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Il processo di integrazione europea è giunto a riconoscere ai migranti, specialmente quelli provenienti da altri Stati UE, diritti mai garantiti prima (né altrove nel mondo) incluso il diritto di accedere al sistema di welfare del Paese ospitante. Per favorire la crescita economica degli Stati membri, le Comunità Europee e successivamente l’Unione Europea hanno incrementato gli scambi di forze lavoro, oltre a beni, servizi e capitali. La libera circolazione delle persone ha portato con sé l’esigenza di tutelare i cittadini all’estero garantendo sia l’esportazione della propria assicurazione sociale dal Paese di origine sia l’accesso alle prestazioni (comprese quelle assistenziali) del Paese ospitante (Ferrera 2005).

La progressiva espansione delle tutele sociali, ispirata ai principi di coordinamento e solidarietà fra gli Stati membri, ha raggiunto il suo culmine con il riconoscimento della cittadinanza europea e il principio di non discriminazione sulla base della nazionalità (esteso infine anche ai migranti extra-EU). Tuttavia, la crisi economica e sociale scatenatasi a partire dal 2008, gli allargamenti a Est dell’Unione e gli scontri che hanno portato alla Brexit hanno generato forti spinte all’indietro in termini di solidarietà europea (Giubboni 2017). Movimenti e partiti chauvinisti hanno contestato sempre di più i diritti sociali dei migranti, in particolare quelli provenienti da Paesi extra-UE, ma anche degli stessi cittadini europei. In questo senso si è parlato spesso di “turismo del welfare” (ne abbiamo recentemente parlato qui, ndr), ovvero di migrare con il principale scopo di accedere alla prestazioni del Paese ospitante, e di minaccia alla sostenibilità dei sistemi welfare (Van Der Waal et al. 2013).

Il dibattito accademico ha smentito queste accuse su più piani. Innanzitutto, facendo i conti, l’impatto dei migranti di origine sia UE che extra-UE sui budget nazionali è minimo e semmai le tasse pagate tendono ad eccedere le prestazioni ricevute (Dustmann and Frattini 2014). Inoltre, sul piano demografico, i migranti rappresentano una risorsa strategica soprattutto per l’Europa occidentale, con una popolazione in crescente invecchiamento e a bassa fertilità (Afonso and Devitt 2016). Infine, nell’arena politica, i partiti populisti e di estrema destra hanno usato i migranti come capro espiatorio rispetto a problematiche ben più ampie come la globalizzazione, la crisi economica e la disoccupazione (Ruhs and Palme 2018)

Il contributo della ricerca

In questo senso, chi scrive ha svolto una ricerca per offrire ulteriori elementi al dibattito, confrontando l’accesso al welfare dei migranti UE ed extra-UE rispetto a quello dei nativi nei primi 15 Paesi membri dell’Unione Europea1. I dati sono estratti da due dataset armonizzati a livello europeo, ovvero la Rilevazione sulle Forze lavoro (EU-LFS) e le Statistiche sul Reddito e le Condizioni di Vita (EU-SILC) per il periodo 2018-2019, antecedente ai significativi cambiamenti portati dalla pandemia Covid-19 e dalla Brexit 2 (Kyriazi and Visconti 2023). L’analisi risponde a domande come: i migranti accedono al welfare più dei nativi? Le peculiari caratteristiche (demografiche e socio-economiche) dei migranti danno loro maggiori probabilità di accesso alle prestazioni? A tal proposito, vi sono importanti differenze fra i migranti provenienti dall’UE rispetto ai migranti extra-UE?

Lo studio si concentra sulle prestazioni di welfare a cui accedono maggiormente i migranti (Afonso and Devitt 2016) e introduce tre innovazioni metodologiche principali. Innanzitutto, il campione di analisi viene ridotto alla popolazione target per ciascuna delle prestazioni considerate, ovvero ai disoccupati per i sussidi di disoccupazione e alle famiglie con figli per gli assegni familiari. Inoltre, per indagare i sussidi di disoccupazione si utilizzano i dati EU-LFS, che permettono di escludere i benefici esportati dal paese di origine, non distinguibili sui dati EU-SILC. Infine, la definizione delle famiglie migranti tiene conto dello status migratorio di tutti i membri adulti della famiglia, includendo anche le coppie miste. Le analisi sono replicate per tutti i primi 15 Stati membri UE per cui sono disponibili le variabili e le categorie d’interesse, ovvero per 10 Paesi in EU-LFS e per 13 Paesi in EU-SILC.

I risultati

Da una prima analisi descrittiva emerge che in ogni Paese analizzato la percentuale di popolazione target (quindi di disoccupati per i sussidi di disoccupazione e di famiglie con bambini per gli assegni familiari) tende ad essere maggiore fra i migranti che fra i nativi. Inoltre, i modelli di regressione mostrano la probabilità di accesso alle prestazioni di welfare dei migranti rispetto ai nativi in ciascun Paese. Nella Figura 1, sia i migranti provenienti dall’UE che quelli extra-UE presentano un tasso di accesso ai sussidi di disoccupazione simile a quello dei nativi (che sono la linea di riferimento corrispondente allo zero). Addirittura, in Austria, Germania, Spagna e Francia l’accesso dei migranti è significativamente più basso rispetto a quello dei nativi (come anche per i soli migranti UE nel Regno Unito e i soli migranti extra-UE in Svezia). Tali risultati non cambiano anche quando si tiene conto delle caratteristiche demografiche e socio-economiche dei disoccupati3.

 

Figura. 1. Probabilità di accesso ai sussidi di disoccupazione dei disoccupati migranti (rif. disoccupati nativi =0), margini al 95%, dati EU-LFS 2018-19 pesati.

Come per i sussidi di disoccupazione, anche per gli assegni familiari (Figura 2) la differenza tra il modello base e quello controllato per le caratteristiche dei migranti non è significativa. Inoltre, il divario tra nativi e migranti UE non differisce significativamente da quello tra nativi e migranti extra-UE. Fra le eccezioni, in Austria e Lussemburgo (come anche in Portogallo e nel Regno Unito per i soli migranti extra-UE) i migranti hanno meno probabilità di accedere dei nativi, mentre i soli migranti extra-UE in Danimarca e Grecia hanno più probabilità. Nel complesso, anche se i risultati sugli assegni familiari presentano una maggiore eterogeneità tra Paesi rispetto a quelli sui sussidi di disoccupazione, la distanza relativa fra migranti e nativi è ulteriormente ridotta, e di conseguenza le probabilità di accesso sono ancora più simili.

Figura. 2. Probabilità di accesso agli assegni familiari delle famiglie migranti con bambini (rif. famiglie di nativi con bambini =0), margini al 95%, dati EU-SILC 2017-19 pesati.

In conclusione, sia nel caso dei sussidi di disoccupazione che degli assegni familiari, le differenze nell’accesso ai sussidi tra nativi e migranti (di origine sia UE che extra-UE) risultano essere trascurabili. Inoltre, una volta ristretta l’analisi alla popolazione target per ciascuna prestazione, l’accesso non varia in base ad eventuali differenze nella composizione demografica e socio-economica fra le popolazioni migranti e native. Lo studio confuta quindi l’ipotesi (basata sulle narrazioni chauviniste) che i migranti esercitino una pressione eccessiva sui sistemi di welfare nazionali, mettendone a rischio la sostenibilità. I dati dimostrano invece che l’accesso al welfare dei migranti è del tutto simile, se non inferiore a quello dei nativi nei primi 15 Paesi membri dell’Unione Europea. 

Per approfondire la ricerca:
Maria Giulia Montanari (2024), Migrants-natives’ gap in welfare take-up, in “Polis, Ricerche e studi su società e politica” 2/2024, pp. 153-184. DOI: 10.1424/113962

 

 

Riferimenti

  • Afonso A. e Devitt C. (2016), Comparative Political Economy and International Migration. In “Socio-Economic Review”, vol. 14 n. 3, pp. 591-613.
  • Dustmann C. e Frattini T. (2014), The Fiscal Effects of Immigration to the UK. In “The Economic Journal”, vol. 124, n. F, pp. 593-643.
  • Ferrera M. (2005), The Boundaries of Welfare: European Integration and the New Spatial Politics of Social Protection. In “Socio-Economic Review”, vol. 6 n. 1, pp. 175-198.
  • Giubboni S. (2017), Crisi europea e coordinamento dei sistemi nazionali di sicurezza sociale. In “La Previdenza Forense”, vol. 1, pp. 46-48.
  • Kyriazi A. e Visconti F. (2023), Free Movement and Welfare in the European Union: The Social Consequences of the Right to Exit. In “International Migration Review”, pp. 1-25.
  • Ruhs M. e Palme J. (2018), Institutional Contexts of Political Conflicts around Free Movement in the European Union: A Theoretical Analysis». In “Journal of European Public Policy”, vol. 25, n. 10, pp. 1481-1500.
  • van Der Waal J., De Koster W. e van Oorschot, W. (2013), Three Worlds of Welfare Chauvinism? How Welfare Regimes Affect Support for Distributing Welfare to Immigrants in Europe. In “Journal of Comparative Policy Analysis: Research and Practice”, vol. 15, n. 2, pp. 164-181.

Note

  1. Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Grecia, Finlandia, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Portogallo, Olanda, Regno Unito, Spagna e Svezia.
  2. Per questo è incluso anche il Regno Unito, ancora parte dell’Unione Europea in quel periodo.
  3. ovvero nel modello ‘explained’ cioè spiegato per tali caratteristiche, che corrisponde alle stime in nero, rispetto al modello ‘unexplained’ cioè non spiegato in grigio.
Foto di copertina: JESHOOTS-com, Pixabay.com