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Il 10 maggio presso la Camera dei Deputati, alla presenza del Sottosegretario di Stato del Ministero del Lavoro e Politiche sociali Luigi Bobba, sono stati presentati i dati della quarta edizione del Rapporto “Un Neo-Welfare per la famiglia. Proteggere e accompagnare i figli nella vita adulta: una questione di cooperazione”, curato dal Gruppo Assimoco (Assicurazioni Movimento Cooperativo), attivo dal 1978 per rispondere ai bisogni assicurativi di persone e di imprese. Vi presentiamo una sintesi degli argomenti trattati e qualche dato estratto dalle rilevazioni statistiche effettuate nel nostro paese che offrono una panoramica del tema.

La rilevanza del tema 

Lo studio esplora la situazione italiana a partire dalle esigenze di protezione dall’infanzia fino alle soluzioni di supporto e accompagnamento nel percorso di studi e nel passaggio alla vita adulta, al fine di garantire un futuro sereno alle nuove generazioni. Come indicato nel trattato, il focus è “l’empowerment dei figli, la loro capacità di costruirsi un autonomo percorso di vita che deve poter utilizzare in maniera equilibrata la protezione fornita in primo luogo dalla famiglia, ma anche dall’assunzione di maggiori responsabilità personali per il conseguimento della propria vita autonoma”.

Questo tema è rilevante per le trasformazioni sociali in atto (l’invecchiamento progressivo della popolazione, l’aumento dei bisogni e la crescita delle attese, l’impatto della crisi sulle famiglie, la revisione e riduzione della spesa pubblica dedicata alla protezione sociale) ed è d’interesse per le famiglie italiane sia nella loro forma tradizionale, per il consolidato modello di cura genitoriale, sia attualmente per le maternità in età avanzata e la maggior diffusione di figli unici che spingono ad investire maggiormente sulla prole a livello economico ed emotivo.

Un patto intergenerazionale

Con l’obiettivo di rilevare le esigenze dei vari componenti familiari e di indagare i rapporti e le relazioni intergenerazionali, la prima parte della ricerca è consistita in un’analisi qualitativa di raccolta delle esperienze più significative e in un’analisi quantitativa, risultato dalla somministrazione di tre indagini condotte in parallelo a capifamiglia tra i 18 e i 60 anni, a giovani tra i 18 e i 34 anni e a persone tra i 61 e i 75 anni.

I dati emersi mostrano che “i giovani tendono a permanere a lungo all’interno della famiglia di origine: infatti il 62,5% dei 18-34enni vive ancora con i genitori, ma tale percentuale sale al 68,2% per i maschi e scende al 56,5% per le femmine.

Dal punto di vista degli aiuti economici scambiati tra le generazioni, i capifamiglia tra i 18 e 60 anni dichiarano di fornirli ai figli nel 33,2% dei casi e di riceverne nel 7,9% e inoltre di offrire sostegno anche alle persone più anziane nel 31,4% dei casi e di riceverne nel 24,1%. Le persone più mature, i 61-75enni forniscono aiuti economici ai figli in misura maggiore rispetto al caso precedente (40,6%) e ne ricevono in misura analoga rispetto ai capi famiglia (6,9%). A loro volta offrono aiuti ai nipoti (34,4%), ricevendone in cambio da questi ultimi solo nel 6,2% dei casi.
I giovani 18-34enni riconoscono in maniera forse più generosa o forse più realistica di ricevere aiuti dai genitori (48,5%), mentre ammettono di fornirne solo nell’11,7% dei casi. In parallelo essi riceverebbero anche dei sostegni economici dalle persone anziane nella misura del 18% mentre ne mettono a disposizione di questi ultimi solo per il 9,3%.

Sempre in tema di aiuti economici sono state anche stimate dal Rapporto le dimensioni del flusso di denaro che si trasferisce annualmente dai genitori ai figli e dai nonni ai nipoti. Tale flusso raggiunge – sulla base della simulazione effettuata tenendo conto di quanto dichiarato dai giovani – la ragguardevole cifra di 30,5 miliardi di euro qualora si tratti di trasferimenti dai genitori ai figli e di ulteriori 8 miliardi di euro nel caso di tratti di aiuti che provengono da nonni/bisnonni o da altre persone anziane.

Vicino agli aiuti di tipo economico esistono anche aiuti reciproci di tipo non economico e in tal caso i capifamiglia tra i 18 e i 60 anni dichiarano di offrire aiuti ai figli fuori casa nel 23,5% dei casi e di riceverne nel 13,6%; parallelamente forniscono anche aiuti agli anziani nel 31,4% dei casi e ne ricevono nel 22,8%. Le persone più anziane, i 61-75enni continuano a dare sostegno ai figli fuori casa in misura ben maggiore (65,7% dei casi) rispetto agli aiuti ricevuti dai figli (20,9%) e, a loro volta, forniscono aiuti non economici alle persone più anziane di loro (nel 59,3% dei casi), ricevendone in misura più ridotta e pari al 18,8%. Infine i giovani 18-34enni dichiarano di ricevere sostegni non economici in misura assai consistente dai genitori (62,2%) mentre ne forniscono per la metà (32,8%) dei casi.

