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Emiliana Armano ed Annalisa Murgia hanno una lunga esperienza di analisi dei processi di sfruttamento e di resistenza dei lavoratori e delle lavoratrici nell’Italia post-fordista, che hanno sintetizzato nel volume del 2014 “Generazione precaria. Nuovi lavori e processi di soggettivazione”. Le due autrici hanno deciso di mettere nuovamente a frutto la propria esperienza come curatrici del nuovo volume “Le reti del lavoro gratuito. Spazi urbani e nuove soggettività”, edito da Ombre Corte, che abbiamo letto per voi.

 

Nel volume, articolato in sette brevi saggi che hanno come sfondo le recentissime trasformazioni del mondo del lavoro cognitivo nella metropoli milanese, Armano e Murgia offrono un’analisi molto acuta delle attuali condizioni del lavoro della conoscenza in relazione con lo sviluppo materiale e virtuale dello spazio urbano contemporaneo. Le relazioni tra soggetti sono oggi regolate dal modello della rete che da metafora positiva di collegamento e di orizzontalità può trasformarsi come mostrano le autrici in un dispositivo di cattura e disciplinamento del lavoro nell’economia dominata dalla finanza e dai flussi delle comunicazione. I protagonisti e le protagoniste delle analisi presentate dal volume sono gli “I-pros”, lavoratori e lavoratrici “autonomi senza dipendenti, occupati in attività diverse dal lavoro agricolo, dall’artigianato o dalla vendita al dettaglio” secondo la definizione proposta Stéphane Rapelli nel 2012. La città è il teatro di questo nuovo spostamento strategico delle forze in campo nell’eterna conflittualità tra capitale e lavoro.

 

I saggi di Luca Salmieri ed Elisabetta Risi analizzano il terreno fisico e digitale in cui si svolge questa lotta, esemplificato dalla Milano dell’Expo del 2015, ovvero da quella che potrebbe esse considerata la punta di diamante del capitalismo più avanzato e spregiudicato in Italia. A partire dagli anni 2000, la finanziarizzazione dell’economia ha riversato sulla città una nuova ondata di capitali nel mercato immobiliare che sono diventati il motore della gentrificazione e della trasformazione degli spazi urbani, rendendo tali spazi di difficile accesso ai lavoratori precari e impoveriti. Il lavoro dei professionisti digitali passa anche dalla necessità di articolare la presenza fisica e co-presenza nello spazio virtuale in una modalità che Risi definisce come “place-based”, cioè ancorata a luoghi fisici di incontro e immersa in una connettività senza interruzioni. Questo scontro tra necessità di mettere spazi in comune e la gerarchia di valore degli spazi urbani genera nuovi conflitti, ma anche possibilità di innovazione.

 

Sergio Bologna, fondatore proprio a Milano di ACTA, la prima e più importante organizzazione dei freelance in Italia, interviene riportando l’attenzione dal contesto al soggetto, ricordando come le forme peggiori di sfruttamento, come il lavoro gratuito, siano rese possibili dalla mancanza di coscienza o dalla confusione dei lavoratori della conoscenza rispetto alle proprie aspirazioni ed al proprio ruolo sociale. In questo spazio liquido prosperano le forme di lavoro gratuito retribuito con un corrispettivo simbolico, affettivo, esemplificate dalle migliaia di volontari di Expo 2015.

 

Guido Cavalca e Paolo Borghi, ricercatori sociali milanesi raccontano, sulla base di una ricerca condotta negli ultimi anni tra gli “I-pros” milanesi che, quando avviene uno scatto di consapevolezza, i lavoratori e le lavoratrici in questione si trovano con frequenza al crocevia tra la scelta di produrre alleanze corporative all’interno del proprio gruppo professionale oppure con altri lavoratori per rivendicare diritti sociali o costruire forme di mutualismo e cooperazione. La faccia oscura del “nuovo spirito del capitalismo” nelle metropoli italiane ha più spesso il volto di un individualismo esasperato, di un isolamento professionale unito all’informalità che non lascia spazi di privacy e di tempo libero, provocando forte sofferenza psichica.

 

Tuttavia la merce principale del capitalismo cognitivo rimane la soggettività che, sebbene danneggiata e sofferente, è centrale nella creazione di valore come fanno notare Mattia Gallo, Federico Chicchi e Mauro Turrini nel loro intervento collettivo.

 

Peppe Allegri e Roberto Ciccarelli affidano alle armi della metafora di Don Chisciotte e Sancho Panza il compito di proporre una strada verso l’uscita dallo sfruttamento e dalla frammentazione verso un lavoro indipendente. Riusciranno i nostri eroi a costituirsi come classe, come quel Quinto Stato evocato di recente da molte discussioni su questi temi? La strategia per creare le condizioni adatte all’emergenza di una nuova “classe” capace di autonomia e cooperazione potrebbe essere trovata, secondo i due autori, spostando il tentativo di costituire coalizioni di precari dai luoghi di lavoro agli spazi urbani.

 

Le conclusioni del volume sono affidate a un breve intervento di Raffele Sciortino che discute i punti di forza e di debolezza dei tre principali paradigmi di analisi critica sulla relazione contemporanea in Italia tra spazio urbano, forme di accumulazione e lavoro, quali la lettura neo-keynesiana, l’idea del “diritto alla città” come risposta alla espropriazione e la lettura post-operaista che denuncia la cattura da parte della città digitale del surplus di ricchezza creato dalla cooperazione sociale.

 

Questo libro fornisce dunque degli strumenti di lettura utili del rapporto tra lavoro e trasformazioni dello spazio urbano contemporaneo, spiegando come esso non giochi oggi il ruolo di semplice panorama, bensì di vera e propria macchina di produzione di ricchezza e relazioni attraversata senza sosta da conflitti e domande.

Riferimenti

 

E. Armano e A. Murgia (2016), Le reti del lavoro gratuito. Spazi urbani e nuove soggettività, Ombre Corte.