5 ' di lettura
Salva pagina in PDF

Il 12 ottobre scorso è stata presentata l’edizione 2016 del rapporto del CNEL sul mercato del lavoro. Lo studio esamina l’impatto della globalizzazione sulla domanda e l’offerta di lavoro all’interno del contesto italiano. Dallo studio emerge come il mercato del lavoro del nostro Paese presenti fondamentalmente due debolezze strutturali che lo spingono in fondo alle classifiche europee in tutti i principali indicatori. Da un lato, il contesto italiano sarebbe caratterizzato dall’assenza di un sistema istituzionale europeo di governo delle tendenze economiche che sia democraticamente legittimato. Dall’altro lato, persiste da un ritardo nell’adeguare le proprie strutture economiche e sociali alle sollecitazioni esterne. Di seguito vi presentiamo i principali contenuti del rapporto.

I principali dati contenuti nel rapporto

In primo luogo, il rapporto si sofferma sulle differenze di genere. Secondo quanto rilevato dal CNEL, il tasso di attività femminile è di circa 20 punti percentuali inferiore a quello maschile (75% contro il 55% rilevato ad agosto 2016). È da notare, però, che nelle regioni del Nord le donne e gli uomini con elevata istruzione hanno la stessa probabilità di occupazione (poco più del 70%), mentre al Sud tra le persone con bassa istruzione la probabilità cala al 10% per le donne e al 30% per gli uomini.

Altro tema di estrema attualità è la presenza di lavoratori stranieri nel nostro Paese: negli ultimi 8 anni, i lavoratori italiani sono diminuiti di 1 milione e 341 mila unità (-7,5%), mentre i lavoratori stranieri sono aumentati di 912 mila unità (+63%).

In merito all’occupazione e livello di istruzione, tra il 2007 e il 2015 gli occupati privi di titolo di studio o in possesso di licenza elementare o di scuola media sono diminuiti di 1 milione e 786 mila unità (-20%), mentre il numero di occupati diplomati o laureati è aumentato di 1 milione e 357 mila unità (+10%).

Emergono, inoltre, anche delle profonde differenze in merito al rapporto tra lavoro e qualifiche professionali: tra il 2007 e il 2015, infatti, è calato il numero di dirigenti e imprenditori (-47%), tecnici (-21%) e operai e artigiani (-16%), mentre aumentano gli occupati nelle professioni intellettuali (+37%), gli addetti alla vendita e ai servizi alla persona (+17%) e il personale non qualificato (+24%).

La contrattazione collettiva, la contrattazione di secondo livello e il welfare

A giugno 2016, il numero dei contratti collettivi vigenti era pari a 780. Il quantitativo di CCNL è andato progressivamente aumentando dal 2013 ad oggi: i CCNL sono passati da 580 nel giugno 2013 a 633 nel giugno 2014, fino ad arrivare a quota 734 nel 2015 e 780 nel 2016.

Riguardo alla contrattazione di secondo livello, il rapporto si concentra sulle materie più frequentemente trattate all’interno di tali contratti. Secondo il CNEL, la contrattazione aziendale riguarda maggiormente: la retribuzione (72% dei contratti), i premi di risultato (61%), le relazioni industriali (49%), l’informazione e la consultazione dei sindacati e dei lavoratori (38%), lo sviluppo professionale e la formazione (30%). Gli accordi che trattano welfare aziendale e conciliazione dei tempi di vita e di lavoro sono il 31%.

In materia di welfare aziendale, inoltre, all’interno del Rapporto viene presentata una ricerca svolta dal CNEL nel 2014 su un campione di 300 grandi imprese italiane. Di queste realtà economiche solo il 14% hanno dichiarato di possedere un piano di welfare strutturato. Nella totalità di questi casi però i responsabili aziendali intervistati hanno dichiarato che i servizi e i benefit di welfare riescono a incentivare il senso di appartenenza dei dipendenti e a migliorare il clima organizzativo, riuscendo così ad avere un impatto positivo sull’ambiente di lavoro

