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Non poteva certo mancare un “pacchetto lavoro-previdenza” nella legge di Stabilità 2016. Vediamo dunque più da vicino quali sono le novità più rilevanti in materia previdenziale contenute nel testo finale del provvedimento.


Stop alla penalizzazione

Niente penalizzazione per chi va in pensione entro il 2017. E dall’anno prossimo per tutti, e cioè anche per chi, andato in pensione, ha subìto la decurtazione nel 2012, 2013 e 2014. Proviamo a spiegarci meglio. Al fin di scoraggiare il ricorso alla pensione di anzianità, la riforma Fornero ha introdotto, a partire dal 2012, un meccanismo che penalizza chi decide di uscire prima dei 62 anni di età. La penalizzazione consiste in una riduzione, calcolata sulla sola quota “retributiva” maturata sino al 31 dicembre 2011, di un punto percentuale per ogni anno di anticipo rispetto ai 62 anni di età minima e di due punti percentuali per gli anni di anticipo rispetto ai 60 anni di età. Per chi ad esempio va in pensione a 59 anni, la quota retributiva maturata prima della riforma, che ha introdotto il calcolo “contributivo” per tutti, subisce una riduzione del 4%: 2% per i due anni di anticipo rispetto ai 62, più 2% per l’ulteriore anno di anticipo rispetto ai 60. Ebbene, la legge di Stabilità 2015 ha cancellato la penalizzazione per tutti i trattamenti maturati entro il 31 dicembre 2017, mentre ora (la nuova Legge di Stabilità 2016) ha ripescato anche coloro che avevano subìto la riduzione dell’assegno Inps nel triennio 2012-2014 che però non recupereranno quanto già perso. La depenalizzazione, che ha come conseguenza il rispristino del trattamento pensionistico “intero”, a partire dal 1° gennaio 2016.


Niente aumenti nel 2016

L’indice Istat dell’inflazione 2015 è negativo e pertanto dal 1° gennaio 2016 non sarà riconosciuto alcun aumento delle pensioni: quindi zero perequazione. Ma l’indice provvisorio dello scorso anno, che era stato stabilito nello 0,30%, è stato definitivamente fissato in 0,20%, per cui dal 1° gennaio le pensioni sarebbero state lievemente ridotte, con la prospettiva della restituzione di quanto corrisposto in più nel 2015, cioè lo 0,1% (per le pensioni al minimo il recupero si aggira intorno ai 6 euro e qualche centesimo). Una rivalutazione "negativa" non si era mai verificata nel corso degli anni, non essendo neppure ipotizzabile. Si è resa quindi necessaria una sanatoria, contenuta in uno degli ultimi emendamenti apportati proprio dal Governo alla Legge di Stabilità del 2016 che prevede che a gennaio saranno messi in pagamento gli importo “corretti” sulla base dell’inflazione definitiva 2014, ma non ci sarà alcuna trattenuta riferita al 2015. Il conguaglio si farà ma solo nel 2017.


Indicizzazione raffreddata

Prima della riforma Monti-Fornero, l’adeguamento pieno all’inflazione riguardava tutte le pensioni fino a 3 volte il trattamento minimo e scendeva al 90% per gli importi fra 3 e 5 volte il minimo e al 75% oltre 5 volte il minimo. Con la legge di Stabilità 2014 (art. 1, comma 483, legge n. 147/2013), le regole prevedono, per il biennio 2015-2016 che la perequazione venga attribuita al 100% per i trattamenti fino a tre volte il trattamento minimo; al 95% per quelli da tre a quattro volte il minimo; al 75% per quelli da quattro volte a cinque volte il minimo; al 50% per quelli da cinque a sei volte il minimo e al 45% per i trattamenti complessivi superiori a 6 volte il trattamento minimo. La legge di Stabilità 2016, al fine di reperire risorse per la cosiddetta “opzione donna”, il part-time a fine carriera e lo no tax area per i pensionati, estende al 2018 l’indicizzazione raffreddata. Per un ritorno alla normalità ante Fornero se ne riparlerà nel 2019. Con la proroga per altri due anni dell’attuale meccanismo s’introduce una nuova penalità che andrà a erodere il potere d’acquisto della classe media, in un momento peraltro in cui l’inflazione è rivista al rialzo e il peso di un’indicizzazione ridotta è destinato quindi a essere più forte. Una nuova beffa, considerato che il recente provvedimento sul recupero dell’indicizzazione perduta nel biennio 2012-2013, che ha fatto seguito alla sentenza d’incostituzionalità del “blocco” deciso dalla riforma Fornero, e ha lasciato in gran parte a bocca asciutta proprio gli assegni della classe media.


