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Per tanti, non per tutti. È questo il messaggio del Rapporto «Dalla fotografia dell’evoluzione della sanità italiana alle soluzioni in campo» curato da RBM SaluteCensis e presentato il 7 giugno a Roma in occasione della settima edizione del Welfare day. I contenuti del rapporto offrono dati interessanti sul fronte della spesa sanitaria e sulla sua articolazione all’interno del nostro Paese. Di seguito vi proproniamo alcune riflessioni.

Cresce la spesa sanitaria degli italiani

Come ha spiegato Marco Vecchietti, consigliere delegato di RBM Salute, la spesa sanitaria privata degli italiani nel 2016 è stata pari a 35,2 miliardi di euro, registrando un incremento del 4,2% tra gli anni 2013 e 2016. Il dato desta preoccupazioni, soprattutto se letto in parallelo con l’andamento della spesa totale per consumi che, nel medesimo periodo 2013 – 2016, ha registrato un incremento del 3,4%.


Figura1. Andamento della spesa sanitaria privata e della spesa totale per consumi degli italiani. Anni 2013-2016 (var. % reale)
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat

Insomma, la spesa sanitaria privata è sempre più una componente stabile della spesa per consumi degli italiani che, oltre a dover fare i conti con la crisi economica e i suoi effetti, devono anche tener conto che nella “lista della spesa quotidiana” si va aggiungendo la voce salute che drena risorse. Come se non bastasse, questo onere economico ricade in modo più importante sulle fasce di popolazione più deboli (fatta 100 la spesa sanitaria privata procapite degli italiani per i millennials il numero indice è pari a 63,5; per i baby boomers a 98,5; per gli anziani a 146). Si innesca così un sistema perverso: l’avanzare dell’età determina una riduzione del proprio reddito (perché si va in pensione, peraltro con tassi di sostituzione con percentuali sempre più basse) e una crescita delle spese da affrontare di tasca propria per acquistare le prestazioni sanitarie di cui si ha bisogno.


Figura 2. Spesa sanitaria privata pro capite per classi d’età. Anno 2016 (numero indice spesa pro capite totale = 100)
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, Indagine Censis 2017

Purtroppo, se oltre all’età che avanza, si aggiungono problemi di non autosufficienza, la situazione tende a peggiorare ulteriormente (fatta 100 la spesa sanitaria privata procapite degli italiani, quella di una persona non autosufficiente è pari a 212,1). E quando non si dispone delle risorse necessarie per pagare di tasca propria le prestazioni necessarie, si finisce per rinunciarvi e/o rinviarle (12,2 milioni di persone che rinviano e/o rinunciano a prestazioni sanitarie in un anno, +1,2 milioni rispetto all’anno precedente) o, viceversa, pur di curarsi si riduce il proprio tenore di vita (13 milioni di italiani in questa condizione), oppure si ricorre agli ultimi risparmi (7,8 milioni di italiani) o, addirittura, si entra nella soglia della povertà (1,8 milioni di persone, i cosiddetti saluteimpoveriti).


Figura 3. Italiani che hanno rinunciato e/o rinviato per ragioni economiche almeno una prestazione sanitaria nell’ultimo anno (v. a. in mln)
Fonte: indagine Censis, 2017


Crescono i divari tra Regioni

E intanto si vanno ampliando le differenze tra le sanità regionali, non solo nella valutazione dei cittadini, ma anche nei valori di indicatori più strutturali.
I dati del Censis indicano che nel 2017 il 64,5% degli italiani si è dichiarato soddisfatto del Servizio sanitario, il 35,5% non è soddisfatto: sono soddisfatti il 76,4% al Nord-Ovest, l’80,9% al Nord-Est, il 60,4% al Centro ed il 47,3% al Sud-Isole. Il 31,8% degli italiani è convinto che nell’ultimo anno il Servizio Sanitario sia peggiorato, il 12,5% che sia migliorato e il 55,7% che sia rimasto stabile.

Che la sanità italiana, in linea purtroppo con quel divario Nord-Sud che è una costante della storia unitaria in ogni ambito, abbia registrato negli anni performance territorializzate con diversificate capacità di copertura non è una novità.
È una novità invece l’emergere di una dinamica centrifuga, con traiettorie distinte ma anche sempre più distanti che penalizzano in generale la macro area Sud-Isole e, presumibilmente all’interno della stessa alcune regioni che tendono a perdere ancora più terreno delle altre. Così un sistema come quello sanitario, un tempo unitario e alla ricerca di meccanismi di perequazione per le tutele garantite ai cittadini, oggi non solo si riscopre ancora molto diversificato al suo interno, ma prende atto di una dinamica divaricante che moltiplica le disuguaglianze tra territori e gruppi sociali. 

