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La Gran Bretagna ha il diritto di rifiutare l’accesso ad alcune prestazioni sociali ai cittadini europei senza lavoro e senza reddito. È quanto decretato l’avvocato generale della Corte di Giustizia Europea in un parere non vincolante che tuttavia rappresenta una vittoria per il governo britannico. Il Premier David Cameron infatti da tempo si batte contro il «turismo del welfare» e, nel tentativo di contenere l’immigrazione – incoraggiata dalla libera circolazione delle persone riconosciuta ai cittadini europei – e l’impatto sulla spesa pubblica vuole limitare l’accesso ai welfare benefits. Una sentenza che apre nuovi interrogativi sul processo di costruzione dell’Unione Europea.


La controversia

La Commissione europea ha ricevuto numerose denunce di cittadini di altri Paesi membri residenti nel Regno Unito che avevano visto le proprie richieste dirette ad ottenere determinate prestazioni sociali respinte da parte delle autorità britanniche. La stessa Commissione ha dunque proposto un ricorso per inadempimento contro il Regno Unito sulla base del rilievo che la normativa britannica non sarebbe conforme a quanto disposto nel regolamento Ue sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. Questo impone infatti che non ci siano discriminazioni sulla base della cittadinanza, mentre le norme britanniche impongono di verificare che i richiedenti di determinati servizi sociali, in particolare le prestazione di assegni famigliari e credito d’imposta a carico dei figli, soggiornino in modo regolare nello Stato britannico – requisito considerato discriminatorio dalla Commissione europea. Un’interpretazione contestata invece dal Regno Unito secondo cui lo Stato ospitante può legittimamente subordinare la concessione di prestazioni sociali ai cittadini Ue, a condizione che questi ultimi soddisfino i requisiti previsti per disporre di un diritto di soggiorno nel suo territorio. Pur ammettendo che il soddisfacimento dei requisiti sia più agevole per i cittadini britannici, i quali godono per principio di un diritto di soggiorno, il Regno Unito sostiene che il suo sistema nazionale non sarebbe discriminatorio, e che, in ogni caso, il requisito del diritto di soggiorno sarebbe una misura proporzionata al fine di garantire che le prestazioni siano erogate a persone sufficientemente integrate nella Nazione.

"La necessità di tutelare le finanze dello Stato membro ospitante", afferma l’avvocato generale Pedro Cruz Villalon, "giustifica il controllo, nella procedura di concessione di determinate prestazioni sociali, della regolarità del soggiorno dei richiedenti in detto Stato conformemente al diritto dell’Unione". L’avvocato generale dà quindi ragione a Londra, in quanto ritiene che di per sé "la normativa del Regno Unito non impone un requisito supplementare a quello della residenza abituale, trattandosi invece di esaminare la regolarità del soggiorno quale risulta dal diritto dell’Unione nel contesto della concessione di determinate prestazioni sociali". E questo diritto è "soggetto alle limitazioni e condizioni previste" già dalla direttiva Ue 2004/38, che prevede il pieno diritto alla libertà di circolazione se la persona ha un lavoro dipendente o indipendente, studia, è autosufficiente economicamente o è pensionato.


Perchè è un problema europeo

Si tratta di una tendenza che riguarda anche altri paesi europei. Già un paio di anni fa il governo Merkel, insieme al governi inglese, austriaco e olandese, avevano scritto una lettera alla Commissione europea annunciando possibili misure restrittive nei confronti dei cittadini stranieri, soprattutto quelli provenienti da Romania e Bulgaria. Come detto, in base al diritto Ue ciascun Paese membro deve garantire l’accesso alle prestazioni sociali a tutti i cittadini Ue. I quattro governi sostevano che questa norma incentivasse il turismo sociale e la «migrazione dei poveri». Così in questi mesi si sono succedute proposte e interventi per restringere le erogazioni.

Ma troppi allarmi sul turismo sociale minacciano la stessa cittadinanza europea e quindi la realizzazione di una vera unione. Maurizio Ferrera sul nostro sito ha spiegato come a Bruxelles, dati alla mano, avessero dimostrato che il fenomeno denunciato in quella missiva fosse quantitativamente trascurabile e sostanzialmente ininfluente sulle spese per il welfare. E ha sottolineato come dietro questi provvedimenti si nasconda un malumore profondo, che riguarda il processo di integrazione in quanto tale e che spinge a ristabilire i tradizionali confini, a «proteggere i diritti e gli interessi legittimi dei nativi».

E’ anche su questo punto infatti che si giocherà il negoziato tra Londra e Bruxelles in vista di un patto anglo-europeo da sottoporre a referendum nel Regno Unito. «Il premier ha ribadito – ha spiegato il ministro degli affari europei Lidington – che la libera circolazione dei lavoratori non è in discussione, ma il welfare va ripensato. Chi non ha mai pagato le tasse non può avere pieno accesso all’assistenza sociale. Nel Regno Unito la popolazione è cresciuta di 2,5 milioni in 5 anni. Con questo ritmo nel 2040 avremo più cittadini della Germania». L’idea consiste nell’introdurre una moratoria (4 anni) dal welfare anche per i britannici che rimpatriano.

La decisione relativa al Regno Unito potrebbe allora influenzare le scelte degli altri paesi membri.
La battaglia sul welfare dunque continua.

 

Riferimenti

La Gran Bretagna può rifiutare accesso ad assegni familiari a immigrati europei, Giulio Caratelli, Eunews, 6 ottobre 2015

E Londra limita il welfare agli stranieri con l’ok della Corte Ue, Alessandra Rizzo, La Stampa, 7 ottobre 2015

Il negoziato di Londra con la Ue parte dal welfare, Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore, 6 ottobre 2015

I limiti inglesi ai benefit verso il sì della Corte Ue, Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore, 7 ottobre 2015


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