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Fine delle politiche europee di austerità? No, ma un importante svolta in direzione della crescita, questo si. Una Comunicazione adottata l’altro ieri dalla Commissione apre margini non indifferenti per usi "virtuosi" di risorse pubbliche, aggirando la tagliola del Patto di Stabilità. Si tratta di quella flessibilità a gran voce chiesta da Matteo Renzi già dalla primavera scorsa e a lungo osteggiata da Angela Merkel e Barroso. Il Patto è già flessibile, si diceva, non c’è bisogno di nuove regole. La Comunicazione appena pubblicata non smentisce formalmente questa tesi, ma conferma che le regole non sono mai state applicate e che non esisteva neppure il manuale di istruzioni.

I criteri del Patto di Stabilità potranno essere allentati in tre casi: per i contributi nazionali al nuovo Fondo europeo per gli investimenti strategici (il cosiddetto piano Juncker); per gli investimenti in progetti co-finanziati dai Fondi europei; e per sostenere i costi di breve periodo delle riforme strutturali. Le maggiori uscite pubbliche collegate a questi tre tipi di misure verranno parzialmente abbuonate nel calcolo del deficit (il fatidico 3%). I governi nazionali potranno, in soldoni, spendere un po’ di più e/o allungare i tempi per rispettare i vincoli UE.

La "clausola delle riforme strutturali" è una novità quasi assoluta. Seppur vagamente prevista da un Regolamento del 1997, è finora rimasta lettera morta. L’Italia ha premuto per la sua applicazione sin dal governo Monti e un aiuto decisivo è arrivato lo scorso agosto da Mario Draghi, che si è schierato a favore nel suo discorso di Jackson Hole. La Comunicazione pone tre condizioni affinché una riforma possa essere considerata come "strutturale". Deve trattarsi innanzitutto di un provvedimento ambizioso, volto a superare storiche e profonde debolezze nazionali. L’impatto fiscale diretto deve essere chiaramente dimostrabile in termini di minori spese o di maggiori entrate (eventualmente anche grazie a più crescita e più occupazione). Infine, le riforme devono essere già approvate al momento in cui si chiede l’attivazione della clausola e ci deve essere un impegno solenne alla loro piena attuazione. Lo strumento attraverso cui un paese membro può attivare la richiesta è il Programma Nazionale di Riforma, che tutti i governi UE devono presentare ogni anno in aprile.

In che modo può l’Italia sfruttare al più presto la nuova clausola? L’agenda è talmente ampia che abbiamo solo l’imbarazzo della scelta. Ma è meglio concentrarsi su pochi realistici obiettivi. Ne propongo tre. I primi due riguardano l’attuazione del Jobs Act, che ha l’enorme vantaggio di essere già una legge delega approvata dal Parlamento. Al suo interno ci sono la riforma dei servizi per l’impiego e l’adozione di un pacchetto di misure per favorire la conciliazione e dunque l’occupazione femminile. C’è poi la riforma del Terzo Settore. Il disegno di legge delega su questo tema è all’esame del Parlamento e con un po’di sforzo lo si potrebbe approvare entro i prossimi due mesi .

E’ quasi superfluo sottolineare come su questi tre fronti si concentrino alcune delle più gravi debolezze strutturali del nostro sistema economico e sociale. Abbiamo un deficit storico di servizi alle persone e alle famiglie. In Francia e in Gran Bretagna gli occupati nel settore sono un milione in più che in Italia. Questo buco è colmato dal welfare "fai da te", che è però diventato una trappola. La promozione di un moderno settore di "neo-terziario sociale" potrebbe generare molti circoli virtuosi, anche sulla finanza pubblica . Siccome gran parte dei vantaggi andrebbe alle donne, potrebbe finalmente scattare quella "molla rosa" pronta a dare impulso alla crescita grazie al fattore D: il lavoro e il talento femminili. La delega del Jobs Act in tema di conciliazione contiene peraltro molti altri elementi (come il tax credit e gli asili nido) a sostegno dell’occupazione femminile in ogni settore. Il rafforzamento dei servizi per l’impiego e di formazione sarebbe un tassello importante di questa strategia. E avrebbe, naturalmente, effetti positivi a largo spettro sul funzionamento di tutto il nostro mercato del lavoro.

Un pacchetto di misure ambiziose e coerenti su questi tre fronti sarebbe perfettamente in linea con la strategia “Europa 2020”: difficile per la Commissione negare il carattere "strutturale" di un simile pacchetto. Resta un solo problema: la capacità e la credibilità’ progettuale e attuativa del governo. Se Matteo Renzi vuole far tesoro del successo appena ottenuto a Bruxelles, deve mettersi subito a galoppare a Roma. I suoi consulenti economici aspettano solo il via libera: si metta al lavoro una squadra di esperte ed esperti e si prepari un bel libro bianco da allegare al prossimo Programma di Riforma. Ne vale la pena, cerchiamo di non perdere questo treno.


Questo articolo è stato pubblicato anche sul Corriere della Sera del 15 gennaio

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