salute. In questo campo spicca l’esperienza di Famil.Care, piattaforma che, attraverso l’uso di uno smartphone o un tablet, permette di monitorare da remoto lo stato di salute dei propri cari.