Sembra dunque esistere un significativo patto generazionale che opera, di fatto, assumendo le dimensioni e le caratteristiche appena richiamate. Tale patto fa dire agli intervistati di ogni età come esista non di rado una famiglia allargata che si affianca ad una famiglia ristretta (riconoscono di essere all’interno di una famiglia allargata il 25,8% degli intervistati di età compresa tra i 61 e 75 anni; il 28,2% dei giovani 18-34enni ancora nella famiglia di origine; il 35,6% dei capifamiglia tra i 18 e i 60 anni; ma ben il 48,6% dei giovani 18-34enni con famiglia propria).

Dati europei a confronto

Per poter fornire elementi da cui trarre spunti e idee di mutamento, la Ricerca pone l’attenzione alle risposte date a livello europeo sul tema. È possibile così comprendere l’eterogeneità dei percorsi che in Europa portano un giovane a raggiungere l’età adulta – valutata rispetto a cinque marker: conclusione degli studi, prima occupazione, uscita dalla casa di origine, formazione di un’unione, genitorialità – e come negli ultimi decenni si sia osservata una destandardizzazione dei percorsi di transizione all’età adulta e una accresciuta vulnerabilità dei giovani esposti a lunghe fasi di semi-autonomia.

Dai contributi di Francesco Billari dell’Università Bocconi di Milano e di Nicolò Cavalli dell’Università di Oxford, risulta che “il Paese in cui il valore risulta più alto per la categoria lavoro è la Svizzera, seguita da Olanda e Islanda, mentre Croazia, Italia e Grecia risultano con i valori più bassi. Sotto il profilo dell’autonomia abitativa sono i Paesi nordici ad ottenere migliori risultati, mentre Croazia, Repubblica Slovacca e Malta sono agli ultimi posti. Dal punto di vista dei livelli di fecondità è la Francia ad avere il valore più elevato, seguita da Svezia e Finlandia, mentre Grecia, Spagna e Portogallo hanno valori molto bassi. Il Paese in cui è più semplice completare la transizione verso l’autonomia risulta essere la Norvegia, seguita da Svezia e Islanda, si registrano i valori più bassi in Grecia, Croazia e Italia.

I Paesi che ottengono risultati migliori in termini di transizione all’età adulta presentano generalmente: una varietà di strumenti di supporto ai giovani; sussidi di disoccupazione ampi e generalmente lunghi; una percentuale molto elevata di studenti che ricevono borse di studio e una percentuale molto bassa di studenti che pagano rette universitarie; sistemi generalmente generosi in termini di housing benefit; sistemi di welfare relativamente efficienti e strutturati per quanto riguarda l’assistenza ai giovani come gruppo sociale in maniera relativamente omogenea”.

Promuovere l’autonomia dei giovani, mobilitando le risorse familiari disponibili

La parte finale della ricerca analizza la consapevolezza circa l’importanza della promozione dell’autonomia dei figli, la propensione ad investire parte dei consumi in strumenti assicurativi di protezione e di promozione a favore dei figli, la necessità di disporre di servizi e prestazioni consulenziali che possano accompagnare le scelte delle famiglie.

Disporre di un reddito autonomo di lavoro costituisce indubbiamente la leva più importante per diventare maggiormente indipendenti rispetto alla famiglia di origine. Quanto emerge è che il reddito netto mensile percepito come assolutamente necessario in tal senso è quello che va da oltre 1.000 fino a 2.000 euro netti (60% di tutte e tre le tipologie di intervistati) e che per quanto riguarda l’ipotesi minima (1.000 euro) sono i giovani 18-34enni a considerarlo un reddito sufficiente più di quanto non lo riconoscano gli altri due campioni (19,0% contro il 14,8% delle persone anziane e il 10,9% dei capifamiglia).

Vicino a un auspicabile reddito da lavoro, anche il risparmio familiare può contribuire al raggiungimento di una maggiore autonomia. Tale risparmio può essere reinvestito nella protezione dei rischi dei figli, ma anche nell’autonomizzazione progressiva, attraverso la sottoscrizione di polizze assicurative e di piani di accumulo di capitale. Nel dettaglio, è opportuno che le famiglie investano maggiormente in polizze di previdenza integrative (sempre in favore dei figli) per coprire i periodi di lavoro precario oppure per l’eventuale disoccupazione (35,9% della popolazione italiana tra 18 e 60 anni) oppure nel riscatto degli anni di laurea dei figli (32,3%) o ancora in polizze di assicurazione per proteggere gli eventuali periodi di disoccupazione dei figli (32,6%).

Concludendo, il Rapporto dimostra chiaramente come nel nostro paese la famiglia svolga ancora un fondamentale ruolo di ammortizzatore sociale a fronte di una mancanza di politiche giovanili adeguate per favorire la transizione alla vita adulta. Questo costituisce una enorme sfida da affrontare al più presto perchè, come sottolineato da Ruggero Frecchiami, Direttore Generale del Gruppo Assimoco, “il passaggio alla vita adulta e la formazione di nuovi nuclei familiari sono strettamente legati e va da sé che una società che non supporta concretamente queste due fasi ha poche chance di svilupparsi in maniera armoniosa”.