Le regioni in cui le quote di cronici in buona salute sono diminuite di più sono rispettivamente la Basilicata (-40,6%, con 28,7% di cronici in buona salute), la Calabria (-29,9%, con 28,7% di cronici in buona salute), Molise
(-17%, 35,8%), la Sardegna (-15,8%, 35,7%) e la Campania (-11,6%, 38,4%).  L’univocità dei trend degli indicatori che penalizzano le regioni meridionali segnala un processo sociale più profondo che chiama in causa anche le sanità locali, visibilmente in ritardo rispetto all’assistenza ospedaliera e alle nuove sfide assistenziali per le cronicità. D’altro canto, anche un indicatore complesso e di lunga deriva come la speranza di vita comincia ad introiettare le diverse performance delle sanità regionali, se è vero che nel meridione da almeno due anni ha subito una torsione in basso, fenomeno assolutamente inedito rispetto al trend di lungo periodo.


I "fuggiaschi" della sanità: 6,5 milioni si spostano per curarsi

Una situazione di questo tipo, porta naturalmente con sé delle conseguenze. Si possono stimare in 6,5 milioni gli italiani che dichiarano che nell’ultimo anno si sono rivolti a vario titolo al sistema sanitario pubblico o privato di un’altra regione. In tale dato rientrano sia gli spostamenti legati alle acuzie che quelli relativi a specifiche prestazioni di tipo ambulatoriale o per accertamenti diagnostici o anche per visite specialistiche: e sono inclusi sia gli spostamenti più lunghi che quelli frontalieri tra regioni.

I "fuggiaschi" della sanità sono ormai una componente stabile e rilevante del popolo della sanità italiana: persone che vanno a cercare prestazioni che nel proprio territorio o non ci sono oppure valutano di qualità inadeguata.
Tecnicamente la mobilità sanitaria è stata un grande perequatore poiché ha spostato flussi di domanda, allentando la pressione quali – quantitativa sulle sanità considerate meno buone dai propri cittadini. Ovviamente anche la mobilità sanitaria, soprattutto se obbligata, opera come un pericoloso moltiplicatore di disparità, sia perché chi deve spostarsi ha una condizione più penosa dei cittadini che possono beneficiare della sanità della propria regione, sia perché ci sono cittadini che non possono affrontare i costi degli spostamenti e quindi rientrano poi nell’area del rimpianto, cioè di coloro che sono convinti che se avessero avuto più soldi avrebbero potuto beneficiare della sanità di altre regioni, di più alto livello. Il dato dei "fuggiaschi" ha una fortissima connotazione territoriale ed oscilla tra l’8,8% del Nord-Ovest e più del 16% del Sud-Isole.

Il ricorso alla sanità di un’altra regione espone comunque a spese sanitarie di tasca propria più alte, oltre che a spese di integrazione ineludibili, come ad esempio quelle legate a trasporto, vitto e alloggio: pur limitandosi alle spese sanitarie in senso stretto, il 57% delle persone che si sono rivolte alla sanità di un’altra regione ha avuto difficoltà nel fronteggiarle.


La necessità di intervenire: verso una sanità integrativa obbligatoria?

Il SSN appare dunque in crisi e senza interventi correttivi potrebbero esservi conseguenze poco piacevoli sia in campo sanitario che sociale.

Marco Vecchietti ha sottolineato, a questo proposito, che mancano dai 20 ai 30 miliardi di euro per garantire il mantenimento degli attuali standard assistenziali da parte del Sistema Sanitario del nostro Paese. Ed ha proposto di recuperare queste risorse “rendendo obbligatoria la sanità integrativa per tutti i cittadini, come già avvenuto in Francia, dove grazie ad un sistema di assicurazioni sociali aggiuntivo al sistema pubblico è possibile curarsi liberamente nelle strutture sanitarie che garantiscono qualità e tempi di accesso immediati”.

Insomma, il Sistema Sanitario in Italia ha bisogno di un “robusto tagliando” che intervenga strutturalmente sul tema del finanziamento e della qualità delle cure, per recuperarne le “quote di universalismo perdute” e ripristinarne la capacità redistributiva. Come? Secondo RBM Salute seguendo due strade: con un secondo pilastro sanitario complementare per tutti i cittadini (sul base del modello francese) che, evitando di far pagare di tasca propria le cure a 36 milioni di italiani, intermedi collettivamente la spesa sanitaria privata garantendo al sistema sanitario la disponibilità di 22 miliardi di euro/annui aggiuntivi ed un contenimento della spesa sanitaria privata da 8,7 miliardi di euro a 4,3 miliardi annui; oppure esternalizzando alcune assistenze, sulla falsa riga dell’opting out tedesco, in modo che, invece di accettare passivamente la rinuncia alle cure da parte di 13,5 milioni di italiani (di cui 2/3 a basso reddito), sia possibile promuovere un’assunzione di responsabilità per i cittadini con redditi più alti (15 milioni di cittadini) mediante l’assicurazione privata della totalità delle loro cure sanitarie con un risparmio previsto della spesa sanitaria pubblica dai 18,5 miliardi di euro a 3,1 miliardi annui da investire a favore dei cittadini più bisognosi (economicamente ed a livello di salute).”

"Il Sistema Sanitario deve essere riorganizzato sulla base di un modello multipilastro" ha concluso Vecchietti, perchè la sostenibilità è una direttrice prioritaria per guidare nuove politiche, piani e programmi.