Tab.1: Differenza tra pensioni attuali e pensioni con indicizzazione ordinaria


Opzione donna

E così si potrà andare in pensione, con “l’opzione donna”, anche nel caso in cui i requisiti per l’accesso alla prestazione siano maturati entro il 31 dicembre 2015 e la decorrenza del trattamento sia successiva a tale data. A risolvere, una volta per tutte, la questione sorta in merito alla possibilità di accedere al pensionamento con l’opzione citata, è stata La legge di Stabilità 2016. Viene così a conclusione la sperimentazione, voluta dalla riforma n. 243/ 2004 e confermata dalla riforma Fornero nel 2011. Tale facoltà è dunque estesa anche alle lavoratrici che maturano i requisiti previsti (35 anni di contributi e 57 e 3 mesi di età, 58 e 3 mesi le autonome), entro il 31 dicembre 2015, ancorché la decorrenza del trattamento sia successiva a tale data, fermi restando il regime delle decorrenze (attesa di 12 mesi, 18 per le autonome) e il meno favorevole sistema di calcolo “tutto contributivo”.


Part-time

E’ sempre la Legge di Stabilità 2016 ad occuparsene, dove si legge che i lavoratori dipendenti del settore privato (esclusi i pubblici quindi) con contratto di lavoro a tempo pieno che maturano entro il 31 dicembre 2018 il diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia (66 e 7 mesi nel 2016) , possono, d’intesa con il datore di lavoro per un periodo non superiore a 3 anni (devono quindi aver compiuto 63 anni e 7 mesi), ridurre l’orario del rapporto di lavoro in misura compresa tra il 40 e il 60%, intascando mensilmente una somma pari alla contribuzione previdenziale ai fini pensionistici a carico della ditta (23,81% della retribuzione) relativa alla prestazione lavorativa non effettuata. Tale importo non concorre alla formazione del reddito da lavoro dipendente e non è assoggettato a contribuzione previdenziale. Sulla parte di retribuzione relativa al lavoro effettivamente prestato il lavoratore continua a pagare la sua quota contributiva (9,19%) e l’azienda il suo 23,81. Per i periodi di riduzione della prestazione lavorativa è riconosciuta la contribuzione figurativa a carico della fiscalità generale (quindi di tutti noi) commisurata alla retribuzione corrispondente alla prestazione lavorativa non effettuata. In altre parole, il lavoratore part-time arriva al pensionamento senza alcun danno per l’assegno Inps: come se avesse continuato a lavorare a tempo pieno.


Esodati

Scatta il settimo intervento che dovrebbe permettere a 26mila e 300 persone rimaste senza lavoro di percepire la pensione (che si aggiungono ai 170 mila già salvaguardati). Chi sono, in senso tecnico, gli “esodati”? Si tratta di lavoratori che, a suo tempo, accettarono la proposta di dimissioni volontarie o di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, formulata dalla loro azienda, in cambio di un’extra-liquidazione solitamente ragguagliata al tempo mancante all’accesso alla pensione. Poiché la riforma Fornero ha posticipato i requisiti pensionistici, queste persone rischiano di avere un periodo, spesso di alcuni anni, non coperto dall’ammontare pattuito per l’esodo volontario. La settima salvaguardia aggiunge quindi 26.300 posti, ma al contempo riduce di 24.064 quelli previsti dai sei interventi precedenti che non hanno usufruito della scappatoia. Si spiega così perché, a fronte dei 170.230 posti garantiti dalle prime sei salvaguardie, con la settima si sale a soli 172.466. Le “categorie” interessate sono le solite: sono i soggetti che hanno cessato l’attività e sono autorizzati alla prosecuzione volontaria, quelli in mobilità, ecc. che maturano la pensione con decorrenza entro il 6 gennaio 2017. Facendo quattro conti, scopriamo che ben 500 milioni delle risorse, generosamente stanziate a favore degli “esodati”, non sono stati spesi e quindi, come prevedono le regole della contabilità, sono finiti “in economia” nelle casse del Tesoro. Così è risorto un problema che, negli ultimi tempi, sembrava essere stato archiviato, nonostante vi fossero pressanti richieste per una settima salvaguardia. Man mano che si va avanti nell’applicare il programma delle salvaguardie esce fuori che gli esodati (in grado di far valere requisiti corrispondenti a quanto richiesto) sono meno di quelli stimati e previsti. Non a caso, la sesta misura, nel 2014, è stata possibile grazie ai risparmi riscontrati in almeno tre operazioni precedenti. Alla faccia del clamore che il loro numero (sovrastimato) suscitò ai tempi di Elsa Fornero. Non possiamo dimenticare che la questione degli esodati è stata oggetto di una delle principali critiche rivolte alla riforma delle pensioni dell’allora Ministro del governo Monti: una legge a cui è stata rimproverata un’impostazione in senso simmetricamente opposto a quello riguardante altre riforme succedutesi nel corso di oltre vent’anni. Non resta altro che sperare che quest’ultimo intervento legislativo ponga, una volta per tutte, la parola fine al tormentone “esodati”.

Questo articolo, firmato da Domenico Comegna, è stato pubblicato sul portale Il Punto, cui va il nostro ringraziamento per la possibilità di riproporlo sul nostro sito.