La crescita occupazione in Italia

Il rapporto ridimensiona il peso dei fattori esterni sull’incapacità del Paese di riavviare un percorso di crescita e tenere il passo con gli altri membri UE: secondo il CNEL infatti l’elevato tasso di disoccupazione e il basso tasso di occupazione regolare (drammatico per donne, giovani e Mezzogiorno) si deve a ragioni profonde fondate sul modello di società e di economia, che si possono riassumere come segue:

  1. Innanzitutto la riduzione del numero di persone che lavorano regolarmente – e che di conseguenza partecipano attivamente alla fiscalità, alla spesa pubblica e alla sostenibilità del sistema – produce un circuito negativo di effetti che si scarica su produttività e costo del lavoro.
  2. La produttività media del lavoro cala da circa 15 anni a causa: a) del progressivo impoverimento del capitale umano in settori strategici per il futuro del Paese; b) di alcune caratteristiche strutturali del mercato (dimensione delle imprese, barriere all’accesso dei mercati per beni/servizi e per attività professionali); c) di una scarsa metabolizzazione della cultura del merito e della legalità nel tessuto sociale.
  3. Il tasso di natalità della popolazione autoctona continua a diminuire. Per arginare questa situazione, le istituzioni dovrebbero considerare la questione della sostenibilità finanziaria del sistema incentivando, da una parte, l’accesso all’occupazione regolare e alla partecipazione attiva alla contribuzione, e dall’altra, interventi combinati che possano far risalire il tasso di natalità.
  4. Lo scenario consolidatosi negli ultimi dieci anni mostra una generale estensione del lavoro a bassa qualificazione e un tendenziale abbassamento della qualità diffusa delle condizioni di lavoro. La situazione è aggravata dai dati sulle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa: la distribuzione dell’orario di lavoro e lo scarso ricorso al part time comprimono le possibilità di conciliazione dei tempi di vita/lavoro rafforzando le barriere all’accesso delle donne.
  5. Infine, in materia di relazioni industriali il rapporto indica: un generale deterioramento delle relazioni sui luoghi di lavoro, l’indebolimento del lavoratore e delle sue rappresentanze, la marcata individualizzazione di ciascuna posizione lavorativa e un progressivo spostamento del rapporto di forza fra impresa e lavoratori dove la crescita della produttività diventa funzione esclusiva del lavoro anziché dell’intero sistema produttivo.


Le misure introdotte dal governo nell’ultimo anno e le proposte del CNEL

Il rapporto segnala che, in un Paese connotato da marcate differenze territoriali e dalla frammentazione degli strumenti di tutela, è necessario che la contrattazione a tutti i livelli si adegui alle dinamiche locali della produttività e alle specifiche condizioni di lavoro, ma tenda anche al progressivo superamento delle disparità.

Sul ruolo della contrattazione nella promozione di una più equa distribuzione dei salari fra i generi, il rapporto mostra che, nonostante i livelli medi delle retribuzioni orarie siano più elevati per i due sessi in aziende che contrattano a livello decentrato, il gap salariale è oltre il doppio di quello registrato nelle imprese che non adottano la contrattazione di secondo livello. I dati raccolti, inoltre, sottolineano la persistenza di un divario retributivo di genere legato alle posizioni lavorative: rimane evidente la “segregazione” delle donne in settori e posizioni caratterizzati da remunerazioni più basse.

Sul percorso di riforme in merito al funzionamento del mercato del lavoro, il bilancio delle misure introdotte attraverso i decreti attuativi della legge n. 183/2014 per incentivare la domanda di lavoro può considerarsi positivo, sebbene esso appaia dovuto prevalentemente all’ ”effetto potenziamento” costituito dagli incentivi fiscali per le nuove assunzioni previsti dalle leggi di stabilità 2015 e 2016.

La gestione delle politiche attive del lavoro – affidata a una logica di rete che coinvolge una pluralità di soggetti pubblici e privati con il coordinamento dell’ANPAL – non può avvenire senza il necessario completamento di una efficiente struttura informatizzata di supporto. Il rapporto, in merito, evidenzia i vincoli di condizionalità che caratterizzano l’erogazione dei nuovi servizi per l’impiego delineati nella riforma, incentrati sull’impegno e sulla partecipazione attiva dei lavoratori.

Riferimenti

Sito del